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 2008  febbraio 17 Domenica calendario

Non ho mai tradito la mia gente. La Repubblica 17 febbraio 2008. la strada che da Roma corre verso sud, lungo un mare che non si svela mai, esplode di mimose

Non ho mai tradito la mia gente. La Repubblica 17 febbraio 2008. la strada che da Roma corre verso sud, lungo un mare che non si svela mai, esplode di mimose. Chiome verdi spruzzate di giallo che si allargano all´orizzonte con l´estro di un quadro impressionista. E più ci si avvicina al Circeo più diventano invadenti nell´arrampicata verso San Felice, fin sotto la montagna che nasconde il piccolo cimitero in salita, con le tombe rivolte verso il mare, che finalmente si mostra con tutti i suoi colori, pronto per un´altra estate. Dall´ultima cappella sotto la rupe, piastrellata Vietri e con una finestrella che si spalanca sui campi di mimosa, il golfo sembra una cartolina. Il vetro che protegge il sarcofago porta scritto: «A mia madre Anna Magnani che ha lottato e mi ha difeso con la sapienza della prudenza… 26 settembre 1973». Aveva sessantacinque anni, quando morì nella città dov´era nata il 7 marzo del 1908, cento anni fa. A Roma, perché tanto romana era che Eduardo De Filippo scrisse: «Sono caduti gli occhi di Nannarella, che seguivano le camminate lente, sfiduciate, ogni passo perduto della povera gente. Tutti i selciati di Roma hanno strillato. Le pietre del mondo li hanno uditi». La villa al Circeo non fu un capriccio da diva, ma il riparo dalla celebrità; dalla città, quando diventava invadente. Il lusso di potersi godere il mare che amava tanto («Anna verrà col suo modo di guardarci dentro, dimmi quando questa guerra finirà, noi che abbiamo un mondo da cambiare, noi che ci emozioniamo ancora davanti al mare», le canterà Pino Daniele) e di concedersi qualche settimana d´intimità con un bambino, poi ragazzo, poi uomo, che vedeva troppo poco. Luca porta con orgoglio e discrezione il cognome di sua madre. Ha sessantacinque anni, lo stesso bellissimo viso del papà, Massimo Serato, che ad Anna, ancora sposata al regista Goffredo Alessandrini, insieme al dramma dell´addio lasciò quell´unico figlio. un architetto, il mondo del cinema non lo ha mai attratto. «Seguivo pochissimo mia madre sul set. Quell´ambiente, soprattutto da ragazzo, non mi piaceva, pieno di gente che si bacia e si abbraccia, poi si pugnala alle spalle». Della mamma non ha mai voluto assecondare miti e leggende. Dice l´essenziale, non indora e non colora, racconta di due vite cui per sorte toccò sempre, accanto a un colpo di fortuna, una disgrazia: «Ci separammo prestissimo. Io andai in Svizzera all´età di quattro anni, per curarmi. Vivevo presso una famiglia di italiani in una sorta di affidamento. Tornavo a casa d´estate e qualche volta per Natale. Non che lei mi trascurasse, ma le mie cure richiedevano un notevole impegno economico, quindi o lavorava o faceva la madre, non c´erano vie di mezzo. Quando rientrai a Roma, nel ”57, avevo quindici anni. Non eravamo abituati uno all´altra; lei ad avere un figlio, io ad avere una madre. Così mi sistemai in un appartamento accanto al suo. Anche in questo, mia madre ha precorso i tempi». Fosse un´attrice del nostro tempo, sarebbe intrigante, bellissima, l´emblema della donna moderna, indipendente, altera, volitiva. Allora era unica, e il neorealismo non avrebbe potuto fare a meno dei suoi occhi vigili e tristi, dei capelli senza permanente, «ciocche disordinatamente assolute» nelle parole di Pasolini, delle risate sarcastiche e amare. «I primi ricordi sono legati alla casa di via Amba Aradam: i nostri giri col cavallo Banana quando ancora Roma era una città a misura di calesse», racconta Luca, i gomiti incollati al tecnigrafo del suo studio, la testa tra le mani. «Sono nato in un periodo difficile, nel ”42, in un´Italia disastrata: bombardamenti, rappresaglie, miseria. Mia madre era una privilegiata, ma non c´era da scialare, era ancora una celebrità locale, un´attrice di rivista. E con la mia nascita, le cose si complicarono». Una notte la chiamano al Quattro Fontane, Luca ha la febbre alta. Il medico la rincuora, sarà un´influenza. Ma poi capisce che il piccolo non muove le gambe. Ha la polio, e in quell´Italia senza risorse curarlo è pressoché impossibile. «Pensi a quanto fosse difficile sessant´anni fa per una donna, un´attrice, avere un bambino fuori dal matrimonio, e per di più malato. Fu un periodo durissimo che affrontò in maniera eccezionale. Oggi mi rendo conto del valore di mia madre, una donna sola in una società maschile e maschilista, con la capacità, la lucidità di gestire la sua vita: ha lavorato, ha guadagnato, ha investito per assicurarmi almeno la tranquillità economica». In occasione del centenario della nascita, Luca ha sentito il bisogno di scrivere una biografia definitiva. Con la complicità di Matilde Hochkofler, che ha già realizzato vari progetti legati alla Magnani, sta mettendo a punto il libro Anna sconosciuta, da pubblicare a fine anno. «Sarà una storia basata su inequivocabili fonti documentarie», spiega. Copioni, più di centocinquanta soggetti che le sono stati proposti, progetti mai realizzati e soprattutto, ed è un´assoluta novità, la