La Stampa 18 febbraio 2008, Giancarlo Dotto, 18 febbraio 2008
La felicità di essere Brambilla. La Stampa 18 febbraio 2008. Chi è? Che cosa fa? Dove va? Da dove viene è l’unica cosa certa
La felicità di essere Brambilla. La Stampa 18 febbraio 2008. Chi è? Che cosa fa? Dove va? Da dove viene è l’unica cosa certa. Era la giovane signora che zittiva con il furente sonaglio la gabbia di Montecitorio, strangolata nel suo foulard d’ordinanza. Eccitante un incontro con Irene Pivetti, quattordici anni dopo. Non sai cosa troverai. La croce di Vandea o gli orecchini tipo lampadario boemo? La donna tutta fetish e gel in versione Cat Woman o la gonna sotto il ginocchio? Ci saluteremo con un passo di cha cha cha o una virile stretta di mano, parleremo di Veltroni o di Lele Mora? La casa fa l’abito e dunque il monaco. Nel suo ufficio al centro di Roma, da ex presidente della Camera, la Pivetti è dentro un impeccabile tailleur, ritorno al passato della donna dalle infinite mutazioni che, come i personaggi di Kerouac, è oggi una palestrata over quaranta che salta spericolata sui treni in corsa, in attesa di lanciarsi magari a sessanta col deltaplano da un grattacielo di Milano o da una collina della Brianza. Detto in musica, la donna è mobile? «Mobile direi di sì, ma tutt’altro che instabile. A dispetto delle apparenze, non sono poi cambiata così tanto dai tempi in cui servivo lo Stato anche indossando le calze di nylon in pieno agosto. Mutare pelle, adattarsi agli stimoli dell’ambiente, è sempre stata una mia costante. Che è poi, nella chiave di Darwin, la più vincente delle strategie di sopravvivenza». La Pivetti come Zelig? «Sono cambiate le circostanze. Mi sono innamorata e poi sposata, ma soprattutto ho fatto due figli. La maternità è l’esperienza più bella, profonda, sanguinaria che ti possa capitare». Sanguinaria? «L’istinto materno è parente stretto dell’istinto omicida. Nell’esatto momento in cui metti al mondo un figlio, reciso il cordone ombelicale, diventi una potenziale omicida. Ti tendi conto che per proteggerlo puoi commettere qualunque crimine. Quando ero un’intellettualoide non avrei mai pensato di provare sentimenti così animali. Ho pianto come una fontana quando ho finito di allattare». Dalla Pivetti politica alla Pivetti madre, dal sublimato al sublime. «Dopo l’11 settembre circolava a New York una maglietta con la Statua della Libertà e sotto una scritta minacciosa verso i terroristi: ”Non metterti mai nel luogo più pericoloso del mondo, tra una madre e i suoi figli”. Geniale. La prova di come una sentimento universale possa entrare nella sfera politica». Eppure il salto concettuale impressiona. Da Scalfaro a Platinette, da Montecitorio a Milly Carlucci, ballando il mambo e passando per Lele Mora. «Mai avuto una vocazione per il mestiere della politica. Ho vissuto da pasionaria gli anni in cui ci sentivamo tutti potenziali Robespierre, salvatori della patria. Era un’ebbrezza collettiva, ma poi è giusto che la politica torni alla normalità. E se tu sei una più da barricate che da uffici, è naturale passare la mano. Dopo di che, quando la Lega voleva la secessione io ero contraria, per questo motivo sono stata espulsa». Qualcuno l’ha presa per mano il giorno in cui si è svegliata da presidente della Camera in un’età in cui di solito ci s’interroga ancora sul proprio domani? «No, mi sarebbe servita una guida piuttosto quando sono uscita dalla politica. Da presidente era semplice, la Costituzione è chiara in proposito, sei lì a garantire a qualunque prezzo la libera espressione di tutti. Io, Scalfaro e Scognamiglio forse non eravamo grandi amici, ma siamo stati un vertice istituzionale più che decoroso in un periodo iperturbolento». Ha dovuto reinventarsi la vita. «Ho dato parecchie musate contro il muro. E’ stata una grande imprudenza lasciare senza pararsi le spalle o dotarsi di protettori. Tutti sono convinti che quando esci da una situazione così non hai più bisogno di niente, sei ricca per la vita, io invece ero piena di debiti». Questa va spiegata meglio. «La politica è costosa. Ho sempre usato il mio stipendio per pagare la gente che lavorava per me. Sciolte le Camere, mi sono ritrovata con una famiglia a carico, anche mio marito lavorava con me». Un primo matrimonio misterioso, annullato dalla Sacra Rota, il secondo con Alberto Brambilla. «Del primo non parlo, per discrezione nei miei e nei suoi confronti. Alberto l’ho incrociato che raccoglievo firme per un candidato sindaco di Milano. Era un ragazzo generoso, dalla faccia pulita, lo sguardo intelligente. Ad agosto partimmo per la vacanza con amici, dopo tre giorni mi ha chiesto di sposarmi. Un colpo di fulmine a scoppio ritardato». Il nome