Alberto Alesina, Il Sole-24 Ore 21/2/2008, pagina 1., 21 febbraio 2008
Il piccolo Kosovo, la grande economia e i confini sbagliati. Il Sole-24 Ore, giovedì 21 febbraio La dichiarazione di indipendenza del Kosovo e l’immediato riconoscimento da parte di Stati Uniti e vari Paesi europei (nella speranza che gli altri lo facciano presto: a proposito, dove è finita la tanto sbandierata politica estera comune?) sollevano, al di là degli elementi specifici dello Stato balcanico, due questioni importanti di natura più generale
Il piccolo Kosovo, la grande economia e i confini sbagliati. Il Sole-24 Ore, giovedì 21 febbraio La dichiarazione di indipendenza del Kosovo e l’immediato riconoscimento da parte di Stati Uniti e vari Paesi europei (nella speranza che gli altri lo facciano presto: a proposito, dove è finita la tanto sbandierata politica estera comune?) sollevano, al di là degli elementi specifici dello Stato balcanico, due questioni importanti di natura più generale. possibile per un Paese molto piccolo sopravvivere economicamente? Come si deve reagire ai movimenti indipendentisti, con simpatia e supporto politico, oppure no? La risposta alla prima domanda è più semplice: non esiste alcuna correlazione tra dimensione dei Paesi e livello di reddito pro capite. Vi sono Paesi grandi e ricchi (come gli Usa), grandi e poveri (Pakistan), piccoli e ricchi (Singapore, Svizzera), piccoli e poveri (molti africani). In Europa, pare siano proprio i Paesi più piccoli, dall’Irlanda alla Danimarca, i più rapidi nell’uscire con fantasia dall’eurosclerosi, mentre i grandi, come Francia, Italia e Germania, fanno più fatica. Un fattore fondamentale rende i Paesi piccoli capaci di sopravvivere: il commercio internazionale e l’integrazione finanziaria. Continua u pagina 10 Servizi u pagina 10 Un Paese piccolo può sopravvivere se il suo mercato (in cui vendere e comprare) è il mondo intero, ma non sopravviverebbe come economia chiusa, perché non sarebbe sufficientemente differenziata. Quindi i Paesi piccoli, come il Kosovo, hanno bisogno del libero commercio e della globalizzazione: con essi possono sopravvivere, senza di essi no. D’altro canto, un mondo popolato da Paesi piccoli più difficilmente ricadrebbe nel disastro delle guerre commerciali, appunto perché i Paesi piccoli non le vorrebbero. La storia ce lo insegna. Nel caso specifico del Kosovo, è quindi fondamentale che gli altri Paesi vicini nei Balcani e la Russia non lo soffochino economicamente, chiudendosi al commercio internazionale con esso. Ecco perché è importante il supporto americano ed europeo. La seconda domanda è più difficile e naturalmente non esiste una risposta che valga per qualunque episodio di separatismo, ma vale la pena partire da alcune considerazioni, sia pure ovvie. Storicamente sono spesso state le dittature, come la Cina e l’Urss (e anche la Germania nazista ci ha provato) che hanno costruito Paesi (o imperi) molto grandi, oltre agli imperi coloniali degli Stati europei. Quando queste costruzioni antidemocratiche sono crollate, il separatismo è esploso (o riesploso), come recentemente nei Balcani, appunto, o in Iraq. Storicamente, democratizzazione e separatismo sono spesso andati di pari passo. Infatti, se, come si diceva, i Paesi piccoli possono sopravvivere economicamente, allora, in un’analisi di costi e benefici, prevale il desiderio di separarsi per creare comunità più uniformi in termini etnici, religiosi o linguistici. Certo, in un mondo ideale tutti andrebbero d’accordo con chiunque, ma purtroppo per il momento non è così. Basta guardarsi intorno per vedere in ogni parte del mondo conflitti etnici e religiosi. E allora, quando è possibile, meglio lasciare spazio a separazioni, piuttosto che tenere in piedi a forza matrimoni falliti che spesso degenerano in esplosioni violente. Anche gli Stati Uniti, il "melting pot" per eccellenza, sono passati da una guerra di secessione straordinariamente sanguinosa e violenta per mantenere l’unità. Ne valse la pena? Difficile dirlo. Spesso i conflitti etnici sono il risultato di confini assurdi lasciati dai colonizzatori europei quando si sono ritirati. In Africa l’80% dei confini è rappresentato da meridiani e paralleli: i colonizzatori non avevano alcuna idea di come separare o unire vari gruppi etnici e non se ne curarono minimamente, creando una delle cause prime della tragedia dell’Africa di oggi. Molti dei movimenti separatisti e dei conflitti etnici attuali dipendono ancora direttamente o indirettamente da errori fatti a Versailles nel 1919, quando le potenze vincitrici ridisegnarono i confini politici nel mondo curandosi ben poco delle esigenze e dei desideri delle diverse nazionalità in campo. Certo, non è sempre possibile ridisegnare i confini per garantire autonomia a chi la desidera. La distribuzione sul territorio di diverse etnie può renderla impossibile. La distribuzione di certe risorse minerarie può creare enormi ostacoli (si pensi alla Cecenia). Ma la comunità internazionale farebbe male a guardare con antipatia a qualunque movimento indipendentista sulla base del principio che i confini attuali siano uno status quo immutabile. Mantenere lo status quo è spesso molto più costoso che permettere e facilitare un aggiustamento, proprio perché lo status quo è il risultato di processi altamente imperfetti che hanno creato mostruosità nei confini degli Stati. Sicuramente i "melting pot" che hanno successo generano creatività e tolleranza (vedi gli Stati Uniti di oggi), ma quando certi gruppi non riescono a condividere un governo, una bandiera e un complesso di scelte politiche e vogliono, democraticamente si badi, separarsi, il mondo deve guardar loro con simpatia, e non con una preconcetta avversione in difesa della sacralità dei confini. Alberto Alesina