Guido Santevecchi, Corriere della Sera 21/2/2008, pagina 27., 21 febbraio 2008
La valle dei ragazzi che si uccidono. Corriere della Sera, giovedì 21 febbraio Londra. La stampa nazionale ha scoperto la storia tre settimane fa, quando hanno trovato Natasha, una ragazza di 17 anni: si era impiccata a una trave della camera da letto nella sua casa di Bridgend, nel Sud del Galles
La valle dei ragazzi che si uccidono. Corriere della Sera, giovedì 21 febbraio Londra. La stampa nazionale ha scoperto la storia tre settimane fa, quando hanno trovato Natasha, una ragazza di 17 anni: si era impiccata a una trave della camera da letto nella sua casa di Bridgend, nel Sud del Galles. Natasha era la settima adolescente che si era tolta la vita nell’ultimo anno nella zona. Poi si è saputo che i suicidi di minorenni nella vallata erano una dozzina, tutti impiccati. I giornali hanno cominciato a parlare della «capitale britannica del suicidio», di una «setta della morte» alimentata dai siti Internet, della rete che forse legava quei ragazzi in una disperata ricerca di farsi notare. La polizia del Galles ha negato che ci fosse un collegamento: certo, alcune delle vittime si frequentavano, com’è naturale in una piccola zona popolata da 130 mila anime; diverse di loro erano affezionate ai siti di relazioni sociali come Bebo. Ma anche questo non prova niente, perché secondo una statistica (la Gran Bretagna è il regno dei sondaggi) un britannico su quattro si collega 23 volte al mese a Bebo, Facebook o MySpace, per una media di 5.3 ore, il record mondiale dopo il Canada. Per qualche giorno silenzio. Poi, il 4 febbraio hanno trovato Angie, diciottenne, impiccata. Il 13 Nathaniel, quindicenne: era ancora vivo, con il cappio stretto al collo, ma i medici hanno detto subito che non c’erano speranze. Quando lo hanno detto alla cuginetta Kelly, che era in vacanza con i suoi in Inghilterra, lei è andata in camera, è salita su una scaletta e si è impiccata. L’altro giorno il diciassettesimo corpo lo ha visto un signore che portava a spasso il cane in campagna vicino a Bridgend: la sedicenne Jenna pendeva da un albero. Il capo della polizia locale ha chiamato i giornalisti, i grandi inviati dei grandi giornali venuti da Londra e ha detto: «Non stiamo indagando su una trama di patti suicidi, su fatti connessi a Internet. Ma stiamo parlando ai ragazzi di Bridgend, e sono vulnerabili e quello che ci raccontano è che la pressione della stampa comincia a influire sui loro pensieri, su come si sentono, cone si vedono e come sono visti. L’unico legame in questi fatti terribili siete voi, i giornali e le televisioni di questo Paese ». Accanto all’ispettore c’erano i genitori di Nathaniel. Si tenevano per mano mentre la mamma diceva al microfono: «Noi non abbiamo mai creduto alla storia del patto online e anche la vita a Bridgend non c’entra niente: questo è un bel posto». Le testimonianze sono difficili da tessere insieme. Per esempio dicono che Jenna fosse sconvolta dalla fine di Zachary, il cugino della sua migliore amica, Jessica, che si era impiccato ad agosto. Ma la mamma di Jessica ricorda di aver visto Jenna la sera prima che andasse nel bosco, e che «era normale, come tutti i ragazzi della sua età: rideva e scherzava senza pensieri e aveva tutti i motivi per vivere ed essere felice». Tutti i genitori dei diciassette adolescenti sono sicuri di questo: i loro figli non erano cupi, non erano depressi, non avevano fatto temere niente. Però si sono impiccati tutti, apparentemente senza un motivo. E siccome erano ragazzini, non si interessavano alle statistiche secondo le quali 17 suicidi su 130 mila abitanti sono «poco al di sopra della norma ». I giornalisti polemizzano anche tra di loro. Philip Irwin, cronista di provincia, spiega che «la gente di Bridgend non si riconosce nel quadro tracciato sulla stampa nazionale, non si sente di essere parte del "villaggio depresso dove si allunga una catena di suicidi stretta via Internet"». Non c’è collegamento, non c’è «epidemia di suicidi», «effetto emulazione» come hanno ipotizzato diversi esperti sostenendo che forse i ragazzi vedono la morte come la grande occasione di diventare famosi nei siti, sulle prime pagine. Ma polizia, autorità cittadine, associazioni di volontariato hanno organizzato una task force anti-suicidi e secondo le ultime cronache seguono la posta dell’Effetto Werther, il nome dato a una serie di suicidi nel milleottocento, dopo la pubblicazione del romanzo tragico di Goethe. Un altro titolo ad effetto. Guido Santevecchi