Affari e finanza 18 febbraio 2008, ARTURO ZAMPAGLIONE, 18 febbraio 2008
Warren Buffett. Affari e finanza 18 febbraio 2008. Prima ha offerto di riassicurare 800 miliardi di dollari di "muni bonds", le emissioni obbligazionarie di municipi e autorità locali garantite dalle "bond insurers", le compagnie assicurative come la Mbia e la Ambac finite nei guai per la crisi subprime
Warren Buffett. Affari e finanza 18 febbraio 2008. Prima ha offerto di riassicurare 800 miliardi di dollari di "muni bonds", le emissioni obbligazionarie di municipi e autorità locali garantite dalle "bond insurers", le compagnie assicurative come la Mbia e la Ambac finite nei guai per la crisi subprime. Poi, sempre la settimana scorsa, ha annunciato di essere il maggiore azionista della Kraft Foods, la seconda industria alimentare del mondo. In entrambi i casi Wall Street ha reagito con entusiasmo: a dispetto dell’età, infatti, Warren Buffett resta il vero eroe dei mercati finanziari americani. E in particolare diventa un punto di riferimento essenziale in un momento difficile come questo, in cui la recessione bussa alle porte (o addirittura è già entrata), molte strutture del sistema creditizio si sgretolano e l’indice Dow Jones non dà segni di ripresa. Mentre molti amici e coetanei di Buffett si stanno godendo da tempo la pensione tra campi di golf a Palm Beach e crociere nei mari del Sud, lui, a settantasette anni, continua a fare la vita di sempre. Che è onesta, modesta e quasi incontaminata dalle ricchezze. Il presidente della Berkshire Hathaway, questo il suo titolo ufficiale, vive nella stessa casa di Dundee, un quartiere di Omaha, nel Nebraska, che comprò nel 1958 per 31mila dollari (ora ne vale 700mila), assieme ad Astride Menks, la vecchia amica sposata nel 2006 dopo la morte della prima moglie Susan. Va in ufficio senza autista: guida una banale Cadillac. Beve ogni giorno almeno cinque lattine di Coke alla ciliegia (non a caso è il maggiore azionista della Coca Cola). Passa le giornate a scrutare bilanci societari, a fare telefonate (ma non più di una decina) e a decidere sugli investimenti. "Sono contento così", assicura: "Non mi serve nulla di più". Se gli servisse qualcosa, non avrebbe difficoltà a procurarsela: secondo l’ultima classifica della rivista "Forbes", Buffett è l’uomo più ricco del mondo dopo il messicano Carlos Slim Helu e Bill Gates. Ha un patrimonio di 56,9 miliardi di dollari, soprattutto in azioni della Berkshire, che ha già destinato in gran parte (30 miliardi) alla Fondazione Bill e Melinda Gates, mentre ai tre figli, Susie, Howard e Peter, ha lasciato solo somme minori. Non crede infatti al trasferimento delle ricchezze da una generazione all’altra: "E’ come se per la squadra delle Olimpiadi del 2020 venissero scelti i primogeniti delle medaglie d’oro delle Olimpiadi del 2000". Battute di questo tipo sono in puro "stile Buffett". Ha un humour insolito, all’apparenza poco sofisticato, ma graffiante, che si esprime soprattutto nelle lettere agli azionisti e nell’appuntamento annuale dell’assemblea dei soci della Berkshire, quando 20mila ammiratori vanno in processione al Qwest center di Omaha per assistere alla "Woodstock del capitalismo", come è stata definita. Di fronte ai suoi ammiratori, come davanti alle telecamere, Buffett parla senza peli sulla lingua, avvalorando il soprannome di "Saggio (o Oracolo) di Omaha". Se la prende con i chief executive superpagati e poco efficienti. Critica il sistema fiscale voluto da George W. Bush che favorisce i ricchi, come lui, a spese dei ceti più poveri. Ironizza sugli uomini politici (adesso ha dato soldi sia a Hillary Clinton che a Barack Obama, senza specificare le sue preferenze). Ed è preoccupato della piega che ha preso l’economia americana, tant’è vero che è stato tra i primi a scommettere (persino troppo presto) sulla flessione del dollaro. Ma al di là del suo stile insolito e anticonformista, che cosa è che piace tanto di Buffett? Perché è l’idolo di tre generazioni di piccoli investitori? Semplice: la sua ricetta per gli investimenti ha funzionato a dovere. Figlio d’arte (il padre era un agente di cambio prima di andare a Washington come deputato), studi alla Wharton school, la migliore università in materie finanziarie, e poi alla Columbia university, Buffett ha cominciato presto l’attività