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 2008  febbraio 14 Giovedì calendario

Di chi è questo Chagall? La Stampa 14 febbraio 2008. C’è un paesaggio innevato al tramonto di Claude Monet, un conturbante ritratto d’adolescente dipinto da Eugène Delacroix subito dopo «La libertà guida il popolo», la visione dall’alto d’una città che Egon Schiele vuole consumata dall’interno come le sue famose fanciulle svestite

Di chi è questo Chagall? La Stampa 14 febbraio 2008. C’è un paesaggio innevato al tramonto di Claude Monet, un conturbante ritratto d’adolescente dipinto da Eugène Delacroix subito dopo «La libertà guida il popolo», la visione dall’alto d’una città che Egon Schiele vuole consumata dall’interno come le sue famose fanciulle svestite. E poi ancora Jean-Auguste-Dominique Ingres, Manet, Seurat, Maurice Utrillo, 53 dipinti sottratti dall’esercito nazista nei salotti di facoltosi ebrei francesi durante la seconda guerra mondiale ed esposti ora per la prima volta. Il 19 febbraio l’Israel Museum di Gerusalemme inaugura la mostra intitolata «Looking for Owners», proprietari cercasi, un’esposizione dichiaratamente «orfana» come la storia di molte delle opere trafugate all’epoca e mai più pretese indietro (la mostra resterà aperta fino al 3 giugno 2008, i reclami degli eredi sine data). Tra l’inizio degli anni 40 e il 1944 centomila oggetti d’arte appartenenti a collezioni private lasciarono la Francia per la Germania, bottino prezioso di quella pulizia etnica totale programmata dai gerarchi hitleriani senza eccezioni culturali. Dopo la guerra i Wiesenthal della pittura riuscirono a recuperare 60 mila pezzi, 2 mila dei quali ancora senza padrone, catalogati e custoditi nelle cassaforti del Musées Nationaux Récupération (MNR), una sezione del French National Museums, l’associazione nazionale dei musei francesi. Nel 1997 l’allora primo ministro Alain Juppé istituì uno speciale comitato, la Mattéoli Commission, incaricato di continuare il processo di ricerca e restituzione, un viaggio spesso di sola andata nell’anagrafe dello sterminio. «Questa mostra vuole contribuire a un capitolo aperto della storia di quel periodo, l’Olocausto è un patrimonio condiviso ma in cui rimangono molte pagine bianche», spiega James Snyder, direttore dell’Israel Museum. Nel 1938 il Fhürer, ormai pronto allo scontro mondiale, espresse il desiderio di trasformare la sua città natale, Linz, nella capitale artistica del Terzo Reich, un’operazione che avrebbe richiesto il saccheggio sistematico di mezza Europa e una logistica assai più sofisticata di quella utilizzata dagli Arsenio Lupin che un paio di giorni fa hanno ripulito la E.G. Buhrle Collection di Zurigo. Per questo, una fedelissima squadra di esperti compilò segretamente l’elenco dei pittori e degli scultori ariani esposti all’estero, alter ego sinistro della lista di artisti degenerati come Otto Dix, Paul Klee, Wassily Kandinsky, tedeschi di passaporto ma non di sangue. Secondo la propaganda di Goebbels, in meno di dieci anni tutti i capolavori «germanici», sottratti manu militari ai legittimi proprietari, sarebbero tornati a casa per celebrare «l’epopea della razza superiore». La storia ci racconta sui libri come finì la corsa, l’arte sta cominciando a raccontarcela per immagini. Perché non ci sono solo le 53 tele di «Looking for Owners», scorcio di un patrimonio da centinaia di milioni di dollari. Accanto alla sezione principale della mostra, l’Israel Museum propone anche una parte della propria collezione di ricordi, «Orphaned Art: Looted art from Holocaust in the Israel Museum», 1200 oggetti vari, riproduzioni di settecentesche vedute italiane, disegni di bambini, libri scolastici e tomi storici, povere cose d’uso quotidiano di semplice valore antropologico come una scatolina in latta di pastiglie per il mal di testa e tele originali di Marc Chagall, Alfred Sisley, André Derain, schizzi a penna firmati Moritz Daniel Oppenheim e una saliera d’argento uscita direttamente dalla vetrina d’un salotto aristocratico della Norimberga del 1626. Una specie di mega album di famiglia pieno di buchi neri che è al tempo stesso un work-in-progress: ogni articolo è catalogato online (www.imj.org.il/Imagine/irso/index.asp) in modo che, prima o poi, l’anziano proprietario, i suoi nipoti o gli eredi lontani possano riconoscerlo e domandarlo indietro. «Abbiamo selezionato le cinquanta opere migliori da esporre, ci abbiamo lavorato più di quattro anni», dice il curatore della sezione gerosolimitana Shlomit Steinberg. «Molti oggetti sono arrivati in Israele in condizioni miserevoli, ripescati da robivecchi in depositi abbandonati da decenni». Al termine della guerra migliaia di opere d’arte ebraica vennero ritrovate nelle cantine dei palazzi del Reich, da Berlino a Monaco, accatastate insieme a servizi di piatti di porcellana, candelabri d’argento a sette braccia, mobili antichi divorati dalle tarme, e consegnate alla Jewish Restitution Successor Organization (JRSO), responsabile della successione, onori e oneri. All’inizio degli anni 50 i pezzi «orfan» passarono alla direzione del Bezalel National Museum di Gerusalemme che nel 1965 sarebbe diventato l’Israel Museum, il tempio della memoria non meno dello Yad Vashem. Francesca Paci