Corriere della Sera 14 febbraio 2008, L. Sal., 14 febbraio 2008
Cambia il paesaggio. Corriere della Sera 14 febbraio 2008. Stanno scomparendo i prati. I pascoli da cartolina delle Alpi, che fanno parte del nostro paesaggio come piazza San Marco e il Colosseo
Cambia il paesaggio. Corriere della Sera 14 febbraio 2008. Stanno scomparendo i prati. I pascoli da cartolina delle Alpi, che fanno parte del nostro paesaggio come piazza San Marco e il Colosseo. E stanno cambiando anche le nostre campagne, con le colline arate di fresco in Umbria e Toscana, anche loro marchio purissimo del made in Italy. Tutti sotto l’attacco (pacifico) degli alberi. Negli ultimi 20 anni la superfice dei nostri boschi è passata da 8 a 10,5 milioni di ettari, un terzo del territorio nazionale. Un processo in parte naturale in parte dovuto alla mano dell’uomo, che sta cambiando sotto i nostri occhi l’immagine dell’Italia. Spiega Marco Borghetti, professore di ecologia delle foreste all’Università della Basilicata, considerato uno dei massimi esperti dei modelli che studiano l’evoluzione del territorio: «L’avanzata dei boschi è in parte legata all’abbandono dei terreni utilizzati un tempo per l’agricoltura e la pastorizia. Attività che oggi vanno scomparendo e che, anche dove resistono, sono concentrate a livello quasi industriale». Cosa succede quando un terreno coltivato o un pascolo viene abbandonato? Servono decenni ma il percorso è quasi sempre lo stesso: «All’inizio – spiega Giovanni Bovio, professore di assestamento forestale all’Università di Torino – crescono piante cespugliose. Poi arrivano gli alberi che hanno bisogno di molto sole, come il pino silvestre o la betulla. Solo dopo anni, quando il terreno è diventato fertile grazie alle foglie cadute e le fronde cominciano a fare ombra, arrivano i faggi. A quel punto il bosco è diventato stabile ». Un cambiamento spontaneo, che quindi non porta alberi diversi da quelli tipici della zona. Ma c’è anche chi si oppone a questa trasformazione. In Alto Adige si continuano a sfalciare anche i prati dove ormai le mucche non pascolano più. Non è una mania dei pastori che continuano a ripetere i gesti di una vita. Ma un progetto pensato e finanziato dalla provincia autonoma di Bolzano. Sfalciando i prati come se fossero ancora pascoli si evita che l’erba ceda il posto agli alberi. Si argina la riconquista del bosco. E si conserva quel paesaggio da cartolina, quella dolce alternanza di abeti, prati, laghetti e montagne, che è quasi un marchio registrato delle Dolomiti. Ma ci sono anche cambiamenti più sottili e potenzialmente insidiosi. Non tutti gli alberi crescono con la stessa rapidità. In un anno il velocissimo pioppo guadagna in volume quello che una quercia costruisce in cinque, un ulivo addirittura in trenta. E purtroppo anche per le piante il tempo è denaro. I piani di rimboschimento dopo gli incendi, le industrie che utilizzano legname, ma anche il potenziamento del nostro parco alberi per ripulire l’aria dall’anidride carbonica e rispettare almeno in parte il Protocollo di Kyoto: sono tutti fattori che potrebbero cambiare ancora di più il nostro paesaggio. Mettendo in difficoltà, anche qui, gli alberi più legati alla nostra tradizione e un po’ pigri come la quercia e l’ulivo. E facendo proliferare gli sprinter del settore come pioppo e betulla, che pure fanno parte della nostra memoria ma non allo stesso modo. C’è infine un altro cambiamento possibile, legato al riscaldamento del clima. Questo potrebbe mettere in crisi le latifoglie, che hanno più bisogno di acqua, e cioè acero, nocciolo e soprattutto faggio, vero e proprio re dei nostri boschi. Mentre resisterebbero meglio le conifere, meno assetate, e cioè pino, larice, abete. Come tutti i modelli che cercano di leggere il futuro, però, anche questi vanno presi con le molle. «Sono troppe le variabili – osserva il professor Bovio – per fidarsi fino in fondo. In Piemonte ogni anno bruciano 4 mila ettari di boschi. Solo nell’inverno 1990 furono 40 mila. Chi lo poteva prevedere?». Come gli uomini, anche gli alberi ignorano il loro futuro. L. Sal.