Liberazione 17 febbraio 2008, Ivan Bonfanti, 17 febbraio 2008
C’è un nuovo continente. Liberazione 17 febbraio 2008. Circondato da una zuppa di plastica per centinaia di miglia, Moore navigò attraversando la pancia del Trash Vortex da Est a Ovest
C’è un nuovo continente. Liberazione 17 febbraio 2008.
Circondato da una zuppa di plastica per centinaia di miglia, Moore navigò attraversando la pancia del Trash Vortex da Est a Ovest. Più si addentrava, più il minestrone diventava denso e surreale. Condito dal quadro canonico di una qua-lunque discarica abusiva.
"C’era di tutto, una roba sconvolgente", spiega Moore, che oltre ad essere un esperto velista è anche un oceanografo.
"Spazzolini da denti, centinaia di sacchetti, bottiglie, elmetti da lavoro, resti di scatole per gli attrezzi e di qualunque manufatto umano fatto in plastica". "Il problema è che la plastica non si biodegrada, piuttosto si rompe in mille piccoli pezzi. Il risultato è uno strato che abbiamo ribattezzato the rubbish soup, la zuppa di pattume. Dentro il quale c’è di tutto. Riempiendo una caraffa e misurando abbiamo trovato una quantità di plastica sei volte superiore al placton. E tirando su la rete l’effetto è quello di un caleidoscopio, tanti piccoli pezzi trasparenti che riflettono sfumature più che altro bianche e blu. Mancano i pezzi più colorati,
rossi e di altre tonalità accese, perché quelle purtroppo se le mangiano gli animali, pesci e soprattutto uccelli, che le scambiano per gamberi o altre prede". Un disastro, perché la plastica entra nel ciclo alimentare di migliaia di animali, con conseguenze facilmente immaginabili. Poiché Moore non è solo un velista e un’oceanografo, ma è anche milionario, da quell’estate del 1997 si è dedicato
anima e corpo alla sua scoperta fondando e finanziando un’associazione, la Algalita Marine Research Foundation, che ha già compiuto diversi viaggi nel ventre del Trash Vortex per cercare di stabilirne dimensioni e dinamiche. "Quantificarne le dimensioni esatte è impossibile - ancora Moore - le stime più basse lo vorrebbero due o tre volte la superficie del Texas. Secondo quelle più allarmate siamo invece a una superficie grande come gli Stati Uniti". In realtà di Trash Vortex ce ne sono due. Corrispondono alle due risacche create nel Pacifico dalla North Pacific Gyres, una ad Est e una a Ovest del- l’arcipelago delle Hawaii, che sta proprio nel mezzo e oggi è lambito sempre più da vicino dall’enorme isola di pattume. Solo che se oggi il Trash Vortex ha già visitato le coste
hawaiane più volte, ma in occasioni di mareggiate o eventi atmosferici straordinari, il rischio è che domani, allargandosi, la massa di plastica le travolgerà. "Attenzione però, non bisogna pensare che il Vortex sia una massa solida dove si può camminare. In realtà è del tutto simile a una zuppa", che secondo Moore contiene circa 100 milioni di tonnellate di plastica. "Dai nostri calcoli risulta che nel vortice sono finiti il 2,5 per cento circa degli oggetti di plastica prodotti dal 1950 a oggi". Si ritiene che il 20 per cento della ”zuppa” provenga da imbarcazioni, mentre il resto arriva diretto dalle coste, in particolare quelle dei Paesi rivieraschi, dagli States al Messico passando per la Cina e l’Australia. Si concentra in aree chiamate Tropical Gyres, zone dell’Oceano dove l’acqua circola più lentamente a causa dell’alta pressione e del poco vento. La mancanza di grandi pesci predatori e i venti leggeri ne fanno quindi la rotta meno battuta dalle navi e dai pescherecci, lontana dagli occhi e lontana dalle menti. La ”chiazza” in realtà non è ferma, ma le correnti sottomarine la fanno girare in un lento, ma immenso vortice di rifiuti che inizia a circa 500 miglia nautiche dalle coste della California e attraversa il Pacifico arrivando a sfiorare le coste giapponesi. Il meccanismo è quello con cui il mare si
libera ”fisiologicamente” degli oggetti, ma la differenza è che storicamente i detriti portati nelle spirali si biodegradavano. Invece la plastica moderna non viene consumata più di tanto dalle acque e alcune qualità non si rompono neppure velocemente, tanto che nella North Pacific Gyre si possono trovare manufatti in plastica di tutto l’ultimo mezzo Secolo. Non c’è neanche da stupirsi che la ”scoperta” sia arrivata così tardi. Intanto perché le dimensioni della presenza umana e della furiosa estrazione di materiale dalla terra
sono ormai giunte a un volume insopportabile per il pianeta. E poi la plastica è traslucida e non galleggia, fluttuando poco sotto la superfice delle acque. Quindi è praticamente impossibile catturarla con immagini fotografiche satellitari. "Il materiale non si interra, ma si rompe continuamente, si fotodeteriora in quallo che io chiamo un caleidoscopio o una zolla alfabetica", dice Moore, "la vedi solo se ci passi con la barca". "E se non inizieremo una seria campagna per fermare l’uso di oggetti in plastica non strettamente necessari, la zuppa raddoppierà di volume durante i prossimi dieci anni". L’oceanografo Curtis Ebbesmeyer, altro esperto di primo piano, ha seguito la crescita di plastica in mare per oltre 15 anni e compara il Trash Vortex a un’entità viva. "Si muove come un enorme creatura in definizione. Un animale gigantesco e senza guinzaglio. E’ una belva e se non la fermiamo arriverà presto sulle nostre coste, in particolare su quelle dell’arcipelago delle Hawaii, le cui le spiagge saranno coperte da confetti
in plastica e da milioni di pesci morti". Lo spettacolo ribadito di una umanità virale. Il ritratto è una natura morta e la belva sta tornando ai suoi padroni.
Ivan Bonfanti