Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  febbraio 21 Giovedì calendario

Jannuzzi dai balli con la Loren agli sms con la Finocchiaro. Corriere della Sera, giovedì 21 febbraio Roma

Jannuzzi dai balli con la Loren agli sms con la Finocchiaro. Corriere della Sera, giovedì 21 febbraio Roma. La prima telefonata è di Sophia Loren. Raffreddata, da Ginevra: «Lino, fai ottant’anni! Auguri a te!». Jannuzzi quasi si commuove. Fuori, in fila per entrare da Fortunato al Pantheon, ristorante requisito per l’occasione, ci sono quasi tutti i suoi colleghi senatori, compreso il presidente Marini. «Giuliano Ferrara viene di sicuro. Veronica Berlusconi, spero di sì. Silvio, spero di no. Se non viene, vuol dire che forse mi ha perdonato. Se viene, è finita ». Niente rielezione al Senato. «Stavolta Berlusconi e Ferrara hanno litigato davvero, per la lista contro l’aborto, e ci vado di mezzo io. Ma la colpa è anche vostra, del Corriere. Quest’estate Fabrizio Roncone riferì una mia innocente battuta...». Innocente? «Berlusconi era stato fotografato con le escluse del Grande Fratello. Feci notare che io ai tempi giravo con Sophia Loren e Claudia Cardinale. Sono le cose per cui Silvio si offende. Ma che ci posso fare? vero. Avevo vent’anni, Sophia quattordici. Lei ha idea di cos’era la Loren a quattordici anni? Una valchiria mediterranea. La notte andavamo a ballare il boogie-woogie al Serapide, un night di Pozzuoli. Poi ci siamo ritrovati a Roma. Claudia Cardinale invece ha dieci anni meno di me: la conobbi quando stava con Cristaldi, poi purtroppo scappò con Squitieri, che faceva il giornalista a Paese Sera... ». Lui, Jannuzzi, era all’Espresso.«Giornale da sogno. Benedetti, il fondatore, che mi adorava perché gli raccontavo i retroscena della politica e lo accompagnavo al Piper; era pazzo di Patty Pravo. Scalfari, grande direttore, anche se troppo moralista per capire la politica. Saviane. Da Mosca collaborava Enzo Bettiza, che incontrai a Praga nel ’68: partimmo insieme per un giro nelle capitali dell’Est, e lui ovunque a Bucarest come a Belgrado padroneggiava la lingua e aveva almeno una fidanzata; io, che oltre al napoletano parlo solo un poco di francese e sono stato tutta la vita con mia moglie Mariolina, ne ero ammirato. E poi Sandro Viola, arbitro d’eleganza, uno che non ha mai sbagliato un vino in vita sua. Viola è anche un discreto giocatore di poker, come Caracciolo, che però è meglio come scacchista; bravino Celentano, che teneva tavolo all’Hilton; Gawronski è sopravvalutato, la sua è fortuna; il miglior pokerista con cui mi sia mai confrontato è Renato Salvatori, il protagonista di Rocco e i suoi fratelli. All’Espresso c’era anche Ugo Gregoretti, genio dei titoli. Ma il titolo sul piano Solo lo fece Scalfari in persona: «Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di Stato». Il che, quando fummo condannati, gli costò un mese in più». «Il piano Solo ce lo fece trovare Ferruccio Parri». Parri? L’azionista che Giannini chiamava Fessuccio Parmi? «Parri, come tutte le persone davvero accorte, simulava ingenuità ma era scaltro come una faina. Aveva mantenuto i rapporti con i servizi inglesi che aveva stretto durante la Resistenza, e con gli agenti che aveva piazzato nei servizi italiani quand’era presidente del Consiglio. Andò così. Io ero in Sicilia per storie di mafia, quando mi chiama Scalfari: "Lino torna subito a Roma, l’Europeo ci sta stracciando sulle schedature Sifar", lo scandalo del momento. Besozzi e soprattutto Trionfera ci avevano crivellati di buchi. Vado a seguire il dibattito alla Camera, sento l’onorevole Anderlini, uomo di Parri, che rivolto a Moro allude a una misteriosa "notte dei colonnelli", e vedo Moro che sbianca, quasi si affloscia. Raggiungo Anderlini alla buvette, e sono lui e Parri a mettermi sulle tracce del piano Solo. Segni, vista la crisi del centrosinistra, pensava a un governo Merzagora con i voti missini, ma non voleva finisse come Tambroni. De Lorenzo, allora comandante dei carabinieri, gli promise che la notte precedente il varo del governo avrebbe spedito in Sardegna tutti coloro che potevano ostacolare i