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 2008  febbraio 19 Martedì calendario

FIDEL CASTRO X GIORGIO/GAZZETTA

«Comunico ai miei compatrioti, che in questi giorni mi hanno fatto un grande onore eleggendomi a membro del Parlamento, che io non aspirerò né accetterò - ripeto - non aspirerò né accetterò la carica di presidente del Consiglio di Stato e di comandante in capo»: con queste parole scritte sull’edizione online del quotidiano Granma (l’organo ufficiale del partito comunista cubano) Fidel Castro, al potere da quando (1 gennaio 1959) a capo della rivoluzione cacciò il dittatore Fulgencio Batista, ha annunciato ufficialmente (messaggio firmato alle 17.30 locali di lunedì) la sua rinuncia alla carica di presidente, assunta dal 1976 (quando entrò in vigore la nuova Costituzione) fino a quando, il 31 luglio 2006, la malattia (intervento chirurgico intestinale) lo costrinse a passare le consegne al vicepresidente, il fratello Raùl: «Tradirei la mia coscienza occupando un posto di responsabilità che esige mobilità e un impegno totale che io non sono, fisicamente, in grado di offrire. Lo dico senza drammatizzare». Castro ha promesso di non ritirarsi a vita privata: «Non vi dico addio. Spero di combattere come un soldato delle idee. Continuerò a scrivere sotto il titolo Riflessioni del compagno Fidel. Sarà un’arma su cui poter contare: la mia voce forse verrà ascoltata, sarò prudente» • Rivoluzionario per gli ammiratori, dittatore per i critici, Castro è stato, nel bene e nel male, uno dei grandi protagonisti della storia mondiale della seconda parte del secolo scorso. Nato a Biran nel 1926, figlio di un ricco proprietario terriero emigrato dalla Galizia, Fidel Alejandro Castro Ruz, e della cubana Lina Ruz, studiò prima nei collegi La Salle e Dolores di Santiago de Cuba poi, dal 1941 al 1945, a L’Avana, nell’esclusivo Belen, la più famosa scuola gesuita. Iscritto dal 1945 alla facoltà di legge, cominciò subito il suo impegno politico. Nel 1952 si candidò alle presidenziali ma fu bloccato dal golpe di Fulgencio Batista (10 marzo). Tentato l’assalto alla Caserma della Moncada (26 luglio 1953), decimato il suo gruppo, fu condannato a 15 anni di prigione. Amnistiato dopo 22 mesi di carcere, andò in esilio negli Usa e poi in Messico dove conobbe Ernesto ”Che” Guevara insieme al quale organizzò la ”riconquista” di Cuba, dove sbarcarono nel dicembre del 1956 insieme al fratello Raùl ed altri 79 uomini. Riusciti nell’impresa anche grazie alle numerose diserzioni dei soldati di Batista e all’appoggio popolare, nel 1959 conquistarono il potere. Ottenuto l’appoggio dell’Urss, riuscirono a sgominare il tentativo di invasione organizzato dal presidente degli Usa John Kennedy nella Baia dei porci (1961). In politica interna divenne popolare grazie alle seguenti misure: chiusura di case da gioco e di tolleranza, lotta senza quartiere al traffico di droga, liberalizzazione degli accessi agli alberghi, spiagge, locali sino ad allora riservati a circoli esclusivi, diminuzione dei canoni d’affitto del 30-50% con progressiva trasformazione degli inquilini in proprietari, riduzione del prezzo di medicinali, libri scolastici, tariffe elettriche, telefoniche e trasporti urbani. Finito in secondo piano dopo l’accordo fra Usa e Urss per mettere fine alla crisi dei missili nucleari (ottobre 1962), Castro decise di appoggiare le guerriglie comuniste in tutto il ”terzo mondo” (Che Guevara morì in Bolivia). Assunto un atteggiamento sempre più dittatoriale, la sua riforma agraria suscitò forti reazioni nelle campagne ma anche presso le classi alte e i ceti medi urbani. Costretto a qualche concessione al capitalismo dalla caduta dell’Urss negli anni 90, tornò all’economia comunista dopo l’alleanza con il presidente Venezuelano Hugo Chavez (gli aiuti di Caracas contro 40 anni di embargo statunitense). Nel 2004 i primi problemi di salute: il 20 ottobre cadde fratturandosi un ginocchio. il 27 luglio 2006 fu operato per emorragia intestinale, il 31 delegò i poteri al fratello Raùl. Da tempo Fidel si esprimeva quasi esclusivamente dalle