La Repubblica 19 febbraio 2008, LUCIO CARACCIOLO, 19 febbraio 2008
L´indipendenza dalla serbia e le sue conseguenze. La Repubblica 19 febbraio 2008. «Perché devo essere minoranza nel tuo Stato se tu puoi esserlo nel mio?»
L´indipendenza dalla serbia e le sue conseguenze. La Repubblica 19 febbraio 2008. «Perché devo essere minoranza nel tuo Stato se tu puoi esserlo nel mio?». I Balcani in una frase. Dai primi anni Novanta a oggi, dalle secessioni slovena e croata fino all´indipendenza del Kosovo, chissà quanti milioni di volte quest´aureo motto è passato per la testa dei protagonisti dei massacri postjugoslavi. Certo, non è una specialità esclusiva della marca veterocontinentale nota nell´Ottocento come "Turchia europea", e di cui l´ex Jugoslavia è stata, fra la fine del secondo conflitto mondiale e l´esaurirsi della guerra fredda, la porta verso l´Occidente. Ma in nessun´altra parte del mondo si è consumata con così feroce acribia la Kleinstaaterei, termine germanico con cui si designa lo sminuzzamento senza fine dei territori in nome della "purezza" etnica. E che ormai tutti traducono con "balcanizzazione". La pulsione balcanizzante verso il sempre più piccolo in quanto sempre più "puro" ha tagliato un altro traguardo in questi giorni, con l´autoproclamazione del Kosovo indipendente. Eppure c´è uno iato fra apparenza e sostanza. Non esiste un solo Kosovo, ma almeno tre. Uno virtuale, inscritto nella costituzione serba e soprattutto nella risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza, con cui Belgrado si garantisce una base di rivendicazione permanente. E due effettivi: quello albanese, con capitale Pristina, e quello serbo, molto più esiguo, arroccato oltre il fiume Ibar, con le sue ramificazioni nelle enclavi serbe del Centro-Sud. Nessuno dei due staterelli è davvero indipendente: il Kosovo nato dalla parziale vittoria della Nato nella guerra contro la Jugoslavia si regge grazie agli aiuti europei, alla protezione atlantica e ai traffici di armi e di droga fra Asia ed Europa di cui è uno snodo rilevante; il secondo, altrettanto torbido e ancora più asfittico, si aggrappa alla madre Serbia, di cui resta parte. Insieme, questi territori occupano lo spazio dell´Abruzzo e hanno meno abitanti di Roma. probabile che la produzione di Stati per mezzo di Stati prosegua, nei Balcani e oltre. Il battesimo del Kosovo si può leggere nel contesto di una tendenza geopolitica alla moltiplicazione delle frontiere, che dalla fine della guerra fredda ha generato decine di nuovi Stati o sedicenti tali. la globalizzazione della balcanizzazione. Oramai chiunque nel mondo si autoassegni il titolo di minoranza oppressa potrà legittimamente ambire - alla faccia dello pseudo-diritto internazionale e delle Nazioni Unite - a vedersi riconosciuto come Stato con annessi bandiera e protocollo. Riusciranno i Balcani a sopravvivere alla balcanizzazione permanente? Nell´economia-mondo sono una regione marginale. Territori di transito per commerci poco commendevoli e per gli idrocarburi provenienti dalla Russia e dall´Asia centro-occidentale. In prospettiva, ricongiungendo i territori ex jugoslavi con Bulgaria e Romania sotto il tetto comunitario, dovrebbero costituire il fianco sud-orientale dell´Unione Europea (e della Nato). In senso geopolitico, hanno valore diverso per le potenze esterne che vi sono coinvolte. Europei, americani e russi hanno infatti idee difficilmente conciliabili sui Balcani. Gli europei vorrebbero dimenticarli. Ma non possono, per ragioni di sicurezza nazionale (mafie e traffici) e per i corridoi energetici. Sicché ne hanno fatto molto malvolentieri dei semiprotettorati, dove i protetti sfruttano i protettori. Perché i balcanici sanno bene quello che vogliono - i nostri soldi e i nostri soldati - gli "internazionali" no. Inoltre, gli europei sono divisi in ragione della prossimità o lontananza geografica e della presenza di diaspore balcaniche nei rispettivi paesi. Così Berlino ha sempre sostenuto la causa albanese in Kosovo anche perché spera che la parte di diaspora kosovara in Germania coinvolta in traffici criminali voglia tornarsene nella patria liberata. Infine, per spagnoli, greci, ciprioti, slovacchi, romeni e altri conta soprattutto il rischio balcanizzazione. E infatti le rispettive minoranze - a cominciare dai baschi - guardano al percorso del Kosovo come a un incoraggiante modello. Quanto a noi italiani, il Kosovo e gli altri Balcani sono - o dovrebbero essere - questione di sicurezza nazionale. Ci toccano per via dei traffici criminali e degli idrocarburi che attraversandoli puntano verso la nostra penisola. Negli ultimi quindici anni, peraltro, abbiamo agito di conserva, sulla scia di quanto deciso dai partner maggiori, anche quando non eravamo d´accordo. Secondo la gloriosa tradizione diplomatica italiana, per cui conta comunque assicurarsi un posto a tavola anche se il menù lo fissano gli altri. Gli americani stentano a individuare i Balcani sulla carta geografica. Quando Clinton decise di bombardare la Jugoslavia, si presentò in tv con una mappa per spiegare ai connazionali di che cosa stesse parlando. A Washington dei tormenti balcanici se ne infischierebbero volentieri. Ma non possono, in quanto potenza globale con relative necessità geostrategiche (basi militari). All´intelligence Usa interessa poi tener d´occhio i territori d´impronta islamica - dalla Bosnia al Sangiaccato serbo-montenegrino, dall´Albania al Kosovo e alla Macedonia occidentale - con le residue cellule jihadiste ivi incistate. Per i russi i Balcani sono il tramite verso il Mediterraneo. Grazie alla dissoluzione della Jugoslavia - bastione antisovietico durante la guerra fredda - e usando della miscela mafie-energia-ortodossia, veicolo della sua influenza nella regione, la Russia è per la prima volta nella storia una potenza adriatica a tutto tondo. I Balcani si stanno consolidando come braccio centro-meridionale della connessione euro-russa. Qualcuno già la chiama "Eurussia". Nel 1907, il giornalista Harry de Windt titolò un suo libro sui Balcani Europa selvaggia. Spiegando che "il termine descrive accuratamente le terre selvagge e senza legge tra Adriatico e Mar Nero". passato un secolo, ma lo stereotipo resta. Forse anche per questo molti balcanici non amano definirsi tali. Da Trieste in giù i Balcani cominciano sempre più a sud di se stessi. D´altronde, nessuno sa bene dove siano, giacché la catena montuosa eponima, in Bulgaria, non delimita alcun territorio. Forse dovremo rassegnarci all´idea che i Balcani sono una metafora. Non stanno in nessun luogo, da nessuna parte. Solo dentro di noi. LUCIO CARACCIOLO