varie, 20 febbraio 2008
VACCARI Franco
VACCARI Franco Modena 18 giugno 1936. Fotografo • «Dalla semplice polaroid, brandita con una mano stando al volante e senza poter traguardare il soggetto (’come un cowboy a cavallo, che spara con la sua Colt”, dice l’artista), sino ai più scrupolosi, perfezionati e anche chimicamente spericolati processi di stampa, la varietà di tecniche che Franco Vaccari ha frequentato nei cinquant’anni e oltre [...] dice con chiarezza che molto diversi sono i modi in cui la fotografia può evocare, e contemporaneamente testimoniare, una vera e propria cultura dell’immagine. Che sia poi una bella immagine, una testimonianza più o meno patinata del reale, un’esibizione di virtuosismo, questo può anche capitare: ma certamente non è il punto. Gli inizi sono dei primi anni Cinquanta, quando Vaccari, ancora teenager, incomincia ad aggirarsi per Modena e per i suoi dintorni e a inquadrare volti umani e nature morte, cocomeri, aringhe, balere, bagnanti sulle rive del Secchia, i cui costumi da bagno contrastano con le divise dei marescialli che sorvegliano le frontiere del pudore. Sono proprio tali contrasti, assieme ai tagli d’inquadratura, a incominciare a oltrepassare i limiti del neorealismo: la metamorfosi italiana è colta nel momento in cui vecchio e nuovo sono entrambi visibili. Questa prima fase, che l’artista categorizza sotto il titolo di Radici, aveva già dato vita a un libro antologico che Vaccari ha composto nel 1995 nel primo dei libri che ha predisposto assieme al libraio antiquario ed editore Andrea Tomasetig: dodici fotografie, stampate dall’artista, in quattordici copie. Un secondo volume, analogo, ha testimoniato la fase delle Esposizioni in tempo reale, titolo comune a una lunga serie di progetti diversi. Se esposizione gioca fra mostra e apertura del diaframma fotografico, tempo reale è un’espressione che alla fine degli anni Sessanta, quando Vaccari ha incominciato a impiegarla, non era certo il luogo comune che è oggi. qui che l’artista ha trovato la chiave del suo discorso sull’immagine: il rapporto con il tempo, con gli spazi delle esposizioni, con i visitatori. Alla Biennale del 1972 si presenta in una stanza dalle pareti spoglie, che contiene solo una cabina per foto automatiche. Il titolo dell’opera è un’esortazione al visitatore: ”Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio”. Furono seimila i visitatori che stettero al gioco, accettando di ritrarsi nella cabina e applicando poi le proprie foto alla parete. In Mito istantaneo Vaccari fotografava con una polaroid un visitatore, proiettava la foto appena scattata e fotografava di nuovo il soggetto, sorpreso nel vedere sé stesso. Vaccari ha continuamente inventato modi diversi di annodare le diverse direzioni dello sguardo, giocando sui paradossi del tempo, dello spazio e dei soggetti. [...] Fotografo, soggetto fotografato, osservatore della fotografia: i tre ruoli si scambiano in continuazione, e le fotografie di Vaccari nascono negli interstizi della loro treccia. Come ha tenacemente preteso che i visitatori delle sue mostre facessero i conti con la loro stessa presenza nelle immagini, oggi Vaccari applica la stessa tenacia a sé stesso, come per imbricare nell’opera l’autore che la rivede, rivede sé stesso fotografare, rivede fotografie rifotografate. La materia fotografata decade, così come nel Secchia - fa notare oggi Vaccari - non si fa più il bagno. [...]» (Stefano Bartezzaghi, ”la Repubblica” 20/2/2008).