La Repubblica 18 febbraio 2008, Renato Caprile, 18 febbraio 2008
Il piccolo paese che scuote il mondo. La Repubblica 18 febbraio 2008. Piange quando Hashim Tachi, alle 15 e 38 di un pomeriggio che entrerà nella storia, proclama l´indipendenza del Kosovo
Il piccolo paese che scuote il mondo. La Repubblica 18 febbraio 2008. Piange quando Hashim Tachi, alle 15 e 38 di un pomeriggio che entrerà nella storia, proclama l´indipendenza del Kosovo. Piange le lacrime che non può piangere il padre. Murat Jashari è il figlio di Adem, il fondatore dell´Uck, massacrato insieme a tutta la sua famiglia a Prekaz Ulaj il 15 febbraio di nove anni fa. Sedju, il presidente, ha voluto che questo ragazzo di trent´anni, che ebbe salva la vita solo perché era in Svizzera a lavorare, fosse tra i pochi ospiti d´onore di questo momento speciale. La festa di oggi, domenica 17 febbraio 2008, non sarebbe stata possibile senza il sacrificio di uomini d´azione come Adem e soprattutto statisti a tutto tondo come Ibrahim Rugova, cui il destino ha impedito, a un passo dal traguardo, di vedere realizzato il suo sogno. Ma questi padri della patria non sono stati dimenticati. Le loro facce campeggiano sui muri delle città e sono stampate sulle magliette e sulle bandane di molti giovani sotto la scritta: «Grazie, zio». Nel «Giorno Uno» della Nuova Era dalle primissime ore del mattino, nonostante siano stati in pochi a dormire, Pristina è un tripudio di rosso e di bianco. Il rosso dei gadget e delle bandiere albanesi, agitate da un vento gelido, e il bianco della neve che è caduta copiosa nella notte. La temperatura polare - meno otto, nove gradi - non impedisce che a migliaia si riversino in boulevard Madre Teresa, il cuore dell´happening, la main street della capitale. C´è un giornale, Express, che va a ruba. Ha un titolo volgare ma di grande effetto. E´ un Vaffa in inglese - grazie a un gioco di parole - alla (Yu) goslavia di Tito e Milosevic. Ma ad eccezione di questo e di qualche altro sfottò, ironiche t-shirt soprattutto, gli albanesi hanno deciso di ignorare i «nemici». Basso profilo, hanno consigliato loro, è così è stato. La hall dell´Hotel Grand, il covo dei paramilitari di Arkan al tempo di Slobo, privatizzato ma decadente come allora, è come un bus all´ora di punta. Entrarvi o uscirne è un´impresa da rugbisti. E´ qui infatti che arrivano i politici e che Thaci alle cinque della sera farà lo storico annuncio alla stampa internazionale. I suoi supporters sono già lì pronti a omaggiarlo e a scandirne in maniera ossessiva il nome. Non c´è dubbio è anche il giorno del «serpente», il soprannome dell´ex guerrigliero, che a Rugova non piaceva, ma che ora, da primo ministro e leader del partito di maggioranza, è l´uomo più potente del paese. E per uno di quei paradossi della storia quello che più di altri legherà il proprio nome a questo storico evento. Thaci, il decisionista, convoca il Parlamento un´oretta prima delle 15 per accelerare i tempi e fare più in fretta possibile per mettere Belgrado e Mosca di fronte al fatto compiuto. Da quelle capitali giungono notizie assai poco rassicuranti. Begjet Pacolli, il miliardario con passaporto svizzero e amicizie altolocate nell´ex Urss, capo dell´opposizione e outsider di lusso della politica kosovara, varca la porta dell´hotel Victory, attorniato dai suoi guardaspalle, intorno a mezzogiorno. Ha da incontrare un vecchio amico, Joseph Walker, l´ex capo dell´Osce. E´ allegro e disponibilissimo a fare due chiacchiere. «E´ un gran giorno - dice - e la Serbia sbaglia ad opporsi, era ineluttabile che questo accadesse e ora il Kosovo si può trasformare soprattutto per loro in una grande opportunità». Su Thaci e sull´attuale leadership politica, l´ex marito di Anna Oxa non usa giri di parole: «Non sono preparati a imprimere la svolta economica di cui il paese ha bisogno. Non escludo nemmeno che siano lì per arricchirsi, ma non pensiamoci oggi, ci sarà tempo per aggiustare il tiro. L´importante è che da domani si inizi già a lavorare per il futuro». Alle 13 tuttto il centro della città è particamente off limits. La folla è incontenibile. Sono arrivati da ogni parte. Dall´Albania, dalla Macedonia, dal Montenegro, ma soprattutto dall´estero. Da America, Germania, Svizzera, Italia, i luoghi in cui sono stati costretti ad emigrare quando i serbi li buttarono fuori da un giorno all´altro dal loro posto di lavoro. Josuf, 50 anni, ora vive a Lugano. Confessa anche di aver fatto un po´ di soldi ma vuole investirli qui «perché è il luogo in cui sono nato, dove ci sono le mie radici. Non pensavo che questo fosse possibile e ora mi sento solo di dire grazie a tutti coloro che ci hanno consentito di vivere questa emozione». Alle 14 inizia la lunga diretta dal Parlamento. Fatmir Sedju è il primo a prendere la parola, poi tocca a Jakup Krasniqi, lo speaker dell´Assemblea, ed infine a lui, Hashim Thaci. Alle 15 e 38 la parola «paveresia», indipendenza, diventa un atto ufficiale. Da questo momento in poi il Kosovo sarà una nazione sovrana, «democratica, laica e multietnica, rispettosa dell´eredità culturale e religiosa delle decine di siti ortodossi, con responsabilità internazionali, contraria all´uso della violenza per risolvere le differenze e desiderosa di avere buone relazioni con i suoi vicini. E´ fatta, dunque. Lo champagne può scorrere a fiumi, si può dare inizio alle danze e liberarsi in un pianto di gioia. Qualcuno esagera però e spara in aria raffiche di mitra. I più per fortuna si limitano ai fuochi d´artificio. Il rumore è assordante. E´ fatta, dunque, anche se il difficile inizia proprio ora. La Belgrado dei duri non ci sta e minaccia. Centinaia di ex riservisti serbi vengono fermati a pochi passi dal confine. Vestivano uniformi militari e certo non venivano qui per congratularsi. E a Kosovska Mitrovica, poche ore dopo l´ufficializzazione dello strappo di Pristina, due bombe a mano esplodevano vicino a un tribunale gestito dall´Onu, mentre un´altra, lanciata contro l´area della futura base della missione civile europea, faCeva cilecca. Non è finita, dunque, anche se il primo importantissimo passo è stato compiuto. Renato Caprile