Ansa.it, 19 febbraio 2008
Da trent’anni il Nilo sta distruggendo le fondamenta dei templi di Luxor, l’antica Tebe. La colpa è della diga di Assuan, a circa 250 chilometri più a sud del sito archeologico, che ha modificato l’aspetto idrico della regione
Da trent’anni il Nilo sta distruggendo le fondamenta dei templi di Luxor, l’antica Tebe. La colpa è della diga di Assuan, a circa 250 chilometri più a sud del sito archeologico, che ha modificato l’aspetto idrico della regione. Anche se l’opera ingegneristica ha contribuito allo sviluppo dell’Egitto, da quando fu completata il livello delle acque sotterranee è salito in modo considerevole, anche a causa dell’aumento delle irrigazioni per fini agricoli. ”Il risultato è che i templi di quella zona hanno subito più danni negli ultimi venti anni che nei loro precedenti tre millenni di storia, e ora versano in uno stato gravissimo”, ha commentato Jeremy Gustaffon, dell’Agenzia Americana per lo Sviluppo Internazionale (Usaid), ora responsabile di un nuovo progetto che intende abbassare il livello delle acque sotterranee di due metri in corrispondenza dei monumenti della sponda occidentale del Nilo. L’opera di recupero dovrebbe partire il prossimo giugno, costerà circa nove milioni di dollari e dovrebbe durare 17 mesi. I lavori, finanziati dallo Usaid, riguarderanno un fronte di cinque chilometri, e vedranno coinvolti egittologi egiziani e tecnici statunitensi che dovranno calarsi a una profondità di almeno sette metri sotto il livello del fiume per installare tubature in grado di drenare le acque sotterranee e farle convergere in un canale vicino. ”Un’iniziativa simile nella stessa zona ha già messo in salvo i templi di Karnak e Luxor, sull’altra sponde del fiume”, ha spiegato Sabri Abdel Aziz, direttore generale del dipartimento di egittologia del Consiglio Superiore delle Antichità. Ora si cercherà di salvare i monumenti di Ramesseum (dedicato a Ramesse II), di Seti I, di Amenophis III e di Medinet Habu, il tempio funerario di Ramesse III, oltre a templi minori e tombe. Le costruzioni sono infatti di arenaria, una pietra porosa che assorbe l’acqua e si danneggia facilmente in queste condizioni. Aziz non scarta l’ipotesi che gli scavi possano portare alla luce nuove strutture e assicura che il turismo, principale risorsa della zona, non subirà limitazioni.