La Repubblica 17 febbraio 2008, DARIO CRESTO-DINA, 17 febbraio 2008
Valeria Solarino. La Repubblica 17 febbraio 2008. All´inizio, senza gli occhiali scuri ai quali ci ha abituati, sembra una ragazza spaventata
Valeria Solarino. La Repubblica 17 febbraio 2008. All´inizio, senza gli occhiali scuri ai quali ci ha abituati, sembra una ragazza spaventata. Alla fine si scoprirà che non è così. Però bisogna sempre cominciare da un´impressione. Valeria Solarino attraversa la casa sfiorando i muri con la schiena, prepara il caffè con la cura di chi non vuole fare rumore con tazzine e cucchiaini, nascosta dentro i jeans molto larghi e una camicia da uomo a righe sottili nere e blu. Vasco, un flat coated retriver di tre anni, le mette in grembo un pneumatico da tir in miniatura con l´ostinazione allegra di un bambino che si è affezionato al gioco e vorrebbe ripeterlo all´infinito. Dal suo punto di vista ha ragione. Come può credere che la sua padrona faccia sul serio quando lo allontana accarezzandolo sulla testa con quella voce che più che a un ordine assomiglia al tono di una preghiera? In cucina lei si appoggia al lavello, sminuzza parole mentre prende il cabaret e la zuccheriera. Ritagli di vita. «Sono nata in Venezuela, il posto si chiama El Moro de Barcellona. Sono venuta via che avevo pochi mesi. Mio padre è ingegnere, viaggiava molto. Prima la Sicilia, poi Torino». A Torino è cresciuta come dentro un vaso di marmellata. Nella Torino più vecchia, il quadrilatero romano, via delle Orfane, dove la cantilena del dialetto piemontese si mischia agli idiomi del Maghreb e il vento porta nei dedali del centro storico il profumo e le grida di mille cucine mischiate. Si stira, si allunga sulle dita dei piedi. La camicia e i jeans un po´ si riempiono della sua carne, dei polpacci tondi e muscolosi da ex atleta. «Sono un difetto, vero? Sono stata una discreta giocatrice di pallacanestro e una studentessa di filosofia. Forse avrei voluto insegnare all´università. Forse. Poi mi sono iscritta alla scuola di teatro dello Stabile diretta da Mauro Avogadro. Durante il terzo anno ci hanno portati tutti a Milano. Un provino per il film Fame chimica. Hanno preso me. Sono diventata un´attrice». Vasco è di nuovo qui. Stringe la sua gomma tra i denti, si struscia contro chi trova, solleva la zampa destra verso le gambe di Valeria. Cerca e riceve un po´ di attenzione. Una carezza sul muso. «Vai adesso, vai». Vasco va, sarà per poco. «Qualche anno fa ospitai per un mese il cane di un amico che era partito per una lunga vacanza. Era un pastore tedesco. L´amico si chiama Nicolò, il cane Nero. Decisi allora che prima o poi ne avrei avuto uno tutto mio. arrivato lui. Continua a credere di essere un cucciolo». Abbassa gli occhi scuri. Dentro la paura c´è ancora. Lei prova a darle tutti i nomi. «Mi spaventa la solitudine. Una volta ho vinto un piccolo premio, sono tornata a casa e quando ho aperto la porta mi sono resa conto di non avere nessuno a cui dedicarlo. Nessuno con cui condividerlo per davvero. Ho pensato: sarebbe stato meglio non vincerlo. Mi spaventa l´idea che rischio di essere una meteora, la possibilità dell´oblio prematuro, un giorno intero di applausi e luci spente per il resto della vita. Mi spaventano le settimane, i mesi, senza un lavoro. Studio inglese, pago le multe. E sfioro l´infelicità. Mi spaventa essere qui adesso, dovermi svelare. E magari deludere, dire soltanto un sacco di cazzate». Può succedere. Non è sempre grave. Valeria Solarino ha ventotto anni. nata il quattro novembre. uno scorpione. Assomiglia in modo incredibile a un´attrice emergente del cinema francese, Clotilde Hesme. Hanno la stessa età, la medesima freschezza. La Signorina F, a differenza di Clotilde, ha un sorriso forse meno luminoso ma più intrigante. «Sono timida, ma ci sto lavorando. Mi ripeto spesso: Valeria, non credere di essere sempre al centro dell´attenzione». Mi guida nel suo studio. Si sfila le sneakers nere, si accoccola sul divano e si appoggia alla parete. Prende il caffè amaro, non dice nulla. Aspetta. Sugli scaffali libri di filosofia, locandine di film, dvd. Sulla scrivania tre fotografie in bianconero. Un bimbo al pianoforte sotto una gigantografia di Che Guevara, un gruppo di donne di colore che ridono, un ritratto di Kurt Kobain. Due libri. Chesil beach di Ian McEvan, Emma di Jane Austen. «Mia madre…Arriva ogni volta con un pacco pieno di libri: Valeria, devi leggere questo, e questo, e questo. Dice che sono i miei compiti a casa. Un modo affettuoso per darmi dell´ignorante. Ma lei mi protegge, mi ascolta, mi consiglia. Sono molto fortunata ad avere lei». Nessun dolore, finora, nessuna curva sulla strada della vita. Se non la promessa mancata di qualche regista che dopo averle offerto un ruolo non si è più fatto sentire. «Lo ammetto. In questo momento il lavoro è il mio unico pensiero. Gli