vastissima corrispondenza che ha tenuto in trent´anni con protagonisti dello spettacolo e della cultura: Marcel L´Herbier, Rossellini, Visconti, Zavattini, Tennessee Williams, Anthony Franciosa. La Hochkofler sta vagliando il materiale nella sua casa di San Lorenzo, non lontano da dove fu girata la scena-madre di Roma città aperta. «Ci sono lati della personalità dell´attrice che ancora il pubblico non conosce», dice. «Al di là del carattere burrascoso, degli improvvisi scoppi di gioia, la ruzza, come la chiamava lei, Anna aveva momenti di grande malinconia e desiderio di solitudine. Stupisce che quell´artista dalla vita scapigliata avesse tempo e voglia di occuparsi dei dettagli, la casa, l´arredamento, i cani. Ho persino trovato le ricevute della rimessa di Porta Metronia, dove teneva il cavallo Banana». «Mia madre era una persona molto raffinata», aggiunge Luca, «amava le cose belle, aveva buon gusto. E insieme era semplice, schietta, sobria. Quando andavamo in giro per Roma, c´erano il vetturino o il tassista che la apostrofavano, "Nannarè, come va?", come se parlassero alla vicina di casa. Lei rispondeva, "Ciao nì", e iniziava un dialogo che durava per tutto il tragitto. Questa era mia madre. Magnani the magnificent, come la chiamò Bette Davis». Luigi e Cristina Vaccarella, padre e figlia, lui negli Usa per lavoro, lei per frequentare l´Actor´s Studio, appassionati di neorealismo, hanno raccolto in varie università e fondazioni d´America una vasta documentazione sull´attrice, parte della quale è confluita in Anna Magnani: la mia corrispondenza americana (Edizioni Interculturali). Nel loro archivio privato hanno anche l´originale della lettera scritta da New York a Bette Davis nel 1953: «…Cara cara grande Bette, siete così umana e io mi sento molto vicina a voi, mi sento molto simile a voi come donna. Come artista voi sapete cosa siete per me. Difendete sempre la vostra arte, difendete sempre la vostra libertà artistica contro tutto e contro tutti. Solo così si è se stessi e, nel vostro caso, solo così si è una grande attrice». La scoperta dell´America, nei primi anni Cinquanta, portò scompiglio e agitazione in casa Magnani. Luca ricorda ancora i preparativi per la partenza, la cura maniacale nella scelta delle cose da portare - la macchinetta del caffè, prima di tutto. «Odiava volare, ogni volta che doveva prendere l´aereo scriveva un testamento. Quando andò a Mosca e Stalingrado per le rappresentazioni della Lupa, nel 1965, preferì il treno, due giorni in carrozza con tutta la compagnia. Dall´America tornava sempre carica di bauli. Comprò un barbecue, con i forchettoni e i guantoni e tutti gli accessori, che ancora conservo. L´America era un altro mondo. Noi avevamo la ghiacciaia di zinco, loro il frigorifero con lo sportello come quello di una Cadillac. Ma la sua casa era Roma. Tennessee Williams le fece delle proposte per uno spettacolo teatrale, lei rifiutò. Due anni senza mai tornare… inconcepibile». Dagli Stati Uniti, Anna Magnani portò anche un Oscar, vinto con il primo film della trilogia americana, La rosa tatuata; tanti amici, come Bette Davis e Tennessee Williams; inevitabili rivali, come Brando che rimase intimidito dalla sua bravura girando Pelle di serpente; e qualche amore, come il giovane Anthony Franciosa, conosciuto sul set di Selvaggio è il vento. «Il cinema italiano era niente negli Usa prima di Roma città aperta, il film che fece conoscere mia madre oltreoceano», spiega Luca. «Ma La rosa tatuata fu una consacrazione, il lancio a livello internazionale. L´Oscar invece un boomerang, le portò gioie e amarezze. Da quel momento diventò troppo importante, quasi irraggiungibile per i nostri registi. Nel mondo del cinema, anche nei Sessanta, le attrici erano legate alla figura di un uomo potente - il produttore, il regista, l´amante. Mamma, al contrario, dagli uomini, anche da alcuni suoi compagni, è stata usata. Lei, anche professionalmente, era sola». Quella ostinata indipendenza le costò il ruolo di protagonista nella Ciociara, che andò a una troppo giovane Sophia Loren, e probabilmente un secondo Oscar. «Mia madre non faceva vita mondana, lei stessa non frequentava molto il mondo del cinema», conclude Luca. «Aveva i suoi ritmi, i suoi cani, i suoi gatti, le case, quella di Roma e la villa al Circeo, gli amici: era molto legata a Suso Cecchi D´Amico, a Franco Monicelli, fratello di Mario, a Elsa De Giorgi, a Tennessee Williams, che quando era in Italia non mancava di farle visita». Anna diceva: «Tennessee e io siamo amici perché siamo due mostri», e quando gli scriveva iniziava sempre con «Buffone mio adorato». Lui la venerava: « un lampo tra le nuvole, inafferrabile come un´ombra. C´è un fremito attorno a lei, una tensione scoperta. la più grande attrice vivente». Il testamento la Magnani cominciò a dettarlo, quasi per scaramanzia, nel corso di tante interviste. E, leggenda vuole, che per ultimo lo sussurrasse a Rossellini, il più puro di tutti i suoi amori, anche se ingeneroso come gli altri: «Quando muoio, quando la gente pensa a me, deve sapere che la Magnani non gli ha mentito. Deve essere sicura che la Magnani non l´ha mai tradita, e che la Magnani non ha mai tradito se stessa». GIUSEPPE VIDETTI