varie, 17 febbraio 2008
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Zuckerberg Mark
• Dobbs Ferry (Stati Uniti) 14 maggio 1984. Imprenditore. «[...] dorme in una casa di due stanze su un materasso appoggiato sul pavimento, non mette mai le calze, la cravatta o una giacca. Vive in sandali, maglietta e jeans. Eppure è l’amministratore delegato di una compagnia che vale quanto la Ford o la Cbs. I suoi uffici a Palo Alto, in California, sembrano un campus universitario più che il quartier generale di un business che vale quindici milioni di dollari. Il cibo è gratis e sempre disponibile per i quattrocento che ci lavorano, c’è una lavanderia che funziona ventiquattro ore al giorno, si arriva tardi, si esce ancora più tardi e si fanno feste tardissimo. Mark Zuckerberg è l’inventore di Facebook, probabilmente il sito internet più importante e di successo dopo Google. Lo usano sessanta milioni di persone e una previsione, forse esagerata, pensa che arriverà a duecento milioni [...] Tre compagni di scuola lo hanno accusato di aver rubato la loro idea ma non sono riusciti a dimostrarlo in tribunale. Oggi sembra chiaro che la sua fortuna è stata quella di intuire per primo che l’idea di costruire un sito internet dove i ragazzi delle università potessero fare amicizia, discutere, scambiarsi foto, consigli, e raccontarsi le loro vite, i loro sogni e l’ultimo pettegolezzo era giusta e vincente. Ci erano arrivati in molti, perlomeno in cinque, a mettere a fuoco il progetto nel campus di Harvard nei primi mesi del 2004. Ma uno solo ha avuto il coraggio di giocarsi tutto su quell’idea e di abbandonare l’università, seguendo un precedente famoso che porta il nome di Bill Gates, il fondatore di Microsoft. Era l’estate del 2004 e, dopo aver terminato il secondo anno di corso in psicologia, si trasferì sul Pacifico con un piccolo gruppo d’amici. Lì sono rimasti. Lì sono diventati ricchi e famosi. Lì continuano a vivere come se fossero ancora a scuola. Figlio di un dentista e di una psichiatra, Mark è nato e cresciuto a Dobbs Ferry, un paesino a nord di New York. In prima media aveva già scritto il suo primo programma per il computer e al liceo, insieme al suo compagno di banco Adam D’Angelo - che oggi è ancora accanto a lui - aveva inventato come ricerca scolastica un lettore mp3 (un i-pod) capace di capire i comportamenti di ascolto di chi lo usava. La Microsoft gli offrì 950mila dollari per averlo, lui rispose di no, che preferiva andare all’università. Entrò ad Harvard e lì si scontrò con le burocrazie che frenarono la sua idea di un sito internet aperto a tutti gli studenti, in cui ci si potessero scambiare informazioni. Allora fece tutto da solo e nel febbraio del 2004 lanciò Facebook dalla sua stanza nel dormitorio. Il decollo del sito ha una progressione incredibile. Parte con Harvard, si allarga agli studenti di Yale, Columbia e Stanford, poi a quelli di tutte le università che fanno parte della Ivy League - le più antiche e prestigiose d’America - e in tre mesi raggiunge anche le scuole superiori dell’area di Boston. In soli due anni ha sette milioni di membri e raggiunge duemilacento università e ventiduemila licei. la primavera del 2006. In autunno si rompe il tabù: non più solo studenti. Si apre ai luoghi di lavoro, a gruppi di amici che si raggruppano per aree geografiche o intorno a particolari temi o hobby. In un attimo gli utenti sono dieci milioni. Ancora dodici mesi - a questo punto siamo arrivati alla fine di agosto 2007 - e ad usarlo sono trentasette milioni di persone. [...] Ognuno ha la sua pagina con le foto ma, a differenza di MySpace in cui tutti possono vedere tutti, dentro Facebook ci sono decine di migliaia di comunità chiuse ed esclusive. Per entrare in casa di un altro bisogna bussare e essere accettati, solo gli amici hanno la chiave. [...] Lo chiamano l’amministratore delegato bambino, si chiedono se sia in grado di gestire un business di queste dimensioni; lui è di poche parole, spiega che sta imparando, che sta crescendo. Fa anche molti sbagli ma ogni volta ammette e promette di correggere. Gli ultimi sono clamorosi e hanno fatto rumore: il primo è l’eccesso di pubblicità che ha provocato ribellioni, il secondo è il monitoraggio degli acquisti che fa ogni utente in rete. La presentò come un’idea simpatica: i tuoi amici sapranno che hai comprato una sciarpa o un nuovo computer. Ma lo scandalo scoppiò prima di Natale quando a una moglie venne comunicato in tempo reale che il marito le aveva appena comprato un anello con un brillante. Si trattò solo di una sorpresa rovinata ma molti si ribellarono all’idea che la loro privacy venisse completamente violata. Ora il meccanismo è stato rimesso in discussione e può essere disattivato e l’avventura di Mark continua a ritmi incredibili. La sua favola è certamente figlia del coraggio e di un’intraprendenza non comune, ma anche di un Paese in cui ci sono persone che scommettono sugli esordienti. Nella Silicon Valley, Mark ha trovato banchieri e finanziatori che hanno investito milioni di dollari sull’idea di un ragazzo dell’università che si presentava senza calze e con la felpa con il cappuccio. [...]» (Mario Calabresi, ”la Repubblica” 17/2/2008).