Corriere della Sera 17 febbraio 2008, Angelo de’ Micheli, 17 febbraio 2008
Il colloquio «rivelatore». Corriere della Sera 17 febbraio 2008. « Nessuno può essere punito per una azione preveduta dalla legge come reato se non l’ha commesso con coscienza e con volontà » così indica l’art
Il colloquio «rivelatore». Corriere della Sera 17 febbraio 2008. « Nessuno può essere punito per una azione preveduta dalla legge come reato se non l’ha commesso con coscienza e con volontà » così indica l’art. 42 del codice penale. Per stabilire se queste condizioni ci sono, il giudice incarica un criminologo perché stili una «perizia psichiatrica forense». Di che cosa si tratta? « una perizia speciale – spiega Isabella Merzagora Betsos, titolare della cattedra di Criminologia Clinica, della facoltà di medicina dell’Università di Milano – della quale il colloquio è lo strumento principale. Naturalmente è un colloquio diverso rispetto al colloquio clinico fatto da uno psichiatra o da uno psicologo per accertare se una persona ha disturbi mentali o soffre di un disagio psicologico». «La perizia forense – precisa la professoressa Merzagora – è diversa sia sotto il profilo delle regole deontologiche sia come contenuti. Non è, infatti, un colloquio richiesto dal soggetto nella veste di paziente; il più delle volte è fatta su mandato del giudice e la sua finalità non è quella di fornire aiuto o cura, bensì di valutare la responsabilità penale. Questa caratteristica pone chi interroga in una posizione particolare: non è schierato dalla parte del soggetto, ma dall’altra. Questa condizione crea limiti su quello che si può chiedere, limiti rispetto al segreto professionale che non è solo nei confronti del soggetto, ma ha una sua diversa veste giuridica. Per esempio se il mandato ricevuto è quello del giudice, al giudice si deve riferire. Per quanto riguarda i contenuti, è ovvio che verranno chieste informazioni analoghe a quelle del colloquio clinico; quindi la storia di vita del soggetto, quella della famiglia, i suoi problemi concreti e quotidiani, le sue difese. Ma, accanto a queste informazioni, occorre mettere in luce tutta una serie di competenze rispetto alla "criminogenesi", cioè all’origine del comportamento criminale, e alla "criminodinamica", cioè alle modalità con cui è stato attuato il reato. Proprio per questo motivo il colloquio criminologico devono farlo i criminologi; non basta essere psicologi o psichiatri». di particolare importanza avere qualche informazione sulla famiglia poiché situazioni e modelli che sono stati presenti o assenti nell’educazione familiare possono aver favorito o meno la criminogenesi. Per esempio, è importante sapere nell’evoluzione del soggetto, quale è stata la sua storia rispetto all’osservanza delle regole sociali. Altrettanto rilevante è conoscere quale è stato il rapporto del soggetto con l’abuso di droghe. Inoltre, come nel colloquio clinico, il perito si avvale di test proiettivi, dove le risposte al test rivelano tratti della personalità, un esempio è il reattivo di Rorschach, per trovare riscontro rispetto alle dichiarazioni che vengono fatte. «Naturalmente – prosegue l’esperta – l’indagine sul fatto specifico è fondamentale come è opportuno scoprire che non ci sia simulazione; al reo può risultare utile simulare un quadro psicologico, come quello di non saper intendere e volere per evitare la condanna». Angelo de’ Micheli