Corriere della Sera 17 febbraio 2008, LIVIA MANERA, 17 febbraio 2008
Bionde, romantiche e un po’ mamme. Corriere della Sera 17 febbraio 2008. Ninfomani, corrotte, assassine in sei romanzi su sette
Bionde, romantiche e un po’ mamme. Corriere della Sera 17 febbraio 2008. Ninfomani, corrotte, assassine in sei romanzi su sette. E in tutti i casi, bionde: bionde «da far tirare un calcio a un vescovo e bucare la vetrata di una chiesa». Così erano le donne nei romanzi hard boiled di Raymond Chandler. Ma lui, l’autore del Lungo addio e del Grande sonno, che tipo di rapporto aveva con le donne in carne ed ossa? Se lo è chiesto senza concessioni alla banalità del pettegolezzo Judith Freeman, che in The long embrace: Raymond Chandler and the women he loved, appena uscito negli Stati Uniti dalla Pantheon Books, ricava dalla sua indagine una risposta per niente scontata. A cominciare da questo: quando Chandler nel 1939 pubblicò il suo primo romanzo, Il grande sonno, aveva cinquantun anni, e la sua fatale, sexy e adorata moglie e musa Cissy, quasi settanta. Si erano conosciuti a Los Angeles nel 1913. Lui veniva dall’Inghilterra dove aveva studiato nel collegio di Dulwich che aveva laureato J. P. Wodehouse e preparato tanti ragazzi dell’upper class britannica a sfidare il mondo e temere le donne. Lei era nata Pearl Eugenia Hurlburt, a Perry, in Ohio, portava i capelli ossigenati, aveva posato nuda per pittori e fotografi, ed era già stata sposata. Pare che Raymond fosse vergine quando conobbe Cissy. Di certo viveva con la mamma. Si sposarono quattro mesi dopo la morte di questa. Col tempo Raymond Chandler avrebbe tradito Cissy con le sue segretarie, ma ciò che colpisce nel ritratto dello scrittore che ci dà la Freeman, non è questa banalità, quanto la convinzione dello scrittore che il matrimonio fosse «un corteggiamento senza fine », il cui anniversario festeggiava regalando un’intera stanza di rose rosse alla moglie. «Si può scherzare finché si vuole sul sesso», avrebbe scritto da vecchio Chandler, «ma in fondo al proprio cuore ogni uomo che si rispetti sa che deve avvicinarsi alla donna che ama come a un altare». E che «perduto quel sentimento, siamo completamente perduti anche noi». Questo però non gli impediva di scrivere romanzi intorno a donne maliarde e tentatrici che anche Marlowe, il più disincantato dei detective, non esitava a condannare. E non c’è dubbio che proprio questa ambivalenza nei confronti della seduzione femminile abbia dato a Marlowe il suo spessore psicologico e il suo fascino. Se Chandler era un uomo sessualmente confuso e un sentimentale che scriveva versi per una donna che avrebbe potuto essere sua madre, Marlowe era un romantico con la pistola. Poi nel 1954 Cissy, dopo esser stata inferma a lungo, morì, e lo scrittore fu libero di tornare alla sua amata Inghilterra e diventare un alcolista entusiasta e un donnaiolo infelice. Fece ancora una cosa, però, Chandler, per la sua antica musa, che lo aveva abbandonato all’età di ottantaquattro anni. Galante fino all’ultimo, scrisse sul certificato di morte che ne aveva sessantotto. LIVIA MANERA