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 2008  febbraio 13 Mercoledì calendario

Europa, 600 mila schiavi. Corriere della Sera 13 febbraio 2008. Li trovano nei bordelli, agli incroci delle strade, nelle stanze fetide e senza sole o nelle discariche di mezzo mondo, sopraffatti dalla fame e dal degrado

Europa, 600 mila schiavi. Corriere della Sera 13 febbraio 2008. Li trovano nei bordelli, agli incroci delle strade, nelle stanze fetide e senza sole o nelle discariche di mezzo mondo, sopraffatti dalla fame e dal degrado. Gli schiavi del Duemila sono soprattutto donne e bambini, pronti a soddisfare un mercato sempre più esigente e allargato (pedopornografia, sfruttamento sessuale, commercio di organi, lavoro forzato). I trafficanti sono criminali collegati a reti organizzate ma anche piccoli parassiti che s’infilano in vite già corrose. Le statistiche sono lacunose, le cifre approssimate e sempre per difetto perché il business è quasi a rischio zero, aguzzini e vittime invisibili. Compravendita di carne viva. Secondo stime delle Nazioni Unite gli schiavi nel mondo sono 27 milioni, per un giro d’affari di 31 miliardi di dollari, più del traffico d’armi e poco meno di quello della droga. Il Consiglio d’Europa, la più antica organizzazione paneuropea a tutela dei diritti dell’uomo, parla di oltre 600 mila persone vendute ogni anno nel Vecchio Continente, destinate per il 43 per cento al mercato del sesso, per il 32 al lavoro forzato. La definizione del reato è sancita nel «Protocollo di Palermo», i cui principi sono recepiti dall’ordinamento italiano nella legge 228 del 2003: il trasferimento di individui finalizzato a lavoro forzato, servitù o pratiche ad essa assimilabili, ottenuto tramite la violenza o l’inganno. L’essere umano violato e ridotto a cosa, la vittima legata al carnefice a doppio filo, in una condizione di sudditanza psicologica quasi mai percepita come un abuso. Nel tracciare l’identikit del soggetto a rischio tratta, l’Europol pone in rilievo il costante aumento di vittime che sfuggono al profilo: «La maggiore libertà di movimento, i bassi costi dei trasporti, la comunicazione globale favoriscono il reclutamento di individui con livelli di istruzione elevati e più lingue all’attivo, anche impiegati e con relazioni stabili, che normalmente non sarebbero definiti soggetti vulnerabili». In un documento del 2006 l’ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine dà i voti ai Paesi di provenienza, transito e destinazione della tratta: l’Italia compare nelle ultime due categorie con il massimo livello di coinvolgimento (come si vede anche dal grafico pubblicato qui accanto). Le statistiche compilate dalle Ong parlano di 50 mila donne vittime di tratta nel nostro Paese, per un terzo minorenni, 36 mila destinate allo sfruttamento sessuale. Sono due i flussi principali della prostituzione. Il primo arriva da Camerun e Nigeria, con ragazze che viaggiano per mare o in aereo e sono «smistate» nei centri nevralgici: Roma, Verona, Torino e Napoli. Il secondo proviene dall’Est europeo, con Romania e Moldova in testa alla lista dei Paesi-serbatoio, seguite da Bulgaria, Repubblica Ceca, Albania, Serbia e Croazia. Come riporta l’ultimo rapporto Agis realizzato in collaborazione con Save The Children, il principale flusso maschile, ancora proveniente da Romania e Moldova, è invece destinato all’agricoltura. Lo stesso rapporto lancia però l’allarme sull’aumento dei ragazzini costretti a prostituirsi: di solito arrivano in Italia di propria iniziativa e cominciano a chiedere l’elemosina, prima o poi finiscono impigliati nella rete che gestisce il territorio e che, in caso di performance «deludenti», li avvia al mercato del sesso. La pervasività del fenomeno impone un cambiamento di prospettiva: le vittime lavorano in cantieri, fattorie, fabbriche, piantagioni, bande criminali, case e alberghi. L’Ilo, l’organizzazione Onu del lavoro, denuncia l’aumento degli schiavi usati come domestici al servizio della nuova borghesia dei Paesi emergenti. «Look beneath the Surface», Guarda oltre la superficie, è il titolo della campagna lanciata nel 2005 dal Dipartimento di Stato Usa per rompere il muro dell’indifferenza. Non volgere lo sguardo quando la verità ti passa accanto. «Le vittime di tratta arrivano a sentirsi sfruttate – racconta al Corriere Laura Lagi, psicoterapeuta di Save the Children – solo di fronte alla violazione di un patto implicito con il protettore. Fino a quel momento si autorappresentano come persone in grado di governare la propria vita ed è difficile che cerchino aiuto, tanto più conquistarne la fiducia». Il primo febbraio 2008 è entrata in vigore la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, aperta alla firma dal Vertice dei capi di Stato e governo del maggio 2005 a Varsavia. Su 47 Stati membri, finora l’hanno ratificata in 14. Manca l’Italia. Si tratta del primo strumento internazionale legalmente vincolante che riconosce nel traffico una violazione dei diritti umani e un reato contro la dignità e l’integrità della persona. Se è vero che la schiavitù è tra le più antiche vergogne della storia dell’umanità, è anche vero che occorrono strumenti nuovi per contrastare un fenomeno che sta assumendo forme e dimensioni impreviste. Per il rapporto Europol 2007 siamo di fronte all’attività criminale «con il più alto tasso di crescita del pianeta (...) e che negli ultimi cinque anni ha visto aumentare il numero di vittime smerciate (il verbo inglese è "to traffick", compiere traffici illeciti, contrabbandare, ndr) nell’Unione Europea». «La Convenzione segna un grande passo avanti – spiega al Corriere Paolo Pobbiati, presidente della sezione italiana di Amnesty International, tra le Ong che hanno contribuito all’elaborazione del testo – perché stabilisce standard minimi di protezione e separa il trattamento dei criminali da quello riservato alle vittime, spesso perseguite come migranti illegali. In Italia si fatica ancora ad applicare lo spirito della 228 (la legge sul traffico di persone che insieme all’art. 18 del Testo Unico sull’immigrazione è il fondamento della legislazione nazionale antitratta, ndr), sappiamo di questure che hanno concesso permessi di soggiorno solo in cambio del contributo delle vittime all’identificazione dei criminali. urgente un salto culturale». Ricostruire l’uomo, lanciato senza rete in un mondo dov’è sempre più facile perdersi. Come si è perso Daniel, nei campi di fragole della Florida, o Marika sulla E55 tra Germania e Repubblica Ceca, o Carlos in una fattoria circondata da filo spinato in Brasile, o Sahid. «Mi chiamo Sahid, vengo da Casablanca, ho 17 anni. Quando me ne andai corsi al porto, mi nascosi in un camion diretto in Italia e salpai...». Maria Serena Natale