Corriere della Sera 18 febbraio 2008, Francesco Battistini, 18 febbraio 2008
Oggi è caduto il nostro Muro. Corriere della Sera 18 febbraio 2008. La proclamano sottozero. In un vento ghiacciato che gela i Balcani, raffredda le diplomazie, fa rabbrividire il mondo
Oggi è caduto il nostro Muro. Corriere della Sera 18 febbraio 2008. La proclamano sottozero. In un vento ghiacciato che gela i Balcani, raffredda le diplomazie, fa rabbrividire il mondo. Pavaresia, indipendenza. Alle 3 e mezzo del pomeriggio, il Kosovo è uno Stato «libero, sovrano e democratico». Ha una bandiera ufficiale con i colori dell’Unione Europea, anche se tutti sventolano l’aquila bicefala e albanese. Canta un inno provvisorio che è il Beethoven dei Ventisette, anche se tutti si commuovono a un tormentone tv, «Nuovo Paese». «Nuovo Paese», che le popstar kosovare intonano insieme e dappertutto. Si presenta al mondo con una dichiarazione del presidente Fatmir Sejdiu e del premier Hashim Thaci e dello speaker Jakup Krasniqi, «noi i leader democraticamente eletti dal nostro popolo... », anche se è taroccata dalla formula che usò Jefferson per la nuova America, anno 1776. I toni sono solenni, le grisaglie di Stato. La storia è qui, la geografia pure: «Signori – dice Thaci ”, oggi la cartina del mondo è cambiata». Kosovo is born. L’indipendenza ha già il suo monumento alla memoria, una scritta gigantesca nella piazza di Pristina, «Newborn», nuova nascita, un work in progress fra lo Skanderbeg a cavallo e il cippo per i caduti Uck. Chiunque passi, può scriverci qualcosa ed è una ressa da reality, fuochi d’artificio e battimani, quando nel buio polare compare Thaci e a pennarello nero, sotto i riflettori, verga una sigla. Avanti popolo, ognuno lasci il segno: s’arrampicano sulla N, firmano sulla E, graffitano la W, e bastano un paio d’ore perché la nuova nascita non abbia più un angolo libero, nemmeno sull’ultima N. Che festa. Una torta di 25 metri quadrati, il «Va’ pensiero» dagli altoparlanti, i baci delle ragazze, gli spari in aria, le sigarette JFK (tributo a Kennedy? No: «Just For Kosovo») regalate ai passanti. Kosovari nelle strade anche a Vienna, in Svizzera, in Belgio, nelle cittadine italiane. La domenica celestiale s’imbandiera delle sei stelle dell’antica Dardania, come voleva Ibrahim Rugova, il Gandhi morto senza vedere il suo capolavoro politico. «Oggi una nuova vita comincia – scrive il giornale Koha Ditore ”, ma guai a dimenticare il passato». Si comincia da lì dunque, l’omaggio è obbligato, ma non lo fa Thaci «il Serpente» che Rugova detestava: lo fa Sejdiu che di buon mattino va sulla tomba del vecchio Ibra e poi si commuove e gli dedica il primo applauso in Parlamento, davanti a diplomatici e militari e rappresentanti Onu. L’aula è seria e grigia, ci si alza, le mani vanno fiere sul cuore nella cerimonia degli addii ai serbi, mentre il trio Thaci-Sejdiu-Krasniqi proclama parole attese nove anni: «Ci inchiniamo alla volontà del popolo»; «il Kosovo sarà consacrato alla pace e alla stabilità in una società democratica, laica e multietnica»; «giriamo una nuova pagina della storia»; «c’incamminiamo verso una visione europea»; «non ci sarà spazio per la paura, le intimidazioni e le discriminazioni»; «tutte le proprietà e le tradizioni saranno considerate sacre»... Proclamazione in dodici punti, approvazione per alzata di mano, mancano gli undici deputati della minoranza serba, ma la tv a circuito chiuso evita d’inquadrare gli scranni vuoti, a votare l’indipendenza bastano e avanzano gli altri 109. «Siamo stati in piedi fino alle tre di notte per rifinire questa dichiarazione – dice Bexhet Pacolli, abbronzato ed elegante, sui banchi dell’opposizione ”. venuto a darci una mano anche il rappresentante italiano. importante, la mano tesa ai serbi. Sta a loro capire che questa è una grande occasione per tutti». L’aula parlamentare è stata restaurata coi soldi della sua Mabetex e il miliardario con villa a Lugano si sente un po’ a casa sua: «Il Kosovo s’è meritato quest’indipendenza, basta guardare quanti cimiteri ci sono qui intorno. Ho letto sul Corriere le critiche del generale Mini, dice che io sto qui a nascondere i miei soldi: ma io non ho bisogno d’aprire banche in Kosovo, per il mio patrimonio!». L’unanimità non è totale: «Mini sostiene anche cose giuste. C’è qualche problema di presentabilità, per alcuni leader. E questo governo Thaci non è affatto all’altezza delle sfide che ci aspettano. D’indipendenza, la prossima settimana non si parla più. Bisogna creare lavoro, ricchezza. Il Kosovo ha grandi opportunità, penso alla manodopera che in Italia costa troppo cara». E se l’Italia dovesse ripensarci, sul riconoscimento? «Non ci saranno problemi. I contrari sono Rifondazione e gli altri della sinistra dura, ma quelli sono amici dei russi! La Lega poi è fuori dai binari. Invece il berlusconismo, che ci sostiene, è fortissimo! Questo è l’ultimo pezzo di comunismo che se ne va». L’ultimo calcinaccio del Muro, il sesto Stato generato con le staminali della vecchia federazione titina. Il tabloid Expressen ieri ha messo in prima pagina le foto di Pasic, Tito, Milosevic. E un gioco di parole che è già il poster per i posteri: «Fuck Yu!», fòttiti Jugoslavia. Francesco Battistini