La Stampa 15 febbraio 2008, Teodoro Chiarelli, 15 febbraio 2008
La casta dei camalli. La Stampa 15 febbraio 2008. 1. Paride Batini, leader dei camalli. 2. In porto oggi operano con le ultime tecnologie, lo spirito è sempre quello battagliero degli antenati
La casta dei camalli. La Stampa 15 febbraio 2008. 1. Paride Batini, leader dei camalli. 2. In porto oggi operano con le ultime tecnologie, lo spirito è sempre quello battagliero degli antenati. 3. I portuali cento anni fa si ribellarono ai Savoia. 4. Nel 1960 affrontarono la polizia in piazza.Un volantino. bastato un semplice volantino distribuito dai portuali per le vie di Genova e sulle banchine dello scalo a bloccare il trasferimento di una piccola compagnia, la Grendi - collegamenti con la Sardegna - nell’area della Tirrenia. Un piccolo episodio nella pluridecennale tormentata, contorta e oscura trama del porto, ma comunque una cartina di tornasole del potere di interdizione che i camalli hanno nelle vicende genovesi. La società pubblica dei traghetti utilizza sostanzialmente in esclusiva i camalli della Compagnia Unica (Culmv): un qualsiasi concorrente per loro rappresentava un danno. Di qui la mobilitazione e, in nome della pace sociale, l’esclusione della Grendi. A raccontare l’episodio ai magistrati è stato l’armatore Bruno Musso, titolare della società estromessa e promotore di quel ricorso al Tar contro la spartizione dell’ormai famoso terminal multipurpose che ha portato all’inchiesta della procura e all’arresto dell’ex presidente dell’Autorità portuale, Giovanni Novi. Il terremoto che sta travolgendo quel «sistema Genova» accusato di aver corrotto e inquinato per anni la vita economica e politica della città. Le sommosse Potere d’interdizione, ma non solo. I camalli rappresentano da sempre a Genova un contropotere con il quale tutti hanno dovuto fare i conti. Sin dal 1340, anno in cui si fa risalire la nascia della storica Compagnia dei Caravana. Già allora erano potentissimi e provarono a ingabbiarli. Per esempio (siamo nel 1576) emanando un editto (rimasto in vigore sino al 1848) che riservava la possibilità d’ingresso solo ai bergamaschi: gente di spalle buone e senza grilli per la testa. L’appartenenza alla Compagnia avveniva per successione, a condizione che i figli nascessero nelle zone di origine dei padri. Naturalmente la legge fu aggirata, un po’ come è avvenuto in tempi più recenti: le donne poco prima di partorire si trasferivano a Bergamo e, oplà, il gioco era fatto. Hanno provato a piegarli, i camalli, anche i sovrani sabaudi. Ma nel 1900 bastò una sommossa partita dopo una riunione in un’osteria di piazza Alimonda (sì, quella di Carlo Giuliani e del G8) per far cadere un governo. Un po’ come avvenne il 30 giugno 1960 quando i portuali insorsero contro il governo Tambroni reo di aver autorizzato il congresso dell’Msi a Genova. In piazza De Ferrari mandarono la Celere: finì con le camionette incendiate e i poliziotti gettati nella fontana. C’erano portuali attempati e nerboruti, ex partigiani e, soprattutto tanti ragazzi con la maglietta a righe bianche e blu. Fra loro un ventiseienne, scattante, boxeur dilettante e un profilo alla Marlon Brando di «Fronte del porto»: Paride Batini. lì, sul campo, che il futuro mitico console e poi presidente dei portuali (rieletto ininterrottamente per dieci volte e ancora oggi, a 73 anni, in carica) si guadagnerà le prime benemerenze. Il trans? Bene, purché lavori Comunista duro e puro, sempre in prima linea quando si tratta di difendere i diritti dei «suoi» camalli, e sempre in prima linea quando si tratta di lavorare. Lui non è nato dirigente, non si è iscritto fin da piccolo a qualche comitato