Brambilla. Quasi una croce da portare. «La felicità di essere Brambilla. Mi ha conquistato il brambillismo. Siamo la tipica famiglia Brambilla quando andiamo in gita o stiamo a tavola. Sono spassosi i Brambilla a tavola, il caos puro, ognuno parla per conto suo ma senti il germe molto bello della tribù. Voglio bene a mia suocera Marisa». Che resta della «Vergine di ferro»? «Ho sempre avuto un rapporto complicato con la mia femminilità. Da presidente della Camera era più semplice. Bastava la divisa a garantire le distanze. Uscita dal ruolo istituzionale ho scoperto il piacere della seduzione che, nel caso mio, non è ”ti seguo ovunque tu vada" ma "vienimi dietro che ne vale la pena". Ho imparato anche a portare i tacchi a spillo per amore di Alberto». Ha dovuto imparare anche a stare davanti a una telecamera. «Tenevo una rubrica di posta a La7. Sono partita dall’abc. Giorgio Gori, il produttore, era scettico. Dopo dieci minuti del numero zero era lì che telefonava a Costanzo e sembrava molto contento». E’ una che impara facile. «Quello che mi riscalda il sangue è ascoltare la gente. Arrivo a voler bene a chi mi racconta le sue cose. Mi sono innamorata di un tombarolo e di un tassista pazzo convinto di aver trasportato due extraterrestri». In coppia con Platinette avete sfidato il trash della chirurgia plastica. «Erano liti costanti con gli autori. Ma come, ho a disposizione il cuore della gente e devo lasciarlo perché così dice la scaletta? La televisione dovrebbe essere libera come il jazz, una base musicale su cui fare le tue improvvisazioni». Ha detto: «Buttiamo gli albanesi in mare». «C’era stato l’ennesimo sbarco. Dissi: questa gente va rimessa in mare. Tutt’altro concetto. Niente da fare. Sarò per sempre quella che ha detto "buttiamoli in mare"». Veronica, una sorella ma anche una rivale? «Macché. Lei fa l’attrice. Veronica è una donna allegra e saggia, molto più di me. Lei e tutta la mia famiglia hanno sofferto gli anni della politica. Non guardavo in faccia nessuno, spietata con me stessa e di conseguenza con loro». A quando insieme nello stesso set, Irene e Veronica? La voce alla Marlene Dietrich c’è già. «Questa non me l’aveva mai detto nessuno. Diciamo che soprattutto una proposta teatrale mi lusingherebbe». La sfida televisiva più dura per il suo senso del pudore. «Senza dubbio "Ballando con le stelle". Questa cosa del contatto fisico era per un trauma. Devo ringraziare Mauro Rossi, il mio partner, che ha capito tutto con grande sensibilità e si è adeguato». Lo frequenta ancora papa Ratzinger? «Non più. L’ho conosciuto da teologo. Una volta papa, pensavamo tutti "ecco una grande mente" e invece abbiamo scoperto anche un grande parroco. La maternità della chiesa si può esprimere nel modo mediterraneo di Wojtyla e in quello più timido e nordico di Ratzinger». cambiata la sua concezione del peccato? «Sono migliorata da quando ero una quacchera integralista. Non avevo dubbi all’epoca: il peccato è qualcosa che ti allontana dallo stato di grazia. Punto. Oggi sono meno intransigente. Da madre che ha tenuto un figlio in braccio ho capito che il peccato sta in una prospettiva immensamente più grande che quella di una micragnosa mentalità contabile». Andrà a votare? «Certo, ma non dico per chi. Mi spiace solo vedere che la gente non è più arrabbiata con i politici. Adesso li disprezza. La politica si può permettere tutto ma non la perdita del decoro». Berlusconi contro Veltroni. «Si è aperta una fase politica che promette di essere molto bella. Le premesse ci sono. Le prime uscite pubbliche di Berlusconi e Veltroni sembrano più ispirate a una visione dello Stato». Più utile al mondo come presidente Barak Obama o la Clinton? «Mi piacerebbe la Clinton, anche se non mi è simpatica. Una donna presidente degli Stati Uniti decapita alla radice nel mondo l’obiezione sulla donna al potere. Registro piuttosto la curiosa circostanza: uno dei due perderà, così l’America può solo scegliere se essere più sessista o più razzista». Le donne scendono in piazza per difendere la legge sull’aborto. «Non così tante e poche giovani, per la verità. Sono contraria all’aborto nella maniera più assoluta. E’ sempre un orrore mettere la madre contro il figlio. Ma non si può criminalizzare la donna che, lasciata sola a se stessa, ne fa ricorso. Qui non c’entra la religione, della vita di un innocente devono farsi carico tutti». In che direzione va oggi la donna delle infinite mutazioni? «Ho completato la mia seconda gavetta e mi piacerebbe stabilizzarmi, questo nuovo mestiere mi piace. Potrei dire come fanno tutti: sto preparando un programma per il prossimo anno, ma non è così. Solo progetti per il momento». Giancarlo Dotto