Corriere della sera 20 febbraio 2008, Fiorenza Sarzanini, 20 febbraio 2008
La latitanza dorata del «Supremo». Corriere della sera 20 febbraio 2008. In fresco aveva due bottiglie di champagne e un piatto di ostriche
La latitanza dorata del «Supremo». Corriere della sera 20 febbraio 2008. In fresco aveva due bottiglie di champagne e un piatto di ostriche. Perché Pasquale Condello, il boss della ’ndrangheta arrestato l’altra sera dai carabinieri del Ros, amava il lusso e la bella vita. Niente a che vedere con gli altri capicosca che si nascondono in cunicoli e anfratti. Lui, non a caso soprannominato «Il Supremo», viveva in un bell’appartamento alle porte di Reggio Calabria, a Pellaro in contrada San Luca. Non è lo sfarzo tipico dei camorristi, ma è il benessere garantito dai gregari pronti a sfidare controlli e pedinamenti pur di dotarlo di ogni confort. «Sono io, sono proprio Condello », si è limitato ad ammettere quando gli uomini guidati dal colonnello Valerio Giardina l’hanno immobilizzato. E ha subito fermato il tentativo di reazione del genero e del nipote che erano a cena con lui. Un vero capo, anche al momento della cattura. Vent’anni è durata la sua latitanza. Una delle ultime foto segnaletiche ritrae un ragazzo magro e con i riccioli neri ben diverso dall’uomo brizzolato e sovrappeso che era diventato. Due anni fa gli investigatori hanno individuato i «fedelissimi» che avrebbero potuto portarli nel rifugio giusto, da quindici giorni gli stavano addosso. Non è bastata la bravura dei suoi affiliati che più volte sono riusciti a sottrarsi ai pedinamenti, cambiando auto e percorsi, come le Brigate Rosse negli anni di piombo, né la sua scelta di restare chiuso in casa senza usare telefoni e altre apparecchiature intercettabili. I carabinieri hanno individuato il gruppo di villini dove poteva nascondersi e gli specialisti dei Cacciatori sono rimasti appostati nella campagna circostante per due settimane. Due sere fa è scattata l’irruzione. Nelle ultime settimane erano stati fatti accertamenti sui proprietari degli appartamenti che si trovano in quel comprensorio per individuare quello giusto. Prima si è avuto il sospetto che Condello potesse nascondersi da un prete in pensione, poi da un cieco che si era trasferito a vivere dalla sorella. Alla fine, temendo l’errore che avrebbe fatto saltare tutto, si è deciso di far entrare dodici squadre in altrettante case. E l’operazione «Meta» si è chiusa proprio come avviene per il rugby. Vestiti griffati, buone letture tra cui i volumi di Gabriel García Márquez, Oriana Fallaci – «ho molto apprezzato la sua difesa dell’Occidente», ha chiarito Condello – Paulo Coelho, Khaled Hosseini. Ma soprattutto documenti e «pizzini» che potranno adesso rivelare le alleanze criminali e le relazioni politiche del boss. Perché il patrimonio da 50 milioni di euro già sequestrato è soltanto una piccola parte di quanto la sua cosca ha accumulato. Traffico di armi e droga, controllo degli appalti, riciclaggio con investimenti in Italia e all’estero sono gli affari gestiti da «Il Supremo ». Su un conto corrente aperto a Montecarlo aveva un milione di euro in contanti. In alcune cassette di sicurezza scovate dai carabinieri a Cesena custodiva lingotti d’oro, gioielli e un Rolex tempestato di brillanti per un totale di cinque milioni. E poi titoli, polizze assicurative, quote di maggioranza della società Scania – quella dei veicoli industriali – intestate al consuocero. Prima dei sequestri, la moglie e i figli vivevano in un lussuoso palazzo di quattro piani nel centro di Reggio. I familiari si erano trasferiti da poco e ora la moglie rischiava di perdere la potestà sull’ultimogenita di sedici anni: la procura aveva infatti segnalato al tribunale dei minori che la donna lasciava la ragazza da sola probabilmente per andare ad incontrare il marito. Quell’uomo al quale faceva poi recapitare «pizzini» pieni d’amore. Nella gerarchia della ’ndrangheta Condello contava quanto Provenzano in quella della mafia. Un capo vero, spietato e per questo molto temuto. Vari processi in corso, quattro ergastoli già definitivi da scontare per decine di morti ammazzati: tra loro Lodovico Ligato, il presidente delle Ferrovie dello Stato freddato a Bocale di Reggio nell’estate del 1989 in una guerra tra cosche scatenata dall’omicidio del boss Paolo De Stefano. «Uno stratega del crimine », lo ha definito il generale del Ros Giampaolo Ganzer volato in Calabria per festeggiare con i suoi uomini la cattura. Fiorenza Sarzanini