Il Sole 24 ore 17 febbraio 2008, Marco Masciaga, 17 febbraio 2008
Pakistan, la crisi dei prezzi. Il Sole 24 ore 17 febbraio 2008. Più dello sfregio alla Costituzione potè il prezzo dell’olio
Pakistan, la crisi dei prezzi. Il Sole 24 ore 17 febbraio 2008. Più dello sfregio alla Costituzione potè il prezzo dell’olio. Più delle umiliazioni inflitte ai giudici potè la scarsità di farina. Più delle ombre sull’assassinio di Benazir Bhutto poterono le notti senza un filo di luce, né la carezza di un ventilatore. Se sulla vittoria annunciata degli oppositori di Pervez Musharraf non aleggiasse lo spettro dei brogli potrebbe essere questo l’epitaffio delle elezioni che domani dovranno restituire il Pakistan ai pakistani. Basta lasciarsi alle spalle le belle case della borghesia di Islamabad dove, dietro recinti sorvegliati 24 ore su 24 dai guardiani, si discute con accenti impeccabili di democrazia e indipendenza della magistratura. camminando per le strade di Delhi Colony, un quartiere della piccola classe impiegatizia di Karachi, che ci si accorge che da alcuni mesi gli sguardi che si posano sui commercianti come Shamim Ahmed sono carichi di sospetto. «Non so cosa farci - spiega lui, afferrando carta e penna per spiegarsi meglio - e non è colpa mia se in meno di un anno il prezzo dell’olio è più che raddoppiato e in sei mesi quelli di riso e legumi sono aumentati del 50 e del 40 per cento». Nonostante i sussidi del Governo, anche il prezzo di roti e naan, il pane che ogni giorno viene consumato sulle tavole degli oltre 160 milioni di pakistani, è aumentato. A pochi metri dal negozio di Ahmed, Hasan Bakhsh da 12 anni impasta e cuoce. E da 12 mesi chiede 3 rupie invece di 2 per un roti e 5 anziché 4 per un naan. Una differenza minuscola, circa un centesimo di euro, che in questa megalopoli di 16 milioni di abitanti su cui sorge la più grande baraccopoli dell’Asia per molti segna ancora il confine tra fame e sazietà. Eppure l’epitaffio, sul voto e sugli otto anni di potere di Musharraf, potrebbe essere prematuro. Lunedì, gli abitanti delle quattro anime del Pakistan andranno a votare con nelle orecchie le raffiche di mitra che hanno aperto i comizi nella North West Frontier Province; i colpi di rivoltella che hanno regolato i conti in sospeso tra i partiti che si spartiscono il Sindh; le esplosioni che hanno scosso il Baluchistan e i bisbigli sulla grande truffa elettorale che si starebbe tramando in Punjab, la provincia che manda in Parlamento più della metà dei deputati. «Non credo che i brogli avranno dimensioni tali da far trionfare la coalizione che ha sostenuto Musharraf in questi anni - spiega Ahmed Bilal Mehboob, direttore esecutivo del Pakistan institute of legislative development and transparency - ma temo che, oltre a un Parlamento spaccato, ci consegneranno Governi deboli e reciprocamente ostili a Islamabad e nelle province. A quel punto Musharraf sopravviverebbe. Magari addirittura sciogliendo le Camere e instaurando un altro Governo provvisorio». L’altro scenario possibile prevede la vittoria dei partiti di Governo. A cui farebbero seguito le già annunciate manifestazioni di piazza dell’opposizione e un altro drammatico capitolo della crisi pakistana. Una nuova tappa di una lenta discesa verso il caos che non ha risparmiato neppure il boom economico, fino a un anno fa il vanto dell’ex generale che nel 1999 mise fine con un colpo di stato al decennio democratico, stagnante e corrotto dei Governi Bhutto e Sharif. «Prima dell’assassinio della leader del Ppp - spiega Sakib Sherani, chief economist di Abn Amro in Pakistan - prevedevamo che il rallentamento dell’economia avrebbe collocato la crescita del Pil tra il 6 e il 6,5 per cento. Oggi propendiamo per il più basso dei due valori: non c’è dubbio che la crisi della Moschea Rossa a