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 2008  febbraio 14 Giovedì calendario

E’ l’ora di applicare il metodo. La Stampa 14 febbraio 2008. Che in Afghanistan le cose non funzionino, è evidente

E’ l’ora di applicare il metodo. La Stampa 14 febbraio 2008. Che in Afghanistan le cose non funzionino, è evidente. Non tanto sul campo, quanto nei rapporti tra contingenti. «Il coordinamento è inadeguato», è la formula a cui Arturo Parisi si è rifatto anche ieri. Intende dire che ci sono troppi soldati americani che combattono in Afghanistan al di fuori della missione Nato e che spesso i loro metodi cruenti spezzano il «dialogo» con la popolazione civile. Quel tipo di «dialogo» che proprio uomini come il maresciallo Pezzulo costruisce sul campo, portando aiuti a villaggi dove si muore ancora di fame e di freddo, rischiando la vita in prima persona, intrecciando relazioni con i notabili locali. «Un lavoro fecondo che ai taleban fa paura - spiega il sottosegretario agli Esteri Gianni Vernetti - e per questo, per cercare di mettere un cuneo tra noi e la popolazione, ricorrono al terrorismo». Gli americani stessi hanno annunciato ai nostri ufficiali di voler importare la «dottrina Petraeus» in Afghanistan dopo la buona prova in Iraq: meno bombardamenti dal cielo, più ricostruzione e più pattugliamenti. «L’esperimento Petraeus - spiega un alto ufficiale italiano che conosce bene le dinamiche afghane - vuole molte piccole basi disseminate nel territorio e un buon rapporto con i locali». Altrimenti non si vince. Ma i due approcci - quello europeo e quello americano - finora sono stati divergenti. E questo ha creato forti frizioni tra i governi. Non è un caso se qualche giorno fa, durante un incontro tra ministri della Difesa, c’è stato un ennesimo faccia a faccia tra Parisi e il suo collega americano. Robert Gates insisteva per un maggior impegno italiano. Parisi ha reagito lamentando che le sue critiche non sono solo italiane, ma condivise da diversi alleati. Il che comunque non significa mettere in discussione il «se», ma eventualmente il «come» stare dei soldati italiani in Afghanistan. Già, come? Forza Italia, attraverso Dario Rivolta, responsabile Esteri, chiede ai governi europei di incrementare l’impegno militare. Giuseppe Pisanu a sua volta invita a «riflettere sulle condizioni operative dei nostri militari». Si lascia intendere che un futuro governo di centrodestra concederà a Washington ciò che Prodi ha negato. Il premier, dopo avere espresso il cordoglio ai familiari del militare ucciso, ha sottotolineato come lo stesso «era impegnato in una delle missioni caratteristiche che si fanno in Afghanistan per porre sotto controllo la ricostruzione della società civile. E’ stato colpito non in una battaglia, ma proditoriamente». La sinistra radicale da parte sua si prepara a rompere definitivamente con il Pd proprio sull’Afghanistan. Due giorni fa, nel chiuso di una commissione, gli ex alleati («E sono ancora al governo fino a prova contraria», fa filtrare un amareggiato Parisi) hanno votato contro il decreto di rifinanziamento delle missioni. Era presente il sottosegretario Lorenzo Forcieri, ex diessino: «Ho visto prevalere le posizioni più estremistiche. Mi dispiace, quando ci si divide su temi così di fondo, ma almeno si capirà perché si è deciso di non riproporre più quell’alleanza». Martedì prossimo, però, la rottura sarà plateale. Alla Camera, il Pd voterà assieme a Forza Italia e Alleanza nazionale per il «sì» al decreto e la Sinistra Arcobaleno voterà per il «no». Nascerà una nuova maggioranza trasversale. E Parisi forse teme proprio questo, che la frattura dentro la sinistra finisca per diventare centrale nella campagna elettorale. Le posizioni si sono già irrigidite. Da una parte la sinistra radicale a chiedere un ritiro immediato. Dall’altra, un secchissimo Veltroni: «Il nostro soldato era impegnato in attività di sostegno sanitario alla popolazione». In tasca, il ministro ha un diagramma per illustrare la bontà di quanto i militari stanno facendo in Afghanistan. «Oggi il 76% dei bambini sotto i cinque anni gode della vaccinazione; erano l’8% nel 2001. Senza i nostri militari, questa crescita civile sarebbe stata impossibile». Francesco Grignetti