Note: [1] Rocco Cotroneo, Corriere della Sera 21/2; [2] Roberto Romagnoli, Il Messaggero 21/2; [3] Alberto Flores dཿArcais, la Repubblica 22/2; [4] Omero Ciai, la Repubblica 20/2; [5] Zoé Valdés, la Repubblica 23/2 (traduzione di Fabio Galimberti); [6] Ca, 23 febbraio 2008
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 25 FEBBRAIO 2008
Fidel Castro, lìder maximo cubano che governava il Paese attraverso le tre massime cariche (presidente del consiglio di Stato, del governo, del partito), ha deciso di passare la mano. Di ”transizione”, almeno per adesso, è difficile parlare. In compenso, per la prima volta in mezzo secolo, esiste un minimo d’attesa: Rocco Cotroneo: «Quando Raúl sostituì Fidel malato, si parlò molto di una apertura economica (alla cinese) bilanciata da una stretta politica. Invece è successo il contrario. Di strutturale a Cuba in questi mesi è successo poco, mentre tutti discutono più liberamente di prima. C’è ancora la famosa libreta mensile, per ottenere quasi gratis cibo razionato. Ci sono i mercatini in valuta, ma un chilo di pomodori continua a costare un decimo dello stipendio medio». [1]
La doppia economia continua ad esaltare la professione di cameriere e di accompagnatrice per turisti e deprime tutte le altre. [1] Roberto Romagnoli: «Gli impiegati ricevono in media tra i 13 e i 20 dollari al mese. Vero è che l’economia informale, soprattutto quella turistica, fa ricadere entrate supplementari in molti nuclei familiari ma è fuori di dubbio che i cubani abbiano diritto a salari migliori. E poi basta con l’utilizzo della doppia moneta: una usata dai turisti che ha un cambio alla pari con il dollaro, l’altra - quella degli stipendi - che non vale quasi nulla». [2] Un professore universitario d’economia: «Il peso convertible (la moneta per i turisti che vale venti per cento più del dollaro, ndr.) è servito a sistemare qualcosa ma ha creato due mercati paralleli dividendo i cubani in pochi cittadini di serie A e in molti di serie B». [3]
A Cuba lo stipendio basta al massimo per la prima settimana del mese. L’obiettivo è di arrivare almeno alla terza. Omero Ciai: «Terra ai contadini, micro-aziende private, qualche lavoro in proprio. Per ora sono soltanto idee che il regime valuterà con molta attenzione per evitare che una anche timida apertura economica possa portare con sé una rivoluzione politica». [4] Flores d’Arcais: «Il problema del cibo, a volte anche quello di prima necessità come il latte, è un problema serio, che tocca gli strati più poveri della popolazione, cioè la maggioranza. ”La colpa è dell’embargo americano”, ripetono quasi tutti, anche se poi pochi sanno che le derrate alimentari che arrivano a Cuba sono al 70% di provenienza dagli Stati Uniti». [3] «Un Armageddon, con Cuba intera che vuole emigrare negli Stati Uniti», è questo nelle parole di Zoé Valdés, l’incubo di Washington. [5]
Con Raúl, al potere dal luglio 2006, è avvenuto un fenomeno dalle conseguenze incalcolabili. Carlos Franqui: «Il riconoscimento del totale fallimento del sistema. Secondo le sue stesse parole, Cuba è piena di marabú, un arbusto impenetrabile perfino per gli animali; per il responsabile dell’agricoltura nel Comitato centrale, ”il 50 per cento dei campi è ricoperto di marabú, il 30 per cento dei latifondi statali sono improduttivi e il resto delle terre, che sono nelle mani di contadini privati, non producono per mancanza di sistemi di trasporto e di credito e per impedimenti burocratici”». [6]
L’Isola è divisa in molte Cube. Franqui: «Vi è la Cuba nera e meticcia - oggi doppia rispetto alla bianca - con i suoi ritmi afrocubani, mentre quella bianca è cattolica. Il 25% delle famiglie bianche riceve in qualche modo dollari, quella nera quasi per niente: 100 dollari equivalgono a 2.500 pesos cubani, mentre il salario ufficiale è di 250 pesos, circa 10 dollari. Come accade anche a Haiti, la gente si rifugia nel sesso, nel ballo, nel rum, nei furti, nel mercato nero, nell’evitare il lavoro. Vi è poi la Cuba dell’interno del Paese e quella delle campagne che sta ancor peggio e che non dispone di acqua nemmeno per la doccia. E ancora: la Cuba del turismo sessuale e della prostituzione. E la Cuba dell’apartheid che dà tutto agli stranieri con i dollari, mentre impedisce ai cubani di godere delle proprie spiagge e ristoranti». [6]
Esistono quattro categorie di cubani e quattro corrispondenti modi di guardare al futuro. Innanzitutto gli anziani, quelli cioè nati prima della Revolucion, che hanno visto sorgere la stella di Fidel e tramontare quella di Batista. Il professor Tomas Labadinos, segretario della casa de la Cultura di Cienfuegos: «Per questi cubani cambiare sarebbe traumatico, nonostante la penuria alimentare, nonostante le ristrettezze sulla mobilità e sulle libertà individuali: anche se gli dovessero promettere migliori condizioni di lavoro, una paga decente, la possibilità di uscire da Cuba e, ovviamente, libere elezioni, direbbero no grazie». [7]
Poi ci sono i giovani, ragazzi e ragazze che si sposano a 18 anni e mettono su famiglia, che vanno all’università e studiano per diventare dottori, ingegneri, biologi. Labadinos: «Loro sì che vorrebbero che tutto cambiasse, soprattutto desidererebbero poter andare all’estero, visitare gli altri Paesi, lavorare fuori Cuba, vedere cioè quel mondo che fino ad oggi hanno potuto osservare solo sui ritagli che la televisione di Stato gli concede pescandoli qua e là dalla Cnn, da France2, dalla Bbc. Per loro Fidel è un vecchio padre, non lo odiano, ma lo reputano sorpassato». [7]
