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 2008  febbraio 21 Giovedì calendario

Università, una su tre è al dissesto. Il Messaggero 21 febbraio 2008. C’è chi rischia «sanzioni» e perfino il «commissariamento» se non farà piani di rientro per risanare i conti

Università, una su tre è al dissesto. Il Messaggero 21 febbraio 2008. C’è chi rischia «sanzioni» e perfino il «commissariamento» se non farà piani di rientro per risanare i conti. Venti atenei sono sull’orlo del «dissesto finanziario» con bilanci ballerini e sempre più in rosso. Non sono i soli. Qualche altro è sulla stessa strada con «conseguenze devastanti per la ricerca». «E’ proprio sulla ricerca che tagliamo, le altre spese, tra stipendi e costi di funzionamento, sono incomprimibili». A parlare è Alessandro Finazzi Agrò, rettore di Tor Vergata, una delle università in buona salute. «La follia - continua il rettore - è che il 90% per cento dei Finanziamenti ordinari serve a coprire gli stipendi, con il 10% che resta dovremmo fare tutto, dagli appalti per le pulizie al riscaldamento, alle manutenzioni degli edifici, alla ricerca. Stretti tra l’incudine e il martello molti atenei ”ammorbidiscono” i bilanci per raggiungere il pareggio imposto dalla legge. Un’imposizione che è una vera istigazione a delinquere. Il risanamento va fatto in altro modo. E’ amaro dirlo, ma tra ritardi storici e esiguità dei fondi, se non avessimo i soldi americani e europei, e se non ci fossero gli introiti delle commesse dei privati, la ricerca sarebbe già morta». Siena per gli stipendi ha speso il 101,1% del Finanziamento ordinario (Ffo); Firenze il 99,4%; Napoli, seconda università, 98,8%; Pisa, 96,9%; Bari, 95,8%; Messina, 91%; sono alcuni degli atenei con la maglia nera per avere superato il tetto di spesa. Di contro ci sono una ventina di atenei virtuosi che per la prima volta avrebbero meritato gli «incentivi» promessi dal Patto per l’università dello scorso agosto, siglato tra i vertici accademici e il Governo. Ma le risorse sono state annullate e il Patto è stato tradito (i fondi sono stati usati per tamponare la vertenza dei trasportatori). Ora i «creditori» fanno parte di una lista pubblicata dal Ministero dell’Economia ma non sanno se e quando vedranno i sospirati stanziamenti aggiuntivi. «Si tratta di università meritevoli - spiega ancora Finazzi Agrò - sottofinanziati in rapporto a strutture e servizi». L’Università degli Studi di Torino guida la classifica del merito, dovrebbe incassare 39,88 milioni di euro. Segue il Politecnico di Milano, che vanta 36,55 milioni di euro; al terzo posto Tor Vergata (unica tra le università romane), che dovrebbe avere 32,76 milioni di euro. C’è anche Bologna, con 26,08 milioni di euro. Ma la lista ne comprende altre, come riporta il grafico in pagina. Intanto per i consigli di amministrazione delle 77 università italiane è sempre più difficile chiudere in pareggio. «La Sapienza negli ultimi 5 anni ha perso 200 milioni di euro - sostiene il rettore Renato Guarini - Per colpa dei tagli e per i criteri di suddivisione dei fondi, gli stessi che valgono per le piccole università. Come chiuderemo il bilancio? Abbiamo un disavanzo di 30 milioni di euro ma ricorreremo a un ”pareggio tecnico” essendo creditori di 137 milioni di euro che l’Umberto I, della vecchia gestione, ancora ci deve». Per rimettere in sesto le casse universitarie e colmare il ”buco” che si è spalancato negli ultimi anni si calcola che occorra un miliardo di euro. La stima è di Guido Trombetti, presidente della Conferenza dei rettori. Il grido di dolore tuttavia non servirà a ridare ossigeno, soprattutto per i piccoli atenei è quasi impossibile sostenere le spese crescenti a fronte di finanziamenti