La Repubblica 16 febbraio 2008, Federico Rampini, 16 febbraio 2008
Fuga alla rovescia dei capitali da Hong Kong alla Cina comunista. La Repubblica 16 febbraio 2008. Sammy Chan, un piccolo imprenditore che produce orologi made in China nella regione del Guangdong, sa come muoversi per mettere i suoi capitali al sicuro
Fuga alla rovescia dei capitali da Hong Kong alla Cina comunista. La Repubblica 16 febbraio 2008. Sammy Chan, un piccolo imprenditore che produce orologi made in China nella regione del Guangdong, sa come muoversi per mettere i suoi capitali al sicuro. Attraversa la frontiera con una valigia piena di banconote, entra in una filiale bancaria e il gioco è fatto. «Aprire un deposito è la cosa più facile del mondo - dice Chan - perché non ti chiedono neppure un documento. Come prova d´identità basta il biglietto di viaggio dov´è scritto il tuo nome. Ti fanno riempire un formulario con nome, cognome e indirizzo, e il gioco è fatto. Depositi quanto vuoi, non ci sono tetti massimi per un singolo versamento». La novità nel caso di Sammy Chan sta nella direzione dei suoi viaggi da esportatore di capitali. Lui è un cittadino di Hong Kong, paradiso fiscale e piazza finanziaria offshore. Quando attraversa la frontiera con la valigia piena di cash è per lasciarsi Hong Kong alle spalle ed entrare sul continente, nella madrepatria cinese. Sono le banche della Repubblica popolare che accolgono a braccia aperte Chan e molti suoi concittadini, senza fare domande indiscrete. La regione meridionale del Guangdong con le metropoli industriali di Guangzhou (ex Canton) e Shenzhen, è sempre stata la frontiera più "porosa" della Repubblica popolare, per la sua vicinanza con l´isola di Hong Kong. Ai tempi di Mao Zedong, e poi di nuovo all´epoca del massacro di Piazza Tienanmen nel 1989, i dissidenti più fortunati trovavano scampo attraversando il delta del fiume delle Perle, per rifugiarsi in quella che allora era una colonia britannica. Dopo le riforme economiche varate da Deng Xiaoping nel 1979, per molto tempo i neocapitalisti cinesi hanno preferito mettere al sicuro i loro patrimoni nelle banche di Hong Kong: non erano sicuri che la conversione del regime comunista all´economia di mercato fosse irreversibile, nel dubbio era meglio cautelarsi. Ancora oggi le banche dell´isola custodiscono molte ricchezze segrete, al riparo dagli sguardi degli ispettori fiscali di Pechino. Ma negli ultimi mesi la fuga di capitali verso Hong Kong è stata più che compensata da un potente movimento nel senso opposto. Cheung Yu Tong, direttore del marketing alla banca Dbs, conferma questa inedita fuga di capitali al contrario: «Sono sempre più numerosi i nostri clienti che operano grossi prelievi di contante per andarli a versare sul continente, nelle banche di Guangzhou e Shenzhen». Il viaggio dura poche ore di treno o di auto e molti cittadini di Hong Kong ormai lo fanno come Sammy Chan: con la valigia piena di banconote. E´ il mondo alla rovescia, un noto paradiso fiscale esporta capitali verso il più grande Stato comunista del mondo. E non c´è nessun mistero. Il più autorevole quotidiano di Hong Kong, The South China Morning Post, appena finite le vacanze del Capodanno lunare ha inaugurato l´Anno del Topo con una grande inchiesta intitolata: "Lo yuan, una scommessa sicura". Nella rubrica dei consigli finanziari ai lettori, l´esperto Paul Pong del Pegasus Fund avverte: «Ricordate, la Cina ha più di 1.500 miliardi di dollari di riserve valutarie e la moneta americana continua a svalutarsi rispetto allo yuan». Lo yuan o renminbi è la valuta della Repubblica popolare. Hong Kong pur essendo tornata ad appartenere alla Cina dal 1997, fra gli attributi di Regione autonoma ha conservato una moneta distinta (il dollaro di Hong Kong), la sua banca centrale, la sua politica monetaria. Queste prerogative sono importanti perché la Borsa di Hong Kong conservi la sua credibilità come piazza finanziaria, immune da interferenze politiche del regime di Pechino. Hong Kong ha agganciato la sua moneta al dollaro degli Stati Uniti, e quindi ha perso quota esattamente come il biglietto verde. Lo yuan cinese, che pure era stato agganciato al dollaro Usa, dal luglio del 2005 ha cominciato a fluttuare "quasi" liberamente. All´inizio i suoi movimenti erano impercettibili. Poi, via via che precipitava il dollaro, la moneta di Pechino si è rafforzata in modo più sensibile. Un anno fa ha superato una soglia simbolica: per la prima volta nella sua storia alla fine di gennaio del 2007 uno yuan valeva più di un dollaro di Hong Kong. La moneta comunista, con il ritratto di Mao stampato su ogni banconota, sorpassava la sua concorrente dell´isola. Anche nei tassi d´interesse si è creata una forbice a vantaggio del continente. La banca centrale di Hong Kong ha dovuto scimmiottare la Federal Reserve e abbassare il costo del denaro. Oggi i conti bancari sull´isola offrono addirittura un rendimento negativo se lo si depura dall´inflazione. La banca centrale di Pechino ha il problema opposto: il suo nemico numero uno è il carovita, e negli ultimi tre anni ha deciso una raffica di aumenti dei tassi per combattere l´inflazione. Risultato, un libretto di risparmio vincolato a un anno alla Industrial & Commercial Bank of China, filiale di Guangzhou, rende il 4,14% cioè il doppio che a Hong Kong. Il South China Morning Post non ha dubbi su quale sia la scommessa giusta: «Entro il 2008 lo yuan salirà ancora tra l´8% e il 10%, e gli investitori di Hong Kong hanno molti canali per scommettere su questo rialzo». La fuga di capitali verso la Repubblica popolare è rafforzata dal calendario politico. Le elezioni presidenziali americane accentuano i rischi del protezionismo contro il made in China. Pechino sa che il modo migliore per allentare la pressione è consentire che lo yuan si rivaluti in misura più sostanziosa, proprio come lo chiedono gli americani. E´ anche la ricetta giusta per calmierare il costo della vita nella Repubblica popolare, rendendo meno care le importazioni. Appassionati speculatori, i cittadini di Hong Kong non si lasciano scappare l´occasione di arricchirsi con la faccia di Mao. Federico Rampini