colonne della stampa ufficiale, fornendo il suo punto di vista su diversi argomenti internazionali. Ancora popolare presso buona parte della popolazione, il sistema castrista vanta oltre all’orgoglio nazionale due ”fiori all’occhiello”: la salute e l’istruzione • Fidel Castro ha almeno otto figli: il più grande, Fidel Castro Diaz-Balart (avuto da Mirta Díaz Balart, figlia di un generale di Batista sposata nel 1948, separazione nel 1955), conosciuto come Fidelito, è scienziato nucleare. La figlia Alina Fernandez, avuta da una relazione con una socialista, è scappata da Cuba nel 1993 e ora conduce un programma radiofonico a Miami in cui critica l’operato del padre. Dal secondo matrimonio con Dalia Soto del Valle sono nati 5 figli, i cui nomi iniziano tutti per A (Alessio, Alessandro, Alejandro - Castro è affascinato da Alessandro il Grande - Antonio e Angelo). Nessuno di loro ha rilevanti ruoli politici • Uomo dei record, Castro si ritira al terzo posto tra i leader con più anni di servizio al potere, sconfitto solo dalla regina Elisabetta (incoronata il 6 febbraio 1952) e dal re della Thailandia Bhumibol Adulyadedej (incoronato il 9 giugno 1946). entrato nel Guiness dei Primati con il discorso pronunciato alle Nazioni Unite il 29 settembre 1960 durato 4 ore e 29 minuti, altro record le 7 ore e 10 minuti del discorso del 1986 pronunciato al terzo congresso del partito comunista tenuto all’Havana. Gli attentati ai quali è sopravvissuto sarebbero 634: pillole avvelenate, sigari tossici, molluschi esplosivi ecc. • Bush: «Ora cominci la transizione democratica che dovrebbe condurre a elezioni libere e democratiche, e sottolineo libere e democratiche, non a quel tipo di elezioni che i fratelli Castro hanno cercato di rifilarci come vera democrazia». Il Parlamento cubano, eletto une mese fa, si riunirà domenica per designare i membri del Consiglio di Stato, il più alto organismo esecutivo dell’isola (31 membri), e il suo presidente. Probabile che tocchi a Raùl, 5 anni più giovane, ultimo di sette fratelli. Quattro figli, una moglie laureata al Mit, eterno «numero due», è l’«erede naturale». Considerato il «volto stalinista» della rivoluzione, ha grandi capacità organizzative che gli vengono riconosciute anche dagi avversari. Potrebbe rinunciare alle altre poltrone che il lìder maximo aveva tenuto per sé (governo, partito comunista, Forze armate), gli spetta il difficilissimo compito di riformare il sistema senza abbatterlo: conservare il regime così com’è e convincere i cubani che vi possono sopravvivere e svilupparsi. Il socialismo potrebbe essere sostituito da un capitalismo di Stato alla cinese, ma per far ripartire l’economia bisogna autorizzare il lavoro in proprio, slacciare produzione e distribuzione dalla statalizzazione, sperare che i salari (magari in dollari) convincano la gente a lavorare: per incentivarli, potrebbe essere abolita la ”libreta”, tessera di razionamento grazie alla quale lo Stato consegna alle famiglie beni di prima necessità (farina, riso, pollo, pane). Da rivedere il divieto di uscire ed entrare sull’isola, la proibizione di usare gli alberghi e le spiagge destinati solo ai turisti, necessarie concessioni sul fronte dei diritti umani e della libertà d’opinione. Gli oppositori imprigionati, migliaia all’inizio del regime, sono ancora più di 200: chiedono la fine del partito unico ed elezioni libere, la maggioranza spera in una ”riconciliazione nazionale” • Rispetto al 1959, la popolazione cubana è raddoppiata (oggi 11 milioni). In maggioranza nata dopo la Rivoluzione, è caratterizzata da una maggiore diversità etnica, religiosa, morale e politica. Alla nuova diversità razziale si aggiungono altre tre diversità: quella religiosa – oggi non soltanto ci sono più cattolici, ma anche più protestanti e più seguaci della santería – quella sociale – la disparità nella distribuzione del reddito è aumentata con la dollarizzazione settoriale dell’economia – e quella regionale: la distanza, in termini di sviluppo tra la costa nordoccidentale e quella sudorientale è sempre maggiore. L’esperienza di