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 2008  febbraio 16 Sabato calendario

E’ una strega decapitatela. La Stampa 16 febbraio 2008. Dopo molte battaglie legali, che la vedevano accusata di aver partorito una bambina fuori dal matrimonio e per questo motivo condannata alla lapidazione da un tribunale islamico, Safiya Hussaini, 30 anni è stata assolta

E’ una strega decapitatela. La Stampa 16 febbraio 2008. Dopo molte battaglie legali, che la vedevano accusata di aver partorito una bambina fuori dal matrimonio e per questo motivo condannata alla lapidazione da un tribunale islamico, Safiya Hussaini, 30 anni è stata assolta. La vicenda la vede protagonista nel 2001, quando i giudici avevano emesso la sentenza. Ma un anno più tardi, grazie ai movimenti dei diritti umani internazionali e nigeriani, la donna è stata liberata. L’Arabia Saudita è di nuovo nell’occhio del ciclone per un altro caso di violazione dei diritti umani. Fawaza Falih, una donna analfabeta, condannata a morte due anni fa per stregoneria, rischia di essere decapitata. La sentenza potrebbe essere eseguita da un momento all’altro e l’organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch, con sede a New York, si è appellata a re Abdullah affinché sospenda l’esecuzione del verdetto definito «assurdo e privo di fondamenti giuridici». La donna, residente in un piccolo paese nel Nord del regno, era stata arrestata nel 2005 con l’accusa di esercitare la stregoneria. Alcune persone l’avevano denunciata dicendo che aveva attirato influssi malefici su di loro. Un uomo aveva addirittura affermato di essere stato stregato fino a diventare impotente. Una donna le ha attribuito invece la responsabilità del suo divorzio. Davanti ai giudici l’imputata aveva negato tutto. Allora la polizia religiosa - ufficialmente denominata «Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio», ma sinistramente nota fra i sauditi col nome di «mutaween» - si era incaricata di estorcere una confessione alla presunta strega. Per trentacinque giorni la donna era stata picchiata senza compassione, tanto che a un certo punto era stata ricoverata all’ospedale. Ma prima aveva dovuto mettere l’impronta del pollice, essendo analfabeta, su un verbale di confessione preparato dalla polizia in cui essa ammetteva di esercitare la magia nera, di uccidere animali per preparare le sue fatture e persino di comunicare con i Jenn (i demoni). Ma in questo modo la poveretta aveva firmato la sua condanna a morte, dal momento che in quel regno medioevale che è l’Arabia Saudita, dove manca un codice penale scritto, esercitare la stregoneria va punito con la decapitazione. Durante l’udienza al processo in primo grado, nell’aprile del 2006, l’imputata ritrattò tutto, raccontando di aver subito violenza, ma il giudice emise ugualmente la sentenza alla pena capitale. Non aveva voluto sentire altri testimoni a sua discolpa e non acconsentì al suo avvocato di difenderla. Andò un po’ meglio nel processo di appello svolto poco dopo. I giudici avevano infatti annullato il verdetto tenendo conto che aveva ritrattato. L’odissea di Fawaza però non era finita. Un altro tribunale, infatti, poco dopo ribaltò questa sentenza per motivi «di interesse pubblico», condannandola di nuovo alla pena capitale. L’associazione Human Rights Watch ha contestato il fatto che alla donna non è stato garantito un processo equo. La sentenza, contrariamente alle procedure in vigore nel resto del mondo per processi davanti alla Corte d’Assise, era stato emessa di un giudice monocratico. E per di più l’imputata era stata condannata per un reato non dimostrabile, appunto la stregoneria. Ora si attende un atto di clemenza da parte di re Abdullah per salvare Fawaza dalla scimitarra del boia. Il sovrano è costretto spesso a intervenire per correggere gli eccessi di zelo (o di crudeltà) dei giudici del suo regno. Il mondo si ricorda ancora il caso della ragazza condannata a 200 scudisciate solo per il fatto aver essersi intrattenuta con un uomo estraneo, in macchina, senza tenere conto del fatto che lei fosse stata rapita e violentata da cinque uomini. Pena poi condonata dal re. Non è andata così per un farmacista egiziano, un certo Mustafa Ibrahim, decapitato il 2 novembre scorso a Ar’ar nel Nord, per esercizio della magia.Kobra Najjar, iraniana di 44 anni, condannata dieci anni fa a otto anni di carcere e poi alla lapidazione per aver commesso adulterio. Dopo essersi sposata, fu costretta a prostituirsi dal marito per procurargli la droga. Sarà proprio un suo cliente ad uccidere lo sposo, ma lei venne accusata di essere complice del delitto nonché adultera. Sarà difficile che possa salvarsi. IBRAHIM REFAT