La Repubblica 19 febbraio 2008, Guido Rampoldi, 19 febbraio 2008
La partita persa del dittatore. La Repubblica 19 febbraio 2008. Una giornata turbolenta, e numerose irregolarità
La partita persa del dittatore. La Repubblica 19 febbraio 2008. Una giornata turbolenta, e numerose irregolarità. Ma ieri notte, a urne chiuse, il Pakistan cominciava ad intravedere una via di uscita dalla baraonda in cui rischia di spappolarsi. Dopo nove anni di regime militare avrà un parlamento in qualche modo eletto e un governo sicuramente più popolare e legittimato di quanto non sia oggi il presidente Musharraf. Se queste consultazioni erano anche un referendum sulla sua persona, stando a risultati ancora provvisori l´uomo forte del Pakistan l´ha perso. Il partito a lui affiliato, il Pml-q, sarebbe stato travolto dai due partiti storici del Pakistan, riemersi trionfalmente da anni di semi-legalità. L´uno appartiene al corpulento uomo d´affari, Nawaz Sharif, che Musharraf depose nel 1999, accusandolo di essere corrotto oltre ogni limite. L´altro è il partito di Benazir Bhutto, uccisa alla fine di dicembre in un attentato che ha pesato sugli orientamenti degli elettori. Considerando la glacialità di Musharraf escluderemmo che in queste settimane la Bhutto si sia affacciata nei suoi sogni come il fantasma di Polonio, per annunciargli la vendetta. Ma la voce dell´uccisa è risuonata anche in queste ultime giornate, da migliaia di altoparlanti, come un presagio. Temendo per la vita, poco prima di morire la Bhutto aveva indicato in Musharraf il responsabile morale del proprio omicidio. In realtà il presidente non ha colpe dirette. Ma aveva cercato di impedire la campagna elettorale della rivale negandole le misure di sicurezza che forse l´avrebbero salvata. stato l´ultimo errore di un uomo troppo furbo, inciampato spesso nella propria astuzia. Secondo i sondaggi di due istituti di ricerca americani, il 58% dei pachistani non crede alla sua innocenza e il 70% si augura le sue dimissioni. Queste stime hanno dubbia affidabilità, dato che rappresentano un campione di un migliaio di pachistani, minuscolo rispetto alla complessità di un Paese molto eterogeneo. Però nessun osservatore oggi mette in dubbio che la popolarità di Musharraf, alta fino al 2005, sia precipitata negli ultimi tre mesi, e cioè da quando il generalissimo ha sciolto la Corte suprema, che minacciava di annullare la sua nomina a presidente. Durante la campagna elettorale perfino i leader del "suo" Pml-q hanno ritenuto prudente prendere le distanze da lui, segnalando diversità di opinioni. Washington premerà perché il suo partito trovi posto nella futura coalizione e perché i vincitori rinuncino ai progetti di cacciare il presidente con un impeachment, nel caso che abbiano i voti necessari. Lui stesso ieri ha usato toni concilianti e ha promesso «totale collaborazione» al prossimo governo. Il suo problema è che una larga parte del Paese lo considera un dittatore e uno strumento degli americani. Se non gli riuscisse di scrollarsi di dosso questa immagine, il suo futuro sarebbe assai incerto. Musharraf gode di maggior considerazione nelle diplomazie occidentali. Analisti simpatetici l´hanno battezzato "il dittatore benevolo", e certamente la sua è stata una dittatura relativamente blanda: ma un migliaio di desaparecidos non sono comunque un dettaglio. Nella galleria degli uomini forti arruolati da Washington nella "guerra al terrore" figura tra i più presentabili. Ma anche lui è finito nella trappola di quella "war on terror", che pretende di combattere i nemici degli stati di diritto liberali con soluzioni che fanno strame del diritto liberale. Non a caso ha perso gran parte del consenso quando è entrato in urto con la Corte suprema e con gli avvocati, insomma con l´intero stato di diritto pachistano. Con maggior fortuna ha condotto un gioco doppio e triplo, condonato dagli occidentali per assenza di alternativa. Ha consegnato terroristi arabi e centroasiatici agli americani; ma dopo la sconfitta dell´emirato afgano ha dato rifugio ai capi Taliban, e ha premesso che quelli organizzassero la rivincita. stato protagonista di una coraggiosa politica di distensione con l´India; ma ha concorso a mantenere nel caos l´Afghanistan. il più laico e il più filo-occidentale tra i capi di Stato musulmani, però in questi anni ha governato con l´appoggio del MMA, un´alleanza di partiti fondamentalisti che non prestava gratis i suoi voti. Ha promosso l´emancipazione della donna, ma ha consegnato ad ottusi integralisti il ministero dell´Educazione e permesso alla madrassas, le scuole coraniche, di fabbricare migliaia di forsennati, e perfino devoti alla guerra santa binladista. Ha favorito un pullulare di tv private e tutto sommato non ha represso la libertà di opinione, ma i suoi servizi segreti, per esempio, non sembrano estranei all´insabbiamento dell´inchiesta sulla morte del giornalista Hayat Ullah e sullo sterminio a rate della sua famiglia (prima il fratello, da ultimo la vedova). Ha condotto l´economia a crescere a buon ritmo (attualmente il 7%), ma l´insicurezza in cui è precipitato il Paese, anche a causa dei passi falsi di Musharraf, dirotta verso l´India tanti potenziali investitori. Che segnino o no la fine della sua era, anche queste elezioni sono sotto il segno dell´ambiguità. Come i generali turchi, i suoi modelli, Musharraf ha restituito al Paese un parlamento liberamente eletto, accettando i rischi conseguenti. Ma la consultazione è stata tra le più burrascose nella storia di questa democrazia intermittente. E oggi, quando i risultati saranno definitivi, non mancheranno agli sconfitti motivi per contestare l´esito delle urne. Considerando una ragionevole paura e il sospetto che Musharraf avesse già deciso il risultato, è quasi sorprendente la tenacia con la quale milioni ieri hanno votato. Ma stragi, omicidi, infine ieri le sparatorie in una dozzina di seggi, hanno sconsigliato alla maggioranza di affacciarsi nei seggi (l´affluenza sarebbe tra il 35 e il 42%). Anche per i criteri dell´area, ne sono accadute di tutti i colori. Lungo la frontiera con l´Afghanistan un terrorismo sistematico ha di fatto impedito la campagna elettorale ai partiti e solo pochissime donne hanno potuto votare (i volantini dei fondamentalisti promettevano morte se non fossero rimaste in casa). All´inizio della settimana alcuni milioni di elettori non risultavano nei ruoli (17 milioni su 81, secondo notizie apparse sulla stampa). Ovunque si grida ai brogli e sono sparite urne. Eppure la correttezza dei media privati e l´orgoglio con il quale milioni hanno rischiato per votare dicono che il Pakistan non è quel che talvolta appare, uno Stato fallito. Da ieri ha una rotta per ritrovarsi. Guido Rampoldi