centrale. No, lui se serve lo trovi in banchina, a dirigere le operazioni di carico e scarico di una nave o a guidare un carrello. Lui che non si sa bene come abbia potuto passare l’esame di guida e che costituiva lo spauracchio degli altri compagni-dirigenti quando si metteva al volante della scassatissima auto di rappresentanza della Culmv e diceva «Annemu» (andiamo). Nel bene e nel male, il simbolo di una categoria (una casta?) che si considera ed è considerata «aristocrazia operaia». Quei camalli che «facevano paura ai padroni». Perché loro, i portuali, sotto padrone non hanno mai lavorato. Compagnia unica voleva dire anche autogoverno, democrazia interna e autogestione del lavoro. E poi solidarietà diffusa. Sostegno ai movimenti di liberazione di mezzo mondo. Iniziative umanitarie come la nave per il popolo vietnamita. E tolleranza. Perché, si sa, i tempi cambiano e non c’è più solo il portuale bello e fusto come Bartolomeo Pagano, il Maciste divo del cinema muto. Qualche tempo fa si è palesato anche il primo transessuale, Valentina già Marco. Dicono che Batini, informato, non ha fatto una piega: «Nan, se ti veu cangià no gh’è problema: ma ti devi travaggià» (Ragazzo, se ti vuoi cambiare, non c’è problema: ma devi lavorare). Pragmatismo camallo. Che poi questo si concretizzasse anche nell’imposizione di regole e costi a carico delle merci che venivano scaricate e caricate in porto, poco importava. Erano i tempi del famigerato «tanto da qui devono passare». Quando poi le moderne regole dell’economia globalizzata cambiano le carte in tavola e si scopre che le merci possono passare anche da un’altra parte, anche la figura del camallo inizia a perdere la sua aura mitologica. La «marcia» Anche Genova avrà la sua marcia dei 40 mila in sedicesimo, a fine Anni ”80. Tutte le categorie in piazza per sconfiggere il monopolio del lavoro in banchina dei camalli. Ma Roberto D’Alessandro, l’allora presidente del porto con i suoi Libri blu di riforma, non era Cesare Romiti. E soprattutto Genova era (ed è) Genova: con i suoi compromessi, i suoi accordi sottobanco, le sue alleanze trasversali. Consulente di Batini (vetero comunista, forse, ma fesso no di certo) in quegli anni era Stefano Zara: sarebbe poi diventato presidente degli industriali genovesi e parlamentare dell’Ulivo. E così la politica. Appoggio al Pci purché fosse garantito il monopolio sulle calate. Ma pronti a lanciare segnali di simpatia verso la sinistra radicale con la svolta moderata dei Ds. Tanto che nella sala Chiamata, ormai diventata sala di ritrovo, troneggia sempre il busto di Lenin e nelle elezioni dei delegati ottengono risultati più che lusinghieri quelli di Lotta Comunista, gli ultimi leninisti d’Italia, che se non costituissero un problema reale sarebbero da tutelare come i panda. Il paradosso, ma neppure tanto, è che, in nome della difesa degli ultimi mille camalli, Batini ha finito per sedersi al tavolo della spartizione insieme con i padroni. Alla faccia del porto. Il primo statuto I Caravana si organizzarono a Genova con uno statuto di 21 articoli l’11 giugno 1340. I privilegi: il diritto di sepoltura nella chiesa del Carmine e un patto d’assistenza fra soci. I doveri: l’obbligo di partecipare alle messe, il divieto di bestemmiare e di prendere parte a risse. Il 30 giugno 1576 i Caravana entrano a far parte del sistema delle corporazioni genovesi. Da allora e sino al 1848 per entrare in Compagnia bisognava essere bergamaschi di nascita. Il dopoguerra Dal 1946 si formano 7 categorie (Canzio, S. Giorgio, Pesatori, Cassai, Imballatori, Commessi di bordo e Portabagagli). Dal 1974 parte la divisione in soci, avventizi, occasionali ed esterni. Teodoro Chiarelli