Liberazione 9 febbraio 2008, Giorgio Falco, 9 febbraio 2008
Tempo spazzatura metafora del basket. Liberazione 9 febbraio 2008. Tra pochi giorni New Orleans ospiterà l’All Star Game, la partita tra i migliori cestisti che militano nell’Nba, il più importante campionato americano di basket
Tempo spazzatura metafora del basket. Liberazione 9 febbraio 2008. Tra pochi giorni New Orleans ospiterà l’All Star Game, la partita tra i migliori cestisti che militano nell’Nba, il più importante campionato americano di basket. I giocatori, selezionati da centinaia di migliaia di voti, si sfideranno nella tradizionale partita Est contro Ovest. L’incontro si svolgerà alla New Orleans Arena, uno dei luoghi - assieme al Louisiana Superdome - dove nell’estate del 2005 si rifugiarono migliaia di persone in fuga dall’uragano Katrina. La valenza simbolica dell’operazione è assicurata. Il posto dei disperati abbandonati a loro stessi, il luogo delle violenze tra i derelitti, della scomparsa totale dello Stato è restituito all’evento che accade una volta all’anno: il ritorno della civiltà delle stelle. Ma ogni evento e prodotto, anche il più luccicante, rilascia una parte più o meno visibile di scorie, i rifiuti della lavorazione industriale. Il radiocronista Chuck Hearn ha reso popolare una frase molto usata nel basket americano, un’espressione che ben definisce non solo la fase di una partita di pallacanestro, ma anche il tempo di questi anni: garbage time , tempo spazzatura. Il tempo spazzatura inizia quando mancano pochi minuti al termine di un incontro e tra le due squadre ci sono molti punti di distacco, non esistono dubbi sull’esito finale, così gli allenatori schierano le riserve, gli atleti meno utilizzati, quelli che mai giocherebbero col punteggio in equilibrio. I titolari di entrambe le squadre siedono in panchina, gli inservienti posano asciugamani sponsorizzate sulle spalle sudate dei titolari che sorseggiano bevande inquadrate con solerzia dalle telecamere. Il tempo spazzatura è usato dagli allenatori per difendere i propri titolari dall’umiliazione di uno scarto troppo alto o dalla possibilità di infortuni, per aumentare ciò che, con una parola tecnica, viene definita minutaggio delle riserve, ma il tempo spazzatura non migliora la considerazione degli allenatori per le riserve perché tutti, allenatori e giocatori, sanno che solo gli allenamenti - e non i minuti del tempo spazzatura - possono in parte cambiare le gerarchie all’interno della squadra. Lo spettatore di solito crede che durante il tempo spazzatura la qualità del gioco cali vertiginosamente. In realtà è come se in quei minuti si giocasse la copia di ciò che normalmente è considerato l’originale, durante il tempo spazzatura si gioca uno sport simile alla pallacanestro e, più in generale, un surrogato del consumo. I ritmi del tempo spazzatura sono molto accelerati, sussulti e strappi che dovrebbero condurci alla direzione di un senso, sembra che i giocatori obbediscano all’ordine di far scorrere il tempo fagocitando più azioni possibili in un vertiginoso aumento di produzione, che genera un numero sempre maggiore di rifiuti. Sebbene sia un tempo di scarto, come la melina calcistica, il tempo spazzatura assume un carattere opposto, quello dell’accelerazione. In entrambi i casi il risultato è di giocare fuori ritmo, come se il mercato, la fabbrica di cose ed eventi, svelasse e concedesse la parte di se stesso più oscura e oscena, l’industria del disordine. Il tempo spazzatura è un’escrescenza, il tempo dopo l’evento che però senza volerlo diventa evento, perché la vita non è quella sequenza eccitante di gesti emozionanti e interessanti. Il tempo spazzatura è il tempo doloroso che nessuno vorrebbe ricordare, sembra tempo innocuo, utile soltanto allo scarto burocratico finale, per rendere dignitosa la sconfitta o per gonfiare la vittoria ma il tempo spazzatura, pur non avendo alcuna importanza ai fini del risultato finale, ha regole non scritte. L’ultima grande scazzottata della Nba è avvenuta il 16 dicembre 2006 al Madison Square Garden di New York. A 1’15’’ dal termine, in pieno tempo spazzatura, i Denver Nuggets vincevano di diciannove punti contro i New York Knicks. Denver, secondo New York, ha infranto una delle regole del tempo spazzatura: giocare con i titolari. Nel rugby accade il contrario, risparmiare all’avversario una sconfitta pesante è una mancanza di rispetto. A parte l’obbligo morale di schierare le riserve e gli scarti, il tempo spazzatura è tempo senza schemi, è la ricerca di un consenso breve, ci ricorda la transitorietà e la caducità dell’evento e di noi stessi, è l’esaltazione dell’azione individuale senza gloria, la libertà di fare vigilata, la libertà di cui nessuno sa cosa farsene se non per sopraffare gli altri nel tempo spazzatura, il tempo che giorno dopo giorno implode negli spostamenti controllati. Il tempo spazzatura è un momento di lugubre vitalità nell’ipnosi dell’evento, la coda che divora se stessa e ci colpisce stremati dopo il grande sogno quando, finita la festa, ripensiamo nuovamente alla nostra vita: gli anni sulle tessere di abbonamento, la schiera di avvenimenti che ci attende, allora ricompare il pallone pompato sul parquet luccicante, le gambe piegate nel palleggio alla ricerca del pertugio, le braccia protese alla fragilità della retina, seguite dal resto del corpo. Giorgio Falco