attori hanno un ego molto forte. Io penso di continuo al mio futuro. Vorrei una carriera costante. Temo l´età che va dai trentacinque ai quarantacinque anni, una fase nella quale se non ti rinnovi scompari o ti ritrovi a interpretare sempre lo stesso personaggio. Ammiro e invidio l´intelligenza e la bravura di Margherita Buy e Laura Morante. Adoro Claudia Cardinale. Mi affascina. L´ho incontrata di recente ad un festival. Gentile, tenera, spaesata. Avrei voluto abbracciarla. Io ho fatto pochissimo, non so dire che tipo di attrice sono. Le consiglio di tornare tra qualche anno e rifarmi la domanda. So che vorrei essere chiamata soltanto da registi bravi, per esempio Bellocchio, Amelio, Tornatore, Salvatores. Non per vanità, ma per orgoglio». Ha le idee chiare. determinata e concreta. Razionale. Lei dice di essere soprattutto semplice. Tra Goethe e Garcia Marquez sceglie il primo, tra il cinema americano e quello tedesco predilige il secondo: «La vita degli altri…un film meraviglioso». Piano piano la paura sta scivolando via. Il sorriso è cambiato. «So bene che quella sul set non è la vita reale, eppure è l´unica vita nella quale riesco a togliere i filtri alle emozioni, quelli che anche inconsapevolmente mi tengo addosso nei giorni normali. Nella vita vera non riuscirei mai a piangere in mezzo alla strada. Non si fa, mi vergognerei. Sulla scena invece sì. Ogni volta mentre lavoro scopro qualcosa di me che non conoscevo. Ho pianto quando mi sono rivista in Signorina F, ho pianto davanti a Quattro minuti, il film di Chris Kraus. Questo lavoro non è soltanto apparenza, ma impone dei comportamenti. Quando interpreto un personaggio mi metto al servizio della sua storia. Gli do la mia testa e il mio corpo. Ma sono lì anch´io, con la mia voce, il mio modo di sentire, la mia storia personale. Sto da quattro anni con un compagno, Giovanni Veronesi, che fa il regista, ma che ho scelto come persona, non per il suo ruolo nel mondo del cinema. Se però penso a una famiglia, alla prospettiva di avere figli mi rispondo subito che è presto, troppo presto. Non si possono lasciare a casa dei bambini piccoli mentre tu sei fuori tre mesi per girare un film. Non ne sarei capace, mi si strapperebbe il cuore. Per tutto questo ho bisogno di un´altra vita. Arriverà». Valeria Solarino è bella. Soprattutto nello sguardo e nelle mani. Si lamenta per una cicatrice sul naso e le caviglie troppo sottili. Nient´altro. Si veste quasi sempre di nero e porta soltanto anelli, bracciali e catene d´argento. «I colori chiari sono troppo appariscenti, l´oro troppo sbriluccicante, volgare. Cerco di passare inosservata, rasento i muri, come si dice. So di essere bella perché ultimamente me lo dicono molte persone. Sono gli altri a essere il nostro specchio, anche se mi guardo da quasi trent´anni. Non ho paura di invecchiare, spero che succeda bene. E non penso mai alla morte. Non ancora, forse perché sono troppo giovane. Non prego e non vado in chiesa. Sono un´atea con dei principi morali cristiani. E sono anticlericale, vedo nella religione il bisogno irrazionale dell´uomo incapace di accettare i propri limiti terreni». Ha sempre votato a sinistra, con il film sulla Fiat e, prima ancora, lavorando con Mimmo Calopresti, ha scoperto gli operai, la fabbrica, gli anni di piombo. Si è messa dalla parte dei semplici, con la modestia di chi è entrato nella loro storia senza saperne nulla, gli occhi spalancati. «Sono io stessa una persona semplice. In politica vorrei una semplificazione maggiore di quella che sta avvenendo, temo invece il vizio del rimescolamento continuo. Mi piace l´America. Sto seguendo con interesse le primarie, nella sfida tra Hillary Clinton e Barack Obama mi schiero con Obama soprattutto perché si è dichiarato contrario alla guerra in Iraq e perché trovo ridicola la candidatura della moglie di un ex presidente rimasto in carica per due mandati». La sua semplicità sta nella confessione. dire che sa poco di storia del cinema perché prima di farlo andava soltanto a teatro, che un film è bello o è brutto, che quando gira è in stato di eccitazione continua, che tra le colleghe la sua unica vera amica è Jasmine Trinca, che le piace la musica di Allevi e Capossela e poco altro, che non usa l´iPod perché non sa metterci dentro le canzoni e perché le cuffie la isolano e la fanno diventare triste. La sua semplicità è dire che ha amato tutte le volte che lo ha detto e che non potrebbe mai continuare a stare con un uomo che non ama più, nonostante il dolore per la rottura di ciò che si credeva eterno. Va alla finestra dello studio che si affaccia su questa piccola via dei Parioli. Guarda giù e dice: «Vorrei essere simpatica, ironica, intelligente. Ce la posso fare?». Forse basta saper guardare. Succede sempre qualcosa in strada anche nei giorni più stupidi. A volte anche ciò che si vuole. DARIO CRESTO-DINA