varie, 20 febbraio 2008
Tags : Gino Donè Paro
DON PARO Gino Monastier (Treviso) 18 maggio 1924, San Donà di Piave (23 marzo 2008. L’unico europeo del gruppo di 82 uomini (Fidel Castro, Raùl Castro, Ernesto ”Che” Guevara ecc
DON PARO Gino Monastier (Treviso) 18 maggio 1924, San Donà di Piave (23 marzo 2008. L’unico europeo del gruppo di 82 uomini (Fidel Castro, Raùl Castro, Ernesto ”Che” Guevara ecc.) che sbarcando a Cuba (sul Granma a Las Coloradasa il 2dicembre 1956) scatenò la rivoluzione che il 1º gennaio 1959 portò alla cacciata del dittatore Fulgencio Batista • « [...] Ernesto Guevara, che era mi hermano, mio fratello. Sono stato io a insegnargli a sparare bene, e soprattutto le tecniche della guerriglia. Già allora ero il più vecchio di tutti. E avevo una certa esperienza: in Italia avevo fatto il partigiano. Spiegavo a Ernesto come si organizzano gli agguati, come si attacca e come si fugge. Insomma, gli ho dato la giusta istruzione [...] Ci eravamo preparati in Messico. lì che ho conosciuto Ernesto. Lui era un bravo medico, ma con le armi era inesperto. Se sbagliava un tiro, durante l’addestramento, io lo incoraggiavo. Insomma, credo di essere stato un buon maestro. Il viaggio sul Granma non si può dimenticare. Doveva durare tre giorni e invece siamo stati in mare per sette giorni. Il comandante assoluto era Fidel Castro, e poi c’era Raul che dirigeva tre plotoni. Io ero tenente, capo di uno dei plotoni. Fidel era un vero un comandante. Ti dava sicurezza, capivi che aveva un progetto preciso. Ma per il resto... Là sul Granma, secondo me, più che responsabili eravamo tutti dei pazzi, ma pronti a dare la vita uno per l’altro [...] Dopo due o tre giorni i viveri erano finiti. Avevamo fame e sete, ed eravamo stretti come sardine in quello yacht che aveva 8 posti in tutto. Ci si poteva stare anche in 20, ma noi eravamo 82. Ed io ero uno dei quattro stranieri, l’unico italiano, anzi l’unico europeo. Alla fine abbiamo finito anche il carburante. Quattro ore per superare arbusti e mangrovie, e poi siamo stati attaccati dagli aerei di Batista. Ci dividemmo in gruppi, come mi aveva insegnato l’esperienza di partigiano. I chiodi degli scarponi ci bucavano i piedi. Ernesto mi aiutò, curando le ferite. Ma io soccorsi lui quando ebbe una crisi d’asma. Sì, ho fatto il medico curando un medico, perché per fare stare meglio le persone non ci sono soltanto le medicine ma anche le coccole. Gli feci dei massaggi, piano piano, e lui si riprese. Dopo quei giorni non l’ho più incontrato. Io non l’ho mai chiamato Che, perché questo soprannome non gli piaceva. un intercalare argentino. come se avessero chiamato me ”Ciò’, solo perché sono veneto. Anni dopo l’ho aspettato in Perù, mi hermano Ernesto, ma non siamo riusciti a fare incontrare le nostre strade”. C’è anche un encomio firmato dal generale Harold Alexander, comandante delle forze alleate in Italia, nella vita di Gino Donè. ”Quando facevo il partigiano, ho salvato dalla laguna e dai tedeschi degli ufficiali inglesi. Finita la guerra, ho capito che nel mio Veneto non avrei trovato da lavorare. E sono partito”. Una tappa in Canada, poi Cuba. ”Ho lavorato come muratore, carpentiere, decoratore, ruspista. All’Avana ho avuto la fortuna di incontrare Fidel Castro quando era presidente dell’associazione degli universitari” [...] Ma perché un italiano emigrante si trasforma in guerrigliero? [...] Perché, anche se ero il più vecchio - quando ero sul Granma io avevo 32 anni, Fidel 30 ed Ernesto solo 28 - avevo il sangue che mi bolliva. Facevo il carpentiere ma dentro ero ancora un maledetto partigiano. E allora, se vuoi bene alla patria, ai tuoi fratelli, alla famiglia, devi scegliere. A San Donà del Piave dovevi scegliere fra nazisti e fascisti e la libertà che stava dall’altra parte. Lo stesso problema lo trovai a Cuba. Da una parte c’erano il maledetto Batista e i suoi sicari, dall’altra Fidel, Raul, Ernesto e gli altri compañeros”. ”El Italiano”, pochi mesi dopo il viaggio del Granma, deve espatriare. Fa il marinaio per anni poi si ferma negli Stati Uniti. Ci resta fino a tre anni fa, quando torna a San Donà di Piave. [...] ”Io sono stato educato in mezzo ai preti, Ernesto era invece un marxista e leninista vero. Eppure siamo diventati fratelli. Mi hanno chiesto se sono anarchico, comunista, rivoluzionario... Io sono soltanto un maledetto selvaggio. Però osservo il mondo e vedo che c’è sempre qualcuno più povero e più ignorante di me. E oggi, chi dà una mano ai proletari? Forse ci vorrebbero ancora uomini che decidono di essere fratelli. Hasta siempre”» (Jenner Meletti, ”la Repubblica” 2/12/2006).