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 2008  febbraio 20 Mercoledì calendario

Il pedofilo e la legge imperfetta. Corriere della sera 20 febbraio 2008. Nella sconcertante vicenda dell’uomo di Agrigento fermato per violenza sessuale nei confronti di una bimba di 4 anni, dopo essere stato da poco condannato a oltre sei anni di reclusione per una precedente analoga violenza ai danni di altre tre bambine, gli interrogativi si affollano

Il pedofilo e la legge imperfetta. Corriere della sera 20 febbraio 2008. Nella sconcertante vicenda dell’uomo di Agrigento fermato per violenza sessuale nei confronti di una bimba di 4 anni, dopo essere stato da poco condannato a oltre sei anni di reclusione per una precedente analoga violenza ai danni di altre tre bambine, gli interrogativi si affollano. Viene spontaneo domandarsi, per esempio, come mai i carabinieri – ai quali l’uomo si era presentato insieme alla bimba di cui, secondo l’accusa, avrebbe poco dopo abusato – essendo consapevoli della natura dei delitti per cui era già stato condannato, non abbiamo adottato qualche precauzione al riguardo. Si consideri, poi, che durante la fase preliminare del processo per i precedenti delitti di violenza, l’uomo era rimasto in carcerazione preventiva per un anno. Dopodiché, essendo scaduto il termine massimo di custodia relativo a tale fase, era stato scarcerato, e sottoposto soltanto (non essendo consentita l’applicazione di altra misura detentiva) all’«obbligo di firma» presso un ufficio di polizia. Naturalmente sarà utile verificare come mai un anno di indagini non fosse bastato per giungere alla fase del giudizio, e si potrà anche discutere sulla congruità di un simile termine massimo di custodia, peraltro prorogabile, in processi del genere. Sta di fatto, tuttavia, che, sia pure con l’imputato in libertà, una sentenza di condanna per stupro era stata poi pronunciata, e anche a una pena piuttosto pesante (nonostante la diminuzione prevista per il giudizio abbreviato). Senonché, anche dopo la pronuncia di tale sentenza, l’imputato non era tornato in carcere ma aveva continuato a soggiacere, in attesa dell’appello, alla sola misura cautelare dell’obbligo di presentazione periodica alla polizia. E qui è difficile non registrare una lacuna (o un eccesso di garantismo) del sistema processuale. In via generale il codice prevede, infatti, che quando un imputato venga condannato a una pena detentiva (soprattutto se grave) in primo grado, senza essere già sottoposto a custodia in carcere, il giudice possa senza dubbio applicargli anche tale misura, e anzi debba tener conto, allo scopo, della condanna e di ogni altro elemento da cui possa emergere il pericolo di fuga, ovvero il pericolo di altri gravi delitti. Quando, però, la sentenza di condanna venga pronunciata (come nel nostro caso) nei confronti di un imputato già scarcerato per decorrenza dei termini, la misura della custodia in carcere potrà essergli di nuovo applicata solo in presenza del pericolo di fuga, e non anche del pericolo di altri delitti. Ed è questa, a quanto pare, la ragione per cui il giudice di Agrigento, nel pronunciare la suddetta condanna, non ravvisando pericolo di fuga, non aveva adottato nessuna misura detentiva a carico dell’imputato condannato per stupro. Al di là dell’inevitabile ritocco di una così evidente lacuna legislativa, il problema è, comunque, più ampio, riguardando in genere le misure restrittive da adottarsi nei confronti delle persone condannate con sentenza non definitiva, soprattutto per certe categorie di reati. Escluso che possa farsi luogo (perché lo vieta la presunzione costituzionale di non colpevolezza) all’esecuzione provvisoria di tale sentenza, occorre invece puntare – almeno nei casi più gravi – su meccanismi di rigorosa applicazione della custodia carceraria anche al soggetto condannato in primo grado, salvo che il giudice non accerti specifici elementi per escluderne la necessità. Questa era la linea già segnata nel «pacchetto sicurezza» del governo Prodi e questo rimane un serio obiettivo da conseguire al più presto. VITTORIO GREVI