Sergio Romano, Corriere della sera 20 febbraio 2008, 20 febbraio 2008
CINA COMUNISTA E SARAGAT
Corriere della sera 20 febbraio 2008.
Vorrei aggiungere un particolare a quanto riferito sui negoziati svoltisi a Parigi nel 1969 e conclusisi con il riconoscimento diplomatico della Repubblica Popolare Cinese da parte dell’Italia. Ero a quell’epoca in servizio al Quirinale e si percepiva come il presidente della Repubblica Saragat guardasse con scarsa simpatia e con diffidenza a quella trattativa diplomatica voluta dal ministro degli Esteri Nenni. Ne è prova la non comune iniziativa di Saragat di scrivere una lettera al presidente del Consiglio Colombo per mettere senza mezzi termini in guardia il governo contro il rischio di abbandonare milioni di cinesi di Taiwan al comunismo contro la loro volontà. La soluzione di compromesso raggiunta alla conclusione del negoziato con Pechino sul problema di Taiwan (una formula da lei definita anodina), era in linea con l’avvertimento.
Francesco Mezzalama, Roma
Caro Mezzalama,
Nei nostri negoziati con la Cina ci fu una inevitabile dose di politica interna. Il negoziato, come ho ricordato in una risposta precedente, iniziò quando il presidente del Consiglio era Mariano Rumor e il ministro degli Esteri Pietro Nenni; e terminò quando il presidente del Consiglio era Emilio Colombo e il ministro degli Esteri Aldo Moro. Ma forse conviene fare un passo indietro e ricordare che cosa era accaduto nei tre anni precedenti, soprattutto in campo socialista.
Nell’ottobre del 1966, dopo la riunione dei loro rispettivi congressi, i socialisti di Nenni e i socialdemocratici di Saragat celebrarono la loro riunificazione. Si chiudeva così, grazie a sondaggi e trattative durati poco meno di dieci anni, la frattura che si era aperta con la scissione di Palazzo Barberini nel gennaio del 1947. Sembrò che quell’evento avrebbe cambiato la mappa geografica della sinistra italiana e riequilibrato, a favore dei socialisti, i rapporti con il partito comunista. Ma le elezioni nazionali del maggio 1968 furono per il partito unificato una drammatica delusione. Quando erano separati, alle elezioni del 1963, i due partiti avevano ottenuto rispettivamente, alla Camera, il 13,8% e il 6,1%. Uniti, presero soltanto il 14,5%. Non basta. Mentre i comunisti nel 1963 avevano avuto alla Camera il 25,3%, nel 1968 presero il 26,9%. Per una operazione politica che si proponeva di strappare al Pci l’egemonia della sinistra, il voto del 1968 fu una sentenza di morte. L’esecuzione, tuttavia, fu ritardata di un anno. Dopo avere lungamente discusso se partecipare al governo di Mariano Rumor o appoggiarlo tutt’al più dall’esterno, i socialisti unificati decisero di entrarvi e Nenni divenne ministro degli Esteri. Ma il vecchio leader aveva bisogno di provare alla sinistra italiana che la sua presenza avrebbe avuto una influenza decisiva sulla politica estera nazionale, e propose subito il riconoscimento della Repubblica popolare cinese. Naturalmente Nenni non era né sciocco né ingenuo. Sapeva che l’Italia non poteva voltare le spalle all’Alleanza Atlantica e agire senza avere prima informato gli Stati Uniti. L’occasione venne nel dicembre 1968 quando Richard Nixon, da pochi mesi entrato alla Casa Bianca, fece una tempestosa e contestata visita a Roma. Mentre Rumor stava per appartarsi con l’ospite per una conversazione a quattr’occhi, Nenni gli bisbigliò: «Ti raccomando, digli della Cina; lo deve sapere prima lui». Rumor glielo disse e i negoziati per la ripresa dei rapporti diplomatici cominciarono a Parigi nelle settimane seguenti.
Ma il matrimonio socialista, nel frattempo, stava agonizzando. Alla riunione del Comitato centrale del partito unificato che si tenne a Roma nel luglio 1969, Nenni tentò di evitare un nuovo divorzio e fu sconfitto. Ciascuno dei due partiti tornò a casa propria e il vecchio Psi uscì dal governo. In quello che Rumor riuscì a formare in agosto, Aldo Moro sostituì Nenni agli Esteri e conservò l’incarico anche quando la presidenza del Consiglio, un anno dopo, passò a Emilio Colombo.
La lettera di Saragat, quindi, fu scritta fra l’agosto del 1970 e la firma dell’accordo italo-cinese il 6 ottobre dello stesso anno. Il presidente della Repubblica e i suoi socialdemocratici non erano più costretti a tenere conto delle esigenze dei loro vecchi compagni. E Saragat era più libero di esprimere la sua antica diffidenza verso i regimi comunisti. Aldo Moro, agli Esteri, recitò bene la parte che gli era più congeniale, quella del mediatore; e su Taiwan, alla fine, fu trovato un compromesso. I cinesi ribadirono che l’isola apparteneva alla Repubblica popolare e noi ci limitammo a prendere atto della loro dichiarazione, senza battere ciglio. Come sarebbe difficile fare politica estera senza un po’ d’ipocrisia.
Sergio Romano