La Repubblica 16 febbraio 2008, FILIPPO CECCARELLI, 16 febbraio 2008
Scudo crociato, simbolo fantasma fra tribunali, faide e impostori. La Repubblica 16 febbraio 2008. Oh, quanto nobile ed elevata la contesa sull´uso elettorale dello scudo crociato! Gioco al massacro della memoria e groviglio d´imposture, tesoro di parassiti, tormento di legulei, delizia del Tar del Lazio, rendita immiserita del marketing dello zero virgola per cento - e forse nemmeno di quello
Scudo crociato, simbolo fantasma fra tribunali, faide e impostori. La Repubblica 16 febbraio 2008. Oh, quanto nobile ed elevata la contesa sull´uso elettorale dello scudo crociato! Gioco al massacro della memoria e groviglio d´imposture, tesoro di parassiti, tormento di legulei, delizia del Tar del Lazio, rendita immiserita del marketing dello zero virgola per cento - e forse nemmeno di quello. Così l´onorevole Casini, lui com´è ovvio dice in nome della tradizione ideale, cerca di mettersi al riparo dietro quel simbolo effettivamente illustre, inaugurato sulla scheda da don Luigi Sturzo nel 1919, corazza e «Libertas» scelti come «la gloria dei nostri antichi comuni». Mentre Berlusconi sembra ancora incerto se darsi da fare per togliere quell´emblema dal mercato, o magari giocarselo lui come sottomarca del Pdl in qualche listarella collegata. No-logo Dc, vatti a fidare della potenza simbolica in esaurimento: irriconoscibile pare in effetti la stemma stilizzatissimo e leggermente inclinato dell´Udc da quello tradizionale di un partito che però non c´è più da quindici anni. Ma sotto elezioni i consulenti si attaccano a tutto, i grafici fanno miracoli e i raggruppamenti personali, le tribù di questo tempo senza ideali approvano qualsiasi trasformazione, qualsiasi astuto o bizzarro restyling. E di solito poi ci ripensano. Non trova pace, frattanto, o magari fin troppa ne scorge attorno a sé l´arguto leader irpino di una certa Dc che misteriosamente si qualifica «per le autonomie»: Gianfranco Rotondi, che dal 1995, in qualità di tesoriere di un´entità che aveva nome Cdu, ormai si è specializzato in diatribe allegoriche e para-condominiali. Diverse volte il destino gli ha messo in mano lo scudo crociato, ma poi diversi tribunali glielo hanno tolto e altrettanti glielo hanno ridato. Ma non solo per lui l´andirivieni si è fatto seriale. All´ombra di quelle fatidiche geometrie seguita a consumarsi la celebrità di un signore che si chiama Pino Pizza e che rare foto illustrano alla scrivania, con la cornetta del telefono all´orecchio, immagine molto anni sessanta. Questo Pizza, leader di un´ennesima piccola Dc che a corrente alternata possiede o rivendica la titolarità del simbolo, fu l´indimenticabile Delegato nazionale del Movimento giovanile democristiano alla metà degli anni settanta, corrente gullottiana. Era fin da allora un tipo piuttosto sveglio e allegro, secondo alcuni organizzò e fece svolgere un congresso provinciale in una Mercedes, secondo altri per celebrare la vittoria di Pizza e far baldoria i suoi fans allagarono il piano di un albergo. Per la storia, comunque, sia pure nelle sue espressioni meno ragguardevoli, un giorno Fanfani non ci vide più, sbarrò l´ingresso del Movimento giovanile a via Arenula (guarda caso: l´attuale Palazzo Mastella), passò con l´automobile sulle bandiere che i ribelli gli avevano messo davanti e fra alti e ingiustificati lamenti spedì tutti a casa. Trent´anni dopo Pizza ha scoperto che la Dc non era mai stata ufficialmente sciolta né liquidata e subito ha messo in azione certi suoi impetuosi legali. Questi facevano saltare le basi del lodo del 1995 secondo cui il simbolo andava al Cdu del professor Buttiglione, mentre l´appellativo "popolari" restava al partito allora guidato da Gerardo Bianco. Il guaio - se di guaio si tratta - è che a quel tempo Pizza divideva il suo micro-potere con un signore dal nome Sandri, con il quale ha poi veementemente litigato. Ne è nata un´ennesima Dc, che anch´essa ovviamente si ritiene depositaria dello scudo crociato. Nel frattempo le sentenze della giustizia civile, peraltro mai definitive, assegnavano e annullavano ora all´una ora all´altra, ora al Cdu e ora a Rotondi, i diritti di proprietà secondo un ritmo al tempo stesso beffardo e crudele. Negli ultimi due anni Pizza è felicemente riuscito a incantare Prodi e soprattutto il suo consigliere Rovati, che per ben due volte ha condotto il presidente del Consiglio a intervenire al suo congresso, sotto un grande scudo crociato. Ma poi, per dei motivi che la più legittima disattenzione dei media rende imperscrutabili, Pizza deve aver cambiato idea e si è messo con il centrodestra. Sembra che di recente abbia anche fatto pace con Rotondi. Però è entrato in guerra legale con l´Udc. Così come Buttiglione, a suo tempo, vi entrò contro l´anziano Flaminio Piccoli, che qualche ragione di utilizzare quell´emblema l´avrebbe pure avuta. Il racconto della bega può andare avanti sino allo sfinimento, o alla perversione. Con il che forse vale tornare a chiedersi: che cos´è un simbolo? Senza farla troppo lunga - e davvero si potrebbe - un simbolo è qualcosa che sta per qualche cos´altro. E´ un oggetto, un gesto, un segno che rappresenta il non altrimenti pensabile, è un lampo che mobilita le energie psichiche, entra diretto nel subconscio e condensa una varietà di significati. Nel caso dell´emblema dc: la difesa contro il comunismo, la croce come affermazione di cristianesimo, il legame politico con la chiesa, la coesione della società italiana, la libertà (libertas), la ricostruzione e modernizzazione del dopoguerra, la mobilitazione dell´occidente e tante altre cose che però, oggi - ecco il punto - lasciano un po´ il tempo che trovano. Nel senso che la condensa, forse, è definitivamente evaporata. E tra ordinanze, ricorsi, sospensive, atti notarili, lettere di smentite e avvisi sui giornali lo scudo crociato s´è fatto entità fantasmatica e spettrale. Ha perso ormai la memoria delle proprie origini. Collocato fuori della dimensione temporale, nega ormai l´essere da cui lampeggiava; non rappresenta più, né rispecchia, né instaura, né ripristina l´appartenza, e tanto meno innesca la coesione. E´ lì, povero simbolo privo di potenza simbolica. Vaga tra Casini e Pizza, Rotondi e chissà quanti altri ancora. Reca in dote quella percentuale minima di voti che si giustifica col motto secondo cui tutto fa brodo. Che poi bisogna pure stare attenti perché i marchi sbagliati, a volte, il brodo lo fanno andare a male. FILIPPO CECCARELLI