luglio, l’attentato fallito contro la Bhutto a ottobre e quello riuscito di dicembre abbiano inciso sulla fiducia degli investitori». Violenze a parte, Sherani sostiene che la success story pakistana fosse comunque destinata a evaporare. «Come nel caso di altri piccoli boom del passato - spiega - questa fase di crescita è coincisa con un regime militare generosamente finanziato dall’estero. Non solo. stata trainata in larga parte dai consumi e non dagli investimenti, ha creato lavoro soprattutto nel settore informale e non è riuscita a colmare i forti squilibri tra le diverse regioni del Paese». In questo modo, mentre nelle grandi città si formavano nuove sacche di benessere, per milioni di pakistani ha continuato a essere la ciclicità dei raccolti a fare la differenza tra miseria e povertà. Con l’aggravante dell’inflazione, che ha gennaio ha sfiorato il 12 per cento. «Anche in questo caso - spiega Sherani - una parte della responsabilità è del Governo. La decisione di non ritoccare per due anni il prezzo dei carburanti ha fatto crescere il deficit statale che nel trimestre tra luglio e settembre del 2007 è aumentato dell’84% rispetto allo stesso periodo del 2006. Per tappare la falla l’Esecutivo si è rivolto alla Banca centrale che, stampando moneta, ha gettato le basi per l’incremento dell’inflazione. Una politica il cui effetto non si è ancora esaurito e che crediamo ci riserverà altri rincari». Tra gli schieramenti destinati a pagare il prezzo di questi errori secondo i sondaggi ci sono il Pml(Q), il partito nato per dare una base politica al potere di Musharraf, e l’Mma, una coalizione di partiti islamici che nel 2002 conquistò oltre l’11% dei voti e che domani si presenterà divisa e screditata da 5 goffi anni di Governo nel Nord-ovest del Paese. Una sensazione di disastro imminente che pochi giorni fa ha spinto i leader di entrambi gli schieramenti a far visita in carcere al maulana Abdul Aziz, uno dei protagonisti della rivolta della Moschea Rossa, nella speranza di riconquistare almeno una parte degli elettori radicali che oggi li considera dei traditori. Nel campo dei probabili vincitori ci sono invece il Ppp, guidato da Asif Ali Zardari, il vedovo di Benazir Bhutto e, in misura minore, il Pml(N) di Nawaz Sharif, un leader dimezzato il cui nome, a causa di un conto aperto con la giustizia, compare sui manifesti ma non sulle schede. « tutto molto tipico - spiega scuotendo la testa Hussain Dawood, il presidente dell’omonimo gruppo industriale - della classe politica del nostro Paese: intorno a sé i leader fanno il vuoto. Lo ha fatto Musharraf, che in otto anni non ha saputo crearsi un successore che non avesse legami con il passato. Lo ha fatto il Ppp, oggi orfano della Bhutto, e lo ha fatto il Pml(N) con Sharif». Secondo alcuni osservatori sarà un accordo tra questi due schieramenti e qualcuno dei partiti minori a sancire il ritorno del Paese alla democrazia. Altri sospettano che il più forte dei due, il Ppp, scenderà a patti con Musharraf e il "suo" Plm(Q). «Il programma politico di Zardari può essere riassunto in un punto: fare sì che la Corte suprema non stracci l’ordinanza che ha cancellato le accuse di corruzione nei suoi confronti», suggerisce con una punta di malizia Ikram Sehgal, un commentatore del quotidiano The News. Tutte ipotesi su cui aleggia la paura che questo voto, dopo otto anni di regime militare, non riesca a restituire al Paese la fiducia nella democrazia. «Se ancora una volta fossero l’imbroglio, la violenza e la piazza a stabilire chi dovrà governare, gli elettori potrebbero convincersi in maniera definitiva che non è attraverso il voto che questo Paese sceglie i propri governanti», spiega Mehboob. Un’eredità davvero amara per le elezioni più sofferte e attese dei primi 60 anni di storia del Pakistan. Marco Masciaga