Il Messaggero 16 febbraio 2008, CARLO JEAN, 16 febbraio 2008
Belgrado quel mezzo si. Il Messaggero 16 febbraio 2008. IL riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte degli Usa e di gran parte degli Stati membri dell’UE potrebbe fare scoppiare una crisi fra l’Occidente e la Russia
Belgrado quel mezzo si. Il Messaggero 16 febbraio 2008. IL riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte degli Usa e di gran parte degli Stati membri dell’UE potrebbe fare scoppiare una crisi fra l’Occidente e la Russia. La questione sembra quasi irreale. Occorre però ricordare che come ha detto Winston Churchill i Balcani hanno creato più storia di quanta ne potessero digerire. Come può oggi una piccola, povera e isolata provincia determinare una crisi se non molto limitata? Si può capire che i Serbi si sentano umiliati, traditi e puniti ancora una volta dall’Occidente, di cui sono persuasi di essere la ”nazione martire”, per aver combattuto a lungo l’impero ottomano e contrastato la sua avanzata verso il cuore dell’Europa. Ma, il loro nazionalismo violento gli ha attirato contro opposizioni fondate. Molti di loro sanno da tempo che il Kosovo e i suoi monasteri erano perduti. Se ne erano accorti già durante la guerra di Bosnia, quando i Serbi delle Krajine, cacciati dai Croati, non avevano voluto andare in Kosovo. Penso che a Belgrado ci si renda conto che non ha senso per il futuro della Serbia cercare di mantenere una semplice sovranità formale sul Kosovo, rinunciando ai vantaggi dell’integrazione in Europa. Nella riunione del Consiglio Nazionale di Sicurezza Serbo del 12 febbraio scorso, sembra che proprio questa sia stata la conclusione. La Serbia probabilmente si limiterà ad incassare il veto russo per impedire che il Kosovo divenga membro dell’Onu, a richiamare gli ambasciatori dai paesi che avranno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo ed a cercare di ottenere la massima autonomia e possibilmente l’unione a Belgrado del 5% del territorio kosovaro situato a nord del fiume Ibar, in cui vivono metà dei Serbi rimasti nella provincia. Con toni accorati, il premier Vojislav Kostunica ha informato la nazione di prepararsi psicologicamente alla dichiarazione d’indipendenza del Kosovo. A quanto si sa, Belgrado non taglierà né l’elettricità né i viveri ai Kosovari. Non farà poi ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia per ottenere il ripristino della propria sovranità. Se lo facesse, riconoscerebbe implicitamente il nuovo Stato. Non potrà far condannare il Kosovo dal Consiglio di Sicurezza. I veti degli Usa, della Francia e del Regno Unito impediranno anche sanzioni contro il nuovo Stato. Ancora una volta l’Onu sarà umiliato. La sua missione nel Kosovo si prepara a fare le valigie e sarà sostituita da funzionari dell’UE, che cercheranno di aiutare la normalizzazione del Kosovo. Nulla o poco cambierà. Gli europei continueranno a pagare e la Nato a garantirne la sicurezza. Gli Usa ed i principali Stati europei anche se avrebbero preferito un accordo fra Serbi e Kosovari riconosceranno la dichiarazione unilaterale d’indipendenza, per gli stessi motivi per cui erano intervenuti in Bosnia nel 1995 e contro la Serbia nel 1999. In entrambi i casi, avevano difeso popolazioni musulmane. Tale motivo è ancora più forte oggi. Infatti, l’Occidente cerca in ogni modo di migliorare la propria immagine nell’Islam, che segue attentamente l’intera vicenda. Poi, se l’Occidente frenasse ancora l’indipendenza, dimostrerebbe di avere paura delle minacce fatte alquanto sconsideratamente da Putin. Perderebbe ogni credibilità, proprio ora che la Nato sta preparando il Summit di Bucarest, dove gli Usa ne proporranno l’allargamento all’Ucraina e alla Georgia. Chi uscirà peggio dalla vicenda è Mosca. Sicuramente, ha appoggiato Belgrado nella vicenda kosovara, non solo per solidarietà panslava e ortodossa, né solo per la speranza di dividere gli Usa dall’Europa e gli Europei fra di loro, ma per ragioni più profonde. Esse risalgono