Corriere della Sera 18 febbraio 2008, Stefano Montefiori, 18 febbraio 2008
Una vittoria delle piccole patrie. Corriere della Sera 18 febbraio 2008. «Sono uno scrittore ebreo nato in Polonia, cresciuto in Russia, diventato francese battendomi per l’ideale dell’Europa
Una vittoria delle piccole patrie. Corriere della Sera 18 febbraio 2008. «Sono uno scrittore ebreo nato in Polonia, cresciuto in Russia, diventato francese battendomi per l’ideale dell’Europa. Non posso che essere triste. I kosovari non hanno trovato altro modo per entrare – forse un giorno – nella grande casa europea, che costruire un’ennesima piccola casetta, appena fuori dai suoi confini. la vittoria delle piccole patrie etniche, e il fallimento dell’Europa». Marek Halter, 71 anni, è scampato al nazismo fuggendo bambino dal ghetto di Varsavia. Rifugiato con la famiglia in Uzbekistan, ne ricavò il dubbio onore di consegnare personalmente fiori a Stalin in qualità di «piccolo pioniere sovietico». Superstite dei due totalitarismi del XX secolo, ha appena scritto La mia ira (Spirali), nel quale prosegue la sua lotta contro l’antisemitismo, l’antiamericanismo, il fascio- islamismo, il nazionalismo. I kosovari festeggiano per la conquista della libertà. Non è comprensibile? «Sì, però mi dispiace che per essere liberi abbiano dovuto issare nuove frontiere. Io e tutti gli europei siamo responsabili di quello che ai miei occhi è un regresso. Avremmo dovuto costringere la Serbia a rispettare la lingua, la cultura, l’autonomia dei kosovari. E convincere i kosovari che creare l’ennesimo staterello non aveva senso. Nel vicino Montenegro la disoccupazione tocca il 60%, e ora noi europei ci apprestiamo a pagare un Kosovo che da solo non può farcela». Serbi e albanesi non riuscivano a convivere. «A lungo neppure francesi e tedeschi ci sono riusciti, eppure poi si sono uniti nell’Unione Europea. Stiamo assistendo a una marcia indietro della storia, l’avvenire dell’umanità è l’unione, non la frammentazione». Ha paura dell’effetto domino? «Il governo basco parla già del Kosovo come di un modello, e come dargli torto? E perché negare l’indipendenza alla Corsica, alle Fiandre, alla Lombardia? Al di là dei casi specifici, a me interessa l’approccio filosofico. Io difendo Stefan Zweig nel Mondo di ieri, il sogno del vivere insieme anche se diversi». Mi spiace che per essere liberi i kosovari abbiano dovuto issare nuove frontiere. Io e tutti gli europei siamo responsabili di quello che ai miei occhi è un regresso Una nostalgia un po’ asburgica. «Il XX secolo ha conosciuto la giusta liberazione degli Stati europei. Bene. Ma poi si è andati oltre, abbiamo visto divisioni – per fortuna pacifiche – incomprensibili, come quella tra Cechi e Slovacchi. Quando Mozart suonava a Praga e Bratislava non passava alcuna frontiera. Nel 1968 ho pianto quando i carri sovietici invasero Praga, e mi ha fatto male vedere la separazione di persone che avevano lottato e sofferto insieme ». La storia tra Serbia e Kosovo è meno fraterna. «Ma doveva essere l’Europa a insegnare la convivenza. Sia ben chiaro, non difendo la Serbia, è stato il nazionalismo di Milosevic a incendiare la regione. Quando il mio amico Bernard Kouchner venne nominato rappresentante dell’Onu in Kosovo, abbiamo avuto una lunga discussione, nella quale gli raccomandavo di sviluppare al massimo l’autonomia dei kosovari». Ieri il suo amico Kouchner, in qualità di ministro degli Esteri francese, ha fatto gli auguri al nuovo Stato. «Ormai non poteva fare altrimenti. Ma è stato lui stesso a raccontarmi tempo fa un aneddoto molto interessante. Appena insediato nell’incarico, un giorno si presentarono a Kouchner un gruppo di donne albanesi in lacrime; lo imploravano di andare a vedere una fossa comune. Kouchner accorse, turbato per la possibile ripresa delle violenze etniche. Ma c’era stato un malinteso, quella fossa non era nuova, risaliva alla solita battaglia di Kosovo Polje del 1389, e quelle donne stavano ancora piangendo gli stessi morti da secoli». Ci sono state in seguito altre terribili violenze contro gli albanesi. «Lungi da me il volerle negare. L’aneddoto però è importante perché ci parla della differenza tra "memoria", cioè il dare un senso alla storia, e l’ossessione del "dovere di memoria", che implica il tenere sempre vivo l’odio, il rancore, la vendetta. Il dovere di memoria è la mafia siciliana, è la faida. Milosevic che parla della Grande Serbia, sono i kosovari che non riescono a vivere con i serbi». Forse l’Europa accoglierà entrambi. «Me lo auguro, ma sarà allora un’Europa ingestibile, formata da tante piccole patrie. Un’Europa minestrone». La Russia protesta all’Onu. «Mi pare che l’indipendenza del Kosovo faccia parte di un grande gioco. una tappa della seconda guerra fredda tra Stati Uniti e Russia, compiuta più per infastidire Mosca che per il bene dei kosovari. I quali per strada sbandierano le bandiere americane, non certo quella europea. Il fallimento dell’Europa è completo». Stefano Montefiori