imprenditoriale e si è sempre imposto una disciplina rigida, seguendo e adattando gli insegnamenti del suo maestro di studi, Benjamin Graham, secondo cui bisognava puntare solo su società i cui titoli erano sottovalutati rispetto al "valore intrinseco", cioè alle condizioni economiche di riferimento. Ancora adesso, prima di decidere su un investimento, e affidarsi all’istinto, il "Saggio di Omaha" cerca di rispondere a un lungo elenco di domande, incentrate sulla vitalità del settore economico in cui opera la società in questione e sulla trasparenza dei suoi bilanci aziendali. Non crede nei facili arricchimenti: ciò gli ha consentito di uscire indenne dal tracollo della "new economy" e poi dei mutui immobiliari. Riferendosi proprio ai recenti contraccolpi della crisi subprime nell’aristocrazia finanziaria, ha commentato con una punta di ironia: "E’ un caso di "giustizia poetica". Seguendo questo metodo e servendosi della Berkshire Hathaway, una vecchia industria tessile trasformata in holding finanziaria, Buffett ha cominciato ad accumulare pacchetti azionari. Il controllo di alcune compagnie di assicurazione, come Geico, National Indemnity o General reinsurance, gli ha permesso di usare i premi come volano delle sue operazioni. La sua partecipazione più rilevante e quella nella CocaCola, con 100 milioni di azioni e un valore di circa 11,7 miliardi di dollari. Nel portafoglio ci sono anche l’8,8 per cento della banca Wells Fargo, per 8,56 miliardi di dollari, e l’American Express. Ma l’elenco è lungo, va dalla Procter & Gamble (prodotti di largo consumo) alla Anheuser Bush (birra), dal "Washington Post", il quotidiano della capitale, alla International dairy queen, una catena di gelaterie. E adesso si sono aggiunte anche l’industria farmaceutica britannica GlaxoSmithKline e la Krafts Food, staccatasi dal gruppo Altria (ex Philip Morris, cioè Marlboro). Buffett ne possiede l’8,6 per cento. La strategia di Buffett si è rivelata preziosa anche per i suoi azionisti. La Berkshire, che ora ha una capitalizzazione di borsa di 221 miliardi di dollari, ha visto le quotazioni salire del 4700 per cento in 20 anni, cioè sei volte di più dell’indice Standard & Poor’s. Negli ultimi 12 mesi il titolo è cresciuto del 32 per cento, mentre il resto di Wall Street piangeva sul muro del subprime. Nonostante i successi (e l’età) Buffett non si ferma. Intuisce che il dissesto dei mercati del credito offre una buona occasione alla holding, e vuole approfittarne puntando soprattutto alle "bond insurers", cioè alle compagnie che assicurano i debiti obbligazionari in caso di mancato pagamento degli interessi o di insolvenza di chi li emette. E’ un settore in chiara difficoltà. Le compagnie del comparto, chiamate anche "monoline", assicurano 2400 miliardi di dollari (1600 miliardi di euro) di titoli emessi da stati e municipi americani, oltre che certificati garantiti da mutui, carte di credito e altri asset. Le due società leader, la Mbia e l’Ambac, controllano polizze per 1000 miliardi di dollari. Fino al giugno 2007, cioè alla vigilia della débacle dei subprime, sembravano attività sicure e con lauti profitti. Ma il ciclone ha investito tutti i "bond insurers" che ora rappresentano uno degli anelli più deboli della crisi internazionale. Rischiano di perdere la tripla A delle agenzie di rating, con effetti a catena. Hanno bisogno di capitali freschi. Le quotazioni Borsa sono in rapida flessione. E, come se non bastasse, ci si è messo di mezzo anche Warren Buffett. Il "saggio di Omaha" ha prima chiesto le autorizzazioni necessarie per diventare un operatore del settore. Poi, la settimana scorsa, ha offerto a Mbia, Ambac e anche a una terza società, la Fgic, una polizza di assicurazione sulle loro stesse assicurazioni. L’obiettivo: allontanare, grazie alle spalle più solide della Berkshire, il fantasma di una retrocessione del rating. Il rovescio della medaglia: la richiesta di Buffett di un premio del 50 per cento superiore a quello consueto dei "bond insurers". Così mentre Wall Street ha accolto la mossa con una fiammata delle quotazioni, le tre società hanno risposto con un "no grazie". "Non siamo con l’acqua alla gola", ha spiegato il chief executive dell’Ambac, senza però riuscire né a tranquillizzare i mercati finanziari, né a bloccare i piani di Buffett. ARTURO ZAMPAGLIONE