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 2008  febbraio 19 Martedì calendario

IL FALLIMENTO DEL POTERE MORBIDO

Corriere della Sera 19 febbraio 2008.
La dichiarazione d’indipendenza del Kosovo, avvenuta nel fine settimana scorso a Pristina, e la spaccatura verificatasi all’interno dell’Unione Europea sull’opportunità di sancire il riconoscimento ufficiale alla nuova nazione, rappresentano un grave fallimento per l’Europa e i governi dei suoi Stati membri.
Il fallimento non sta nel fatto che l’Unione Europea sia divisa sul da farsi, quanto piuttosto nell’essersi cacciata in questa situazione per non aver saputo persuadere in tempo la Serbia ad accettare la secessione del Kosovo. Il mancato convincimento della Serbia rappresenta un’umiliazione per tutti coloro che sostengono che la grande forza dell’Europa sta precisamente nel suo cosiddetto «potere morbido», la capacità di influenzare i suoi vicini tramite promesse di accordi commerciali, aiuti finanziari ed eventualmente l’ingresso nell’Unione.
La cruda verità è che la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo, e il riconoscimento già ricevuto da vari Paesi, costituiscono una violazione della legge internazionale stabilita dalla carta delle Nazioni Unite e creano un pericoloso precedente. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu non ha emesso nessun mandato per quel riconoscimento, perché la Russia l’avrebbe vietato. Ma è anche vero che dal 1999 il Kosovo è a tutti gli effetti un Paese indipendente, anche se privo di sovranità come protettorato delle Nazioni Unite, da quando le forze Nato hanno costretto la Serbia a ritirarsi e a cessare la violenta repressione dei separatisti kosovari.
Come riconciliare queste due verità contrastanti? Quale atteggiamento dovranno assumere i governi europei sul Kosovo? La risposta indubbiamente è che l’Unione Europea dovrebbe difendere la legislazione internazionale in questa materia, pertanto i Paesi membri dovrebbero astenersi dal concedere al Kosovo il riconoscimento ufficiale. Ma il Kosovo rappresenta un caso speciale, affermano i funzionari dell’Ue e i sostenitori inglesi, francesi e italiani: è stato un protettorato per oltre 8 anni e altro non è che il relitto di un’entità sovrana che non esiste più, ovvero la ex Jugoslavia. Esistono però altri casi speciali e l’Unione Europea dovrebbe guardarsi dal fare passi falsi in materia di legalità: un esempio è Cipro, diviso dal 1974; e non dimentichiamo i piccoli Stati e le province nella Georgia e dintorni.
Allo stesso tempo, negando al Kosovo il riconoscimento ufficiale, l’Ue può e deve proseguire la missione iniziata, facendosi carico dei compiti delle Nazioni Unite e inviando un contingente di 1800 effettivi, tra funzionari di polizia e magistrati, che lavoreranno a fianco delle forze di sicurezza della Nato, forti di 17 mila uomini. Questa missione è legittima, autorizzata dalla risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’Onu nel 1999. Negare il riconoscimento e inviare la missione non rappresenta una formula chiara e pulita; non porterà, come sperano molti esponenti dell’Ue, alla risoluzione finale dello status politico del Kosovo. Ma questo non accadrebbe nemmeno seguendo la via alternativa, ovvero tramite il riconoscimento offerto da un certo numero di Paesi europei. La situazione rischia di aggravare l’aspra contesa con la Russia, oltre che con la Serbia, e scavare un fossato ancor più profondo all’interno dell’Unione su questo dilemma cruciale di politica estera.
Sarebbe molto meglio ammettere che la soluzione definitiva verrà raggiunta in un più ampio arco di tempo. In pratica, non si realizzerà finché la Serbia non sarà convinta ad accettare l’indipendenza del Kosovo, facendo sì che la Russia ritiri il suo veto alle Nazioni Unite. La Serbia ha un nuovo presidente, di tendenze pro-occidentali, Boris Tadic. Perché costringerlo a osteggiare l’Unione Europea, subito dopo le elezioni, affrettando il riconoscimento del Kosovo? E’ auspicabile che l’Unione Europea ammetta il suo errore, per evitare spaccature interne, e ricominci daccapo il processo di persuasione della Serbia ad acconsentire alla secessione del Kosovo, in cambio di garanzie certe riguardo la piccola minoranza serba. E, ovviamente, in cambio dell’ammissione all’Unione Europea nei prossimi cinque anni.
Bill Emmott