ai bombardamenti del 1999. Allora, la Nato ignorò le minacce di Eltsin e umiliò in ogni modo la debole Russia, non concedendole neppure un settore di responsabilità in Kosovo. Oggi Putin afferma che la Russia è tornata grande potenza, dopo il tradimento degli oligarchi ”cosmopoliti”. Mostra perciò i muscoli quando gli capita l’occasione. Questa volta gli è andata male. Per opporsi all’indipendenza del Kosovo e al suo riconoscimento da parte occidentale, non può fare molto. Teoricamente, potrebbe tagliare il gas all’Europa, che può reggere ad un taglio delle importazioni per un tempo minore di quanto la Russia possa resistere ad un blocco delle esportazioni. Potrebbe poi inviare armi e volontari in Serbia o fare qualche gesticolazione militare, ad esempio con la piccola squadra navale che da dicembre ha mandato in Mediterraneo. Potrebbe inoltre cercare una rivincita da altre parti, ad esempio in Georgia o in Ucraina. Ma il gioco non vale la candela. Mosca si trova in un vero e proprio impasse. Dovrebbe quindi accettare l’insuccesso, per non renderlo peggiore. Qualsiasi minaccia non farebbe che rendere impossibili compensazioni a Belgrado e rafforzare la Nato, rendendone inevitabile il nuovo allargamento. Con una Russia conciliante, quest’ultimo obiettivo avrebbe ben poche possibilità di essere raggiunto. Ancora una volta l’Onu sarà umiliato. La sua missione nel Kosovo si prepara a fare le valigie e sarà sostituita da funzionari dell’UE, che cercheranno di aiutare la normalizzazione del Kosovo. Nulla o poco cambierà. Gli europei continueranno a pagare e la Nato a garantirne la sicurezza. Gli Usa ed i principali Stati europei anche se avrebbero preferito un accordo fra Serbi e Kosovari riconosceranno la dichiarazione unilaterale d’indipendenza, per gli stessi motivi per cui erano intervenuti in Bosnia nel 1995 e contro la Serbia nel 1999. In entrambi i casi, avevano difeso popolazioni musulmane. Tale motivo è ancora più forte oggi. Infatti, l’Occidente cerca in ogni modo di migliorare la propria immagine nell’Islam, che segue attentamente l’intera vicenda. Poi, se l’Occidente frenasse ancora l’indipendenza, dimostrerebbe di avere paura delle minacce fatte alquanto sconsideratamente da Putin. Perderebbe ogni credibilità, proprio ora che la Nato sta preparando il Summit di Bucarest, dove gli Usa ne proporranno l’allargamento all’Ucraina e alla Georgia. Chi uscirà peggio dalla vicenda è Mosca. Sicuramente, ha appoggiato Belgrado nella vicenda kosovara, non solo per solidarietà panslava e ortodossa, né solo per la speranza di dividere gli Usa dall’Europa e gli Europei fra di loro, ma per ragioni più profonde. Esse risalgono ai bombardamenti del 1999. Allora, la Nato ignorò le minacce di Eltsin e umiliò in ogni modo la debole Russia, non concedendole neppure un settore di responsabilità in Kosovo. Oggi Putin afferma che la Russia è tornata grande potenza, dopo il tradimento degli oligarchi ”cosmopoliti”. Mostra perciò i muscoli quando gli capita l’occasione. Questa volta gli è andata male. Per opporsi all’indipendenza del Kosovo e al suo riconoscimento da parte occidentale, non può fare molto. Teoricamente, potrebbe tagliare il gas all’Europa, che può reggere ad un taglio delle importazioni per un tempo minore di quanto la Russia possa resistere ad un blocco delle esportazioni. Potrebbe poi inviare armi e volontari in Serbia o fare qualche gesticolazione militare, ad esempio con la piccola squadra navale che da dicembre ha mandato in Mediterraneo. Potrebbe inoltre cercare una rivincita da altre parti, ad esempio in Georgia o in Ucraina. Ma il gioco non vale la candela. Mosca si trova in un vero e proprio impasse. Dovrebbe quindi accettare l’insuccesso, per non renderlo peggiore. Qualsiasi minaccia non farebbe che rendere impossibili compensazioni a Belgrado e rafforzare la Nato, rendendone inevitabile il nuovo allargamento. Con una Russia conciliante, quest’ultimo obiettivo avrebbe ben poche possibilità di essere raggiunto. Carlo Jean