statali insufficienti. «Il problema vero non sono le risorse - afferma Roberto Perotti della Bocconi di Milano - molte università sono dissestate non solo finanziariamente ma accademicamente, se venissero chiuse ne guadagneremmo tutti, perché il male non è curabile con una iniezione di fondi. tanti disastri sono avvenuti per colpa della colonizzazione di intere famiglie. Mussi si è speso con una valanga di parole ma non ha risolto niente. Ci vorrebbe un intervento drastico e non i brodini caldi degli ultimi cinquant’anni». Intanto sui Cda incombe la scadenza di marzo. Tra poco più di un mese gli atenei depositeranno i conti a consuntivo (in dicembre hanno presentato i bilanci previsionali). E sarà il momento della verità. La legge impone almeno il pareggio. Però il disavanzo aumenta. E non bastano più le ardite manovre per registrare introiti da vendite immobiliari (talvolta fittizie) altre vere. Secondo il Ministero di Padoa Schioppa sono una ventina gli atenei a rischio. Nel libro sulla ”Spesa pubblica” il Ministero individua le università ”sprecone”, che hanno sforato i tetti di spesa, e quelle ”virtuose”, che non solo hanno gestito con oculatezza le risorse, ma che presumibilmente hanno attirato fondi da sponsor esterni. Dice con un sorriso Ezio Pelizzetti, rettore della Statale di Torino: «Vero, siamo creditori di oltre 40 milioni di euro. Ma la distribuzione premiale è rimasta nel cassetto. Non speravamo di ricevere tanti soldi in un colpo solo, in ogni caso l’adeguamento lo aspettavamo in non più di tre anni. Il sistema aveva bisogno di un segnale così, invece... ancora una volta è tutto sfumato e se si lavora bene o male non fa differenza». Ma come ha fatto la Statale di Torino a raggiungere buoni risultati? «Gli incentivi, basati su criteri valutativi, potevano creare competizione, purtroppo si è bloccato tutto. Però noi, già dal 2002, abbiamo varato un piano che si concluderà nel 2012 per ottimizzare la gestione. Abbiamo inoltre svecchiato il corpo docente con quasi 700 concorsi per giovani ricercatori in sette anni, senza per questo disperdere le competenze degli anziani». Anche Giulio Ballio, rettore del Politecnico di Milano, ha il vanto di governare un ateneo al top. «E’ frustrante non ricevere il riconoscimento, siamo al servizio del Paese, con quei soldi avremmo potuto realizzare cose importanti, non dimentichiamo che la competizione internazionale è sempre più aggressiva. E poi ci lamentiamo della fuga di cervelli, un sistema sottofinanziato è pericoloso, rischiamo di perdere ancora terreno. Il merito è calpestato, ai miei studenti consiglio di andare all’estero. In che modo abbiamo ottenuto buoni risultati? L’ho spiegata al rettore di Zurigo che ha finanziamenti otto volte superiori ai nostri. I ”miracoli” li facciamo lavorando il doppio, anche se siamo pagati la metà». E gli atenei meno virtuosi? Il Ministero dell’Economia li mette ai raggi X: «Per anni le università hanno preferito spendere risorse per garantire la progressione di carriera dei docenti». Però il ministero ammette che «l’incidenza della spesa per l’università sul Pil è ai valori minimi rispetto ai Paesi Ocse, con l’aggravante di un tasso di crescita fra i più bassi in assoluto». Altro dato emblematico è il costo per studente, da noi largamente inferiore a quello dei Paesi con i quali siamo in competizione: a parità di potere di acquisto la nostra spesa è di soli 5.658 dollari contro la media Ue di 6.962 e una media Ocse di 8.093. A ciò si aggiunge la discontinuità dei finanziamenti pubblici e in «parte l’uso disinvolto - continua il Ministero - dell’autonomia universitaria». Sotto accusa stavolta finiscono i concorsi e la pletora delle lauree. ANNA MARIA SERSALE