quasi tre milioni di cubani al di fuori dell’isola, e dei settori più cosmopoliti all’interno dell’isola stessa, comporta una forte pressione a favore dell’abbandono della mentalità nazionalista e ugualitaria • Abituato per 49 anni ad eseguire quello che Fidel comandava, Raùl ha dimostrato in questi ultimi 19 mesi la sua incapacità. Nella cupola del potere ci sono scontri e discussioni. La speranza è che Fidel abbia ancora abbastanza forza per gestire la transizione. Dopo avere lavorato per decenni al rovesciamento del socialismo cubano e aver sognato la fine di Castro, gli Stati Uniti tutto vogliono meno che una transizione violenta, uno scatenamento di appetiti e di vendette per contendersi le proprietà espropriate 40 anni or sono. Gli americani delineano almeno una ventina di scenari possibili, ma gli analisti della Cia in questi 49 anni non ci hanno mai azzeccato per cui non sono da prendere molto sul serio. Armando Valladares, poeta ed eroe della resistenza democratica: «Nel governo cubano esistono diversi gruppi e tendenze ostili tra loro, e Castro, come un domatore di iene con la frusta in mano, impedisce che si divorino tra loro». Morto Castro, i vari gruppi «lotteranno uno contro l’altro, e a quel punto sì, avverrà uno spargimento di sangue. Non so quanto grande, ma ci sarà» • È abbastanza noto che l’accordo sulla transizione post-Castro, sottoscritto dalle varie anime del regime e del partito comunista, prevede un compromesso tra gli uomini di Raùl (ossia i generali delle Forze armate, padroni del potere militare e di gran parte di quello economico) e i rampanti trenta-quarantenni della generazione dei cosiddetti ”talibani” appoggiati apertamente dal venezuelano Hugo Chavez. Se i primi sono il passato che può tramontare insieme a Castro non c’è dubbio che i secondi sono l’unica vera speranza di sopravvivenza per il regime • Li chiamano «los Talibanes» ma non sono sfegatati al punto da non saper riconoscere che soltanto una flessibilizzazione del regime e un progetto in qualche modo riformista, possono dare risposte credibili ai malesseri forti d’una società che teme il cambio e però anche lo vuole. I nomi di punta sono quelli del medico-economista Carlos Lage, che è stato l’uomo che ha aperto alla liberalizzazione e al mercato dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la durissima crisi che ne seguì; di Felipe Pérez Roque, ex segretario privato di Castro divenuto ministro degli Esteri (soprannominato ”Fax”, nel senso che si limita a ripetere le parole di Castro). Nessuno è un Gorbaciov, e neppure un Deng, ma sono loro gli uomini del nuovo potere, loro hanno nelle mani il futuro dell’isola • Problema: quale potrebbe essere la reazione della cupola militare al potere se, per fare spazio ai più giovani alleati di Pérez Roque, fosse destituita e perdesse i privilegi? • L’Europa Centrale e la Russia sono passate dal comunismo al capitalismo nel modo peggiore per la gente. Lo storico britannico Richard Gott (Cuba, A New History): «Anche in America Latina la trasformazione dal capitalismo di Stato degli anni 60-80 a una forma brutale di neoliberismo, è stata un’esperienza tragica per milioni di persone. Se i cubani potessero, nella loro transizione, utilizzare l’esperienza dell’Europa Centrale ed evitare di imitarla, sarebbe una grande opportunità» • Per adesso, il successore è Raùl: dal crollo del comunismo sovietico, controlla attraverso i suoi generali il potere economico, turistico e commerciale dell’isola. È nota la sua posizione di aprire Cuba alla via cinese: libertà economica e assoluto controllo politico, normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti, con la garanzia che non ci saranno fughe massicce dall’isola né spargimenti di sangue • La dittatura di Castro potrebbe finire come quella di Francisco Franco, dittatore spagnolo per quarant’anni, nel 1975: la sua agonia (due mesi) finì per far elaborare il ”lutto” a una società che temeva il ritorno dei furori della Guerra Civil, e facilitò il processo d’una transizione che poi divenne modello per i popoli dell’America Latina.