Corriere della Sera 18 febbraio 2008, F. Bat., 18 febbraio 2008
La rabbia dei serbi: «Ci saranno conseguenze». Corriere della Sera 18 febbraio 2008. Se questo è il domino, l’effetto a catena che Putin paventava, ecco le prime tessere
La rabbia dei serbi: «Ci saranno conseguenze». Corriere della Sera 18 febbraio 2008. Se questo è il domino, l’effetto a catena che Putin paventava, ecco le prime tessere. Le più vicine. «Vergogna! », si sgolano i serbi del Kosovo. «Stato fantoccio!», si mobilitano i serbi di Serbia. «Guai a chi molla!», s’infiammano i serbi di Bosnia. Sputa benzina l’unica autorità che tutti riconoscono: «Il governo di Belgrado compri le armi dalla Russia – è la rabbia ultrà del vescovo ortodosso Artemije ”. Bisogna stabilire in Kosovo una presenza militare». Le parole diventano pietre, spari, bombe. La parola indipendenza imbizzarrisce: otto poliziotti e dieci manifestanti feriti a Belgrado, negli scontri serali. «Il nome di Bush resterà a lettere nere nella storia della Serbia», dice il premier serbo Vojislav Kostunica, e sembra quasi un segnale. A Novi Sad assaltano McDonald’s e un supermercato Merkator, sloveno come la presidenza Ue. A Banja Luka, manifestano nelle strade. Nella capitale, sassi e molotov contro le ambasciate Usa e di Lubiana, cariche e lacrimogeni in piazza della Repubblica, in fiamme le bandiere a stelle e strisce. Lanciano anche tre bombe a mano a Mitrovica, la città kosovara divisa fra albanesi e serbi, per colpire gli uffici della nuova missione Ue e un tribunale Onu. Si sapeva. Kosovo je Srbija, è il motto: questa è la nostra terra. «Non lo molliamo!», titolava ieri Blic. Si passa ai fatti: richiamati per qualche giorno in patria gli ambasciatori presso i governi che s’inchineranno a Pristina sovrana; convocate le diplomazie accreditate a Belgrado, compreso il nostro ambasciatore Alessandro Merola, perché conoscano le «possibili conseguenze». E poi l’embargo al Kosovo «illegale», il rifiuto alle frontiere di passaporti che ne abbiano il timbro, rubinetti chiusi a centrali idriche ed elettriche, boicottaggio di telefonia e d’internet. Anche la controprogrammazione tv va in onda dalla Serbia alla stessa ora della diretta kosovara dal Parlamento di Pristina. Di qui il sorriso dei vincitori? Sull’altro canale, il ciuffo livido di Kostunica: «Gli Stati Uniti hanno spinto l’Ue a calpestare i princìpi cui si richiama. L’Europa ha abbassato il capo. Sarà responsabile di tutte le conseguenze. S’è dichiarata illegalmente l’indipendenza di un falso stato della Nato». E i moderati? Se ci sono, tacciono. Il presidente Boris Tadic vola a New York, invitato all’ Onu dall’amico russo, e intanto cerca di rassicurare: «Nessuna violenza, però non riconosceremo mai questo governo di Pristina ». Poco credibile: giovedì tornerà a Belgrado per la grande manifestazione organizzata dai radicali di Nikolic. «Se non avremo risposta – minaccia l’opposizione ”, faremo da soli. E il mondo vedrà di che pasta è fatta la Serbia». Il generale Zdravko Ponos aveva osato dire «non difenderemo il Kosovo con le armi». Artemije l’ha bacchettato. Ieri s’è corretto: «I miei uomini sono pronti». F. Bat.