Dividere i cubani solamente in vecchi e giovani sarebbe miope. Labadinos: «I cittadini, i cosmopoliti, giovani o vecchi non importa, hanno una sola vera paura: che scoppi la guerra civile, che la Cuba poverissima e diseredata scateni una rivolta contro la Cuba dell’Avana, della burocrazia, dei piccoli e grandi affari tollerati o incoraggiati dal regime». I cubani di campagna sono i più fedeli sostenitori del Comandante supremo: «Per loro Castro non morirà mai e non cesserà mai di proteggerli. E del nuovo, del libero mercato, dell’America che sta a sessanta miglia hanno paura. Non è un caso che Fidel e Raul abbiano sempre pescato le leve della polizia fra i guajiros, i bifolchi delle province orientali, quasi sempre mulatti o neri, gente senza nessuna istruzione ma fedelissima». [7]
La corruzione avanza. La sanità pubblica, fiore all’occhiello del regime, è in crisi perché medici e risorse se ne sono andati in Venezuela. Rocco Cotroneo: «La lista di cui sopra non è tratta dalle dichiarazioni di un dissidente, né da un sito di Miami: è una sorta di hit parade degli argomenti più discussi a Cuba negli ultimi mesi, nella moderata glasnost lanciata da Raúl. Alcuni di questi temi, quello della sanità per esempio, hanno guadagnato le pagine di Granma, giornale ufficiale. Fatto impensabile nella Cuba integralista che Fidel ha retto per mezzo secolo». [1]
Su internet è stato diffuso il filmato di due studenti cubani della Uci, l’Università di scienze informatiche (una facoltà dove studia solo la crème de la crème) che affrontano Ricardo Alarcón, presidente dell’Assemblea nazionale del potere popolare. Zoé Valdés: «Lo studente Eliécer Ávila Cicilia è quello che ha espresso più apertamente il suo pensiero (si era portato addirittura delle note scritte), chiedendo perché un operaio dovesse lavorare due giornate lavorative per comprare in dollari uno spazzolino da denti, perché la moneta nazionale corrente fosse il dollaro, perché i cubani non potessero viaggiare anche se volevano fare turismo patriottico o ideologico». [5] Ciai: «Un esilarante Alarcon ha dovuto spiegare agli studenti che se tutti potessero viaggiare ci sarebbe troppo affollamento nei cieli». [4]
Nell’isola tira da tempo un’aria di riforme non più prorogabili. Romagnoli: «E cosa c’è in cima ai desideri dei cubani? Tra le cose che possono apparire tra le più banali ma che, anche nella letteratura cubana, ricorre con frequenza, è il funzionamento degli ascensori che spesso giacciono inermi a porte spalancate negli enormi palazzoni dell’Avana. Fonti di maledizioni e di collera, gli ascensori mal funzionanti dell’Avana sono una delle tante piaghe della società rivoluzionaria. Ma sette, otto, nove piani a piedi non sono nulla rispetto al cammino che conduce ai grandi sogni». [2]
I cubani sognano di vedere abolita la figura dello spione (spesso spiona) di palazzo o di isolato che sa, controlla e riferisce tutto se non gli conviene stare zitto. [2] Il potere repressivo passa attraverso il controllo minuzioso e pedante che i Comité de Defensa Revolucionaria praticano nella vita quotidiana della gente comune. Mimmo Cándito: «Basta essere stati anche soltanto qualche giorno a Cuba, e aver avuto un pur minimo contatto con un cubano, per cogliere il senso di quella sorveglianza, davvero orwelliana». [8]
I cubani vorrebbero poter possedere un’auto. Romagnoli: «Un possesso che oggi è solo virtuale in quanto chi ha un’auto non può rivenderla a un privato ma solamente allo Stato. Si insegue il sogno di poter trovare nei negozi qualcosa alla moda, di poter accedere liberamente a Internet, di poter andare a pesca con una barca propria e non farlo con il rischio di dover dividere il pescato con un poliziotto compiacente o di beccarsi una multa». [2] Flores d’Arcais: «Al contrario dei turisti che invadono l’isola, i giovani cubani hanno smesso da tempo di essere affascinati dalla politica e da una propaganda sempre più vuota». [3]
Un popolo totalmente alfabetizzato avrebbe voglia di trovare nelle librerie non solo testi di propaganda o agiografie di miti della rivoluzione. Romagnoli: «E uscendo dal materialismo frustrato si entra nel campo del multipartitismo, di candidati non imposti, di abolizione del sistema poliziesco, di abbattimento della bucrocrazia. Cuba attende un’altra rivoluzione». [2] Cándito: «La Revoluciòn ha diffuso in questi mesi di poteri ”interinali” il convincimento che il sistema sta preparando un’apertura reale, lenta forse ma anche certa». [8]
I cubani non si aspettano un passaggio alla democrazia o libere elezioni. Flores d’Arcais: «Ma chiedono che almeno sia possibile aprire nuovi ”business”, possedere una casa, avere la possibilità di viaggiare all’estero. quella che viene definita l’’onda blanda”, un’apertura graduale ai mercati, appunto i piccoli passi». [3] Arrigo Levi: «Juan Bautista Alberdi, maestro di liberalismo nell’Argentina dell’Ottocento, osservava, nel 1837, che ”le Nazioni, come gli uomini, non hanno ali; fanno il loro viaggio a piedi, un passo dopo l’altro”. L’importante è non stare fermi; come era ferma la Cuba di Fidel». [9]