varie, 18 febbraio 2008
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Biografia di Gigi Di Fiore
• Napoli 2 gennaio 1960. Giornalista. Inviato del Mattino e sperimentato saggista. Tra i suoi libri Controstoria dell’Italia unita (Rizzoli 2007). «[…] Non parla male solo di Garibaldi, ma anche di Cavour e di tutta la classe dirigente liberale dell’epoca. Ma gli imputati principali sono i Savoia [...] è una sorta di requisitoria. Non una ricostruzione completa delle vicende risorgimentali (mancano i moti mazziniani, le Cinque giornate di Milano, la Repubblica romana del 1849), ma una rassegna degli intrighi, degli abusi e degli inganni che accompagnarono il processo di unificazione. Lo scopo dell’autore non è però puramente dissacratorio o recriminatorio. A suo avviso, proprio i vizi d’origine del Risorgimento si riflettono sulle difficoltà dell’Italia di oggi, perché i padri fondatori ci hanno lasciato in eredità un Paese zoppicante e sconnesso, ancora segnato dalle cicatrici di quella che, secondo Di Fiore, fu un’operazione chirurgica compiuta senza troppi riguardi. Diversi i capi d’accusa contenuti nel libro. In primo luogo l’unità d’Italia non fu il prodotto di una spinta dal basso, che c’era, ma riguardava piccole minoranze, bensì di una conquista militare compiuta dai Savoia annettendosi gli Stati preunitari e appoggiandosi nei momenti cruciali sulle armi straniere, francesi nel 1859, prussiane nel 1866. C’è di più: il Risorgimento, sostiene Di Fiore, non fu soltanto lotta contro il dominio straniero, ma ebbe anche caratteri di guerra civile, italiani contro italiani, specie nella fase che vide crollare il regno delle Due Sicilie. L’annessione del Sud allo Stato sabaudo, incalza l’autore, avvenne tramite “un’azione ben organizzata” con l’avallo del governo di Torino, la spedizione dei Mille, che poi sfociò in “una guerra d’invasione” quando le truppe di Vittorio Emanuele II penetrarono in territorio Borbonico. Seguì un feroce conflitto tra cafoni meridionali alla macchia ed esercito italiano, denominato impropriamente “lotta al brigantaggio”, con eccessi cruenti su cui si soffermano le pagine più impressionanti del libro. Altra scelta disastrosa, continua Di Fiore, fu l’estensione delle leggi piemontesi a tutta la penisola, accompagnata da un accentramento amministrativo estremo, da cui derivarono i tratti autoritari di una dinastia abituata a governare con i prefetti, se non con gli stati d’assedio. Viene quasi da pensare che l’autore consideri i Borbone preferibili ai Savoia, almeno dal punto di vista del Sud, che pagò per l’unificazione il prezzo più alto. La conclusione è che siamo una nazione assemblata male, come del resto studiosi delle più varie tendenze (molti per nulla ostili al Risorgimento) sottolinearono sin dai primi anni dopo l’unità. Rispetto al loro giudizio, Di Fiore aggiunge un’attenzione particolare per le ragioni dei vinti, gli italiani rimasti fedeli agli Stati preunitari, che videro crollare il loro mondo davanti al corso inesorabile della storia» (Antonio Carioti, “Corriere della Sera” 29/11/2007).