progetti del Quirinale. Scrissi, e fummo indagati. Il pm Occorsio, sulle prime spietato, quando fece sequestrare il piano presso il comando generale dei carabinieri capì, e chiese l’assoluzione. Moro però impose i 75 omissis che ci costarono la condanna». «Nulla di drammatico, per carità. Nenni, che pure aveva scritto del "rumore di sciabole", in realtà sul piano Solo era scettico, e ci tranquillizzò: "A ogni elezione – disse a me e Scalfari ”, nelle mie Romagne facevo di tutto per farmi arrestare, in modo che i compagni fuori fossero obbligati a candidarmi e farmi eleggere. Faremo lo stesso con voi". Un’altra volta, a Franco morente o appena morto, Nenni mi accompagnò in Spagna sui luoghi della guerra civile, quasi con nostalgia: "Se ci fosse stato davvero il colpo di Stato, ci saremmo divertiti...". Invece Craxi prese l’allarme golpe molto sul serio. Non è vero che la sua ruggine con Scalfari nacque durante la campagna elettorale del ’68, anzi, Bettino aiutò Eugenio, che infatti fu eletto. Io fui dirottato da Giacomo Mancini a Sapri, collegio considerato impossibile. Vinsi grazie allo slogan: " tornato Pisacane"». «Una sera del ’68 venne a suonarmi al citofono un giovane deputato cui avevo rischiato di distruggere la carriera: Francesco Cossiga, che era stato l’uomo di collegamento tra Segni e i servizi segreti. Pensavo volesse insultarmi; diventammo grandi amici. Da oltre 40 anni Cossiga è l’uomo più informato d’Italia. Solo gli stolti pensano che parli a vanvera. Dice solo cose vere, ma ne dice troppe. Parlasse una volta l’anno, farebbe crollare ogni volta il Palazzo; invece parla tutti i giorni. Il caso Moro rischiò di ucciderlo: Cossiga non aveva il cinismo di Andreotti né la pusillanimità di Zaccagnini; se non fosse stato ministro dell’Interno, si sarebbe inventato qualcosa per salvare Moro ». Perché per Andreotti lei si accalorò tanto? «Perché abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto. E perché la Dc di Andreotti seppe contenere sia i comunisti sia la mafia. Vede, io non dubito che Bassolino non abbia rapporti con la camorra. Infatti sotto il suo regno la camorra si è arricchita. Ai comizi di Gava i camorristi erano in prima fila; ma quando scendeva dal palco si affrettavano a baciargli l’anello con pietra preziosa, detto "o ciciniello". Al più, venivano assunti come portantini. Ora nominano i primari. Questo me l’ha insegnato Sciascia: la politica controlla la mafia, e la governa; distrutta la politica, la mafia spadroneggia. Fui io, quando ruppe con il Pci, a convincere Sciascia ad accettare la candidatura con Pannella, per avere il piacere di pranzare con lui ogni giorno a Roma. Ci vedevamo in questo ristorante, a quel tavolo d’angolo. Parlavo sempre io. Quel che mi disse Sciascia in tre anni non basterebbe per una pagina di giornale». «Berlusconi l’ho conosciuto a cena con Lina Wertmüller, che girava un film con Veronica Lario, incinta al settimo mese. Silvio arrivava quasi ogni sera, con il suo aeroplanino privato, non grande come quelli di oggi; ma poi passava tutto il tempo al telefono, a informarsi sull’audience delle sue tv. Mi offrì di condurre una versione italiana di "Sixty minutes". Invece feci il consulente per tutte le trasmissioni di Ferrara, che incontrai quando aveva appena lasciato il Pci, nell’82. Tutte le sere a cena da Checchino, di fronte al mattatoio, il che non ha giovato alla nostra salute. Ferrara fu affascinato da Craxi come lo era stato da Stalin, da Togliatti, e poi da Berlusconi. Questa è la causa della crisi attuale: Ferrara fatica a riconoscere nel Berlusconi di oggi l’uomo forte, il conquistatore. E dire che negli ultimi mesi si erano riavvicinati, Giuliano era più disponibile, mi difendeva persino la Brambilla. Poi è arrivata questa storia dell’aborto... speriamo non venga Silvio, ma Anna». Chi? «La Finocchiaro, no? Splendida donna e politica di carattere: con un altro capogruppo al Senato, Prodi non sarebbe durato un giorno. Ho imparato a usare gli sms solo per scrivere a lei, ma mi risponde sempre il giorno dopo. Mi dicono però che agli altri non risponde neppure, quindi... ». Aldo Cazzullo