La Stampa 16 febbraio 2008, GIUSEPPE ZACCARIA, 16 febbraio 2008
Pristina prepara la festa. La Stampa 16 febbraio 2008. La torta è pronta, anche se nessuno ancora è in grado di indovinarne i sapori
Pristina prepara la festa. La Stampa 16 febbraio 2008. La torta è pronta, anche se nessuno ancora è in grado di indovinarne i sapori. Peserà quasi una tonnellata e nella piazza di Pristina in cui sfocia la via di Madre Teresa dovrebbe dare da mangiare a quasi trenta mila persone accorse a festeggiare. L’ha preparata il pasticciere più rinomato della città che si chiama Uki Ramadami e annuncia: «Avrà sei gusti, uno dei quali è quello dell’indipendenza». Sul tetto dell’albergo «Victory», che ha la televisione collegata alla Cnn e i bidè dai bordini dorati, operai armati di scopettone stanno ripulendo la copia in gesso e polistirolo della statua della Libertà. In un grande cartello scritto in lingua inglese un altro albergo annuncia: «Un benvenuto a tutti i cittadini dei Paesi che riconosceranno il Kosovo», ai buoni si farà uno sconto del venti per cento mentre eventuali visitatori spagnoli, ciprioti, greci, bulgari, slovacchi o rumeni non troverebbero posto. Cominciano ad apparire manifesti che dicono «urime pavaresia», ovvero benvenuta indipendenza, e sul torrente di automobili che è il flusso sanguigno del Kosovo i ragazzi piantano rosse bandiere albanesi, in mancanza del vessillo nazionale, che sarà reso noto quanto prima. Tutto è pronto per la festa che questa piccola e disastrata regione si appresta a vivere come cardine della sua storia, mentre per una buona metà del mondo è la profezia di sconvolgimenti futuri. A Pristina la prima indipendenza autoproclamata degli ultimi anni si prepara con una festa senza eguali destinata a partire sulle note dell’«Inno alla Gioia», a proseguire con un incredibile spettacolo di fuochi artificiali e a concludersi con la più fitta sparatoria verso i cielo che la Terra dei Merli abbia mai visto, anche perché qui per secoli le sparatorie più che altro sono state orizzontali. «Saremo grandi e felici, potremmo uscire dal nostro Paese come liberi cittadini e fare visita ai nostri amici americani», racconta euforico i suoi progetti Mohamed Gaxherri, padrone della pizzeria «Toni», che vorrebbe sfornare una pizza-Indipendenza, ma non ha ancora deciso quale ricetta utilizzare. L’uomo è sulla sessantina e deve averne viste tante, ma adesso pare convinto del fatto che in quest’angolo dimenticato dell’Europa stia per aprirsi la più grande corsa all’oro che mente schipetara abbia mai concepito. «Abbiamo la base militare americana - continua Mohamed - abbiamo grandi finanzieri, abbiamo aiuti dall’estero, avremo i soldati dell’Europa che ci proteggono, abbiamo l’ingegno tipico degli esclusi e la bellezza delle nostre ragazze... siamo una nazione europea, alhamdulillah», e il fatto che l’invocazione costituisca un «Grazie a Dio» in versione maomettana nulla toglie al suo sentirsi cittadino dell’Europa. Uno sguardo spassionato a una capitale imminente che galleggia sul fango, alla disoccupazione della sua gente, all’incrociarsi fra traffici di droga e la tratta di essere umani potrebbe cancellare qualche illusione, se in queste ore da Pristina a Washington, da Roma a Londra, da Parigi a Berlino, la crudezza della realtà non sembrasse ricoprire di grandi occhiali rosa che tentano di rendere gradevoli perfino le pacchianate dei caffè-bar sbocciati dal nulla in attesa del grande evento. Nadira Sejiu è una ragazza dall’aria perbene. Però oggi, anche se scortata opportunatamente da un’amica, è comparsa nelle vie centrali di Pristina a passeggio con un pantalone attillato che in Kosovo è merce rara, e tutto sommato le strombazzate che partono dalle automobili stipate in fila devono sembrarle complimenti. «Domenica saremo un Paese nuovo, forse gli uomini di questo posto si accorgeranno che deve esserci spazio anche per noi donne...», sospira. Nel vecchio continente (ad affermarlo per iscritto è stata la Commissione europea) questa è la regione in cui la condizione femminile è più disastrata, però oggi non c’è spazio per recriminazioni: forza, saremo liberi. Un portavoce del primo ministro kosovaro Hashim Thaci ha mormorato che la seduta dell’organismo di autogoverno e la dichiarazione di indipendenza avranno luogo domani, 17 febbraio, al calar del sole. Thaci non l’ha confermato poiché pare che per ragioni di sicurezza l’evento debba essere annunciato solo con 24 ore di anticipo. Però tutto è già in movimento e ormai fermare l’attesa di questa gente sarebbe impossibile. Alle 15 di domenica il parlamento verrà convocato in seduta straordinaria, e verso le 17 sarà già tutto finito, sostiene il programma non ufficiale che però tutti a Pristina hanno già imparato a memoria. Cosa succederà? Dicono che i componenti serbi della polizia kosovara potrebbero dimettersi in blocco, dicono che la minoranza ortodossa di Mitrovica potrebbe organizzare un controreferendum per proclamare la fedeltà a Belgrado e chiedere l’annessione alla Serbia, sostengono che i serbi di Bosnia siano tentati di fare altrettanto, e così via. Nonostante la desolazione dei luoghi, trovarsi qui dà la sensazione di sentirsi testimone di un pezzo di storia, del momento in cui i Balcani imboccano un nuovo piano inclinato che potrebbe condurre alla felicità come al disastro. «Grazie italiano», grida da un’auto che sta passando un esagitato che deve averci individuati dal tono della cravatta. Grazie a te, giovanotto entusiasta. E grandissimi auguri a tutti. Giuseppe Zaccaria