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 2008  febbraio 09 Sabato calendario

Per non morire idioti. Tuttolibri 9 febbraio 2008. Chissà se Alberto Manguel, vate mondiale della lettura come bene e piacere supremo, è (prevedibilmente) apocalittico sui destini del libro e dunque della vita e del mondo, oppure non lo è

Per non morire idioti. Tuttolibri 9 febbraio 2008. Chissà se Alberto Manguel, vate mondiale della lettura come bene e piacere supremo, è (prevedibilmente) apocalittico sui destini del libro e dunque della vita e del mondo, oppure non lo è. «Leggere è un’attività primordiale. Siamo animali leggenti. Non appena veniamo al mondo, abbiamo quella che Giovanna Franci chiama ansia dell’interpretazione. Leggiamo tutto: il cielo, il paesaggio, le facce, le immagini, e anche i testi». Ecco il primo tocco bibliografico, la citazione di un libro dell’anglista Giovanna Franci, pubblicato dal Mucchi nel 1989. Ma anche nell’accezione meno estesa della parola «leggere» tutti gli umani sono animali leggenti? Proprio tutti tutti? «Chiunque può leggere. Se lo vuole, e se gliene viene data l’opportunità». Poi ci sono i professionisti della lettura, come lei. Oppure un vero lettore non può essere un professionista, e viceversa? «Quand’ero ragazzo, nei miei anni in Argentina, una zia pittrice sosteneva che chiunque deve saper leggere, disegnare e ascoltare musica, sia pure non in maniera professionale». E diceva Peter Bichsel, scrittore svizzero, che al mondo ci sono più zie che lettori. Troppa gente che vuole insegnarti a leggere. «Non si può insegnare a leggere, però si può imparare a leggere». Pennac, leggere e amare non reggono l’imperativo. Siamo in pieno repertorio sulla lettura, ormai è amplissimo. «Un futuro lettore deve desiderare di diventare un lettore, altrimenti non lo sarà mai. Poi svilupperà il proprio talento. Da ragazzino amerà gli elementi basici di una storia, crescendo troverà maniere più complesse di provare piacere. Prima Cenerentola, poi Madame Bovary». Ma questo desiderio individuale, magari stimolato ma che deve nascere e svilupparsi in autonomia, non è controcorrente rispetto ai, scusi la pomposità della frase fatta, valori dominanti? «In una società consumistica le qualità positive sono: brevità, facilità, velocità. Il contrario di quelle della lettura. Ogni spazio è riempito, il paesaggio sonoro è invaso, è fin troppo banale dire - come già sosteneva Platone, curiosamente per un filosofo - che il potere è più facilmente esercitato fra coloro che non pensano». Lei non ha il telefonino. «No». Internet? «Ti vogliono far credere che non puoi vivere senza, ma io sono uno scrittore». Che in una rete di rapporti con scrittori e librai di tutto il mondo vive da sempre. Può darsi che l’eccesso di stimoli sensoriali provochi mutamenti neurologici, e l’uomo smetta di essere un animale leggente perché frastornato, incapace di silenzio? «Il cervello si adatta alle nuove tecnologie. Anche quando nacque la fotografia si disse che la pittura sarebbe morta, invece convivono. La novità è che oggi le nuove tecnologie sono intrinseche al sistema economico, lo costituiscono, e dissentire o differenziarsi è sempre più difficile». Figuriamoci per chi è cresciuto e si è formato, o sformato, in un blobbone elettronico. Leggere appare come il privilegio di un’élite, magari seppiata e inattuale come un’antica fotografia. «Leggere è sempre stato elitario, in qualsiasi società. Adesso questa élite non è più chiusa, tutti possono entrare a farne parte. Anche fra i nati prima del 1950 la maggioranza non leggeva, però tutti pensavano che i libri fossero importanti. Adesso il libro è un oggetto commerciale, e anche chi potrebbe diventare un lettore viene addestrato ad essere un consumatore. Progettano di distribuire computer negli asili...». Appunto, difficile ribellarsi per chi in quegli asili è cresciuto. «Il sentimento della ribellione non può essere estirpato nei giovani, magari basta che un maestro dica loro: leggere è l’attività più sovversiva, per pas mourir idiot, come si diceva nel Sessantotto. Nasciamo intelligenti, è la stupidità che deve essere imparata». Veniamo a lei: grazie ai libri che ha scritto appare come una sorta di iperlettore. «Non sono sistematico e non mi interessa la teoria. Leggo per piacere. Il piacere è legato alla complessità, al recupero quasi inesauribile di significati. Come diceva Northrop Frye, un classico è un’opera sempre più ampia della migliore delle sue letture». Un libro tira l’altro... «Per associazione. Faccio un esempio. Il mio amico Cees Nooteboom cita Polibio. Ah, Polibio!, penso, e lo riprendo in mano. Leggo ciò che dice sul tradimento in politica, argomento peraltro di qualche rilevanza oggi in Italia, e passo a Montaigne, sullo stesso tema. Ma mi viene anche voglia di rileggere La spia che venne dal freddo di John Le Carré. Intanto mi capita fra le mani una recensione, sull’International Herald Tribune, ai taccuini di Robert Frost: ritrovo una vecchia copia di Frost, dei tempi della scuola, e vado a leggere quello che dice di Polibio. Poi, sapendo che Kennedy amava Frost, apro finalmente una biografia di Kennedy che non avevo ancora letto». Links. Questi sono links. «Solo che in Internet sei circondato da cose che non vuoi sapere». Solo che lei ha una memoria formidabile, semmai. Che cosa ricorda dei libri? L’atmosfera, un personaggio, un giro di frase, una scena? «Ricordo tutto. Anche se quello che ho letto è in una pagina di destra o di sinistra. Naturalmente ho una memoria creativa, oppure forse i libri cambiano mentre non li sto guardando. Ricordavo un lungo paragrafo di Shooting an Elephant di George Orwell, quando l’elefante muore e dunque sfugge al suo cacciatore: l’ho riletto, sono due righe appena». Delle sue letture formative lei ha scritto molto, Rosellina Archinto ha pubblicato il suo formidabile «Diario di un lettore», e anche i libri su Stevenson (Nottetempo) e Omero (Newton Compton) prendono avvio dal gesto del leggere. Prima di chiederle che libri ha in valigia, permetta la domanda: lei è tradotto anche da Adelphi (Con Borges) e da Mondadori, con la Storia della lettura ormai purtroppo introvabile. Come mai in Italia ha così tanti editori? «E pensi che di natura sarei monogamo. In effetti, spero che diventino uno o due al massimo». Nel frattempo, che cosa ha portato con sé a Venezia, dove ha tenuto l’orazione conclusiva alla Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri? «The Other House di Henry James, un romanzo che non avevo mai letto né sapevo che esistesse». Meno male. «Poi un romanzo meraviglioso, Les cheveux de Vénus del russo Michail Siskin». Tradotto in italiano da Voland, come «Capelvenere». «Racconta una storia attuale, di rifugiati che tentano di entrare in Svizzera, con accenti che lo avvicinano alla mitologia classica. Assomiglia a Kadaré». Quando scrive narrativa non ne legge, oppure ha percorsi più sbiechi? «Dipende da che cosa scrivo. Adesso sono alle prese con un nuovo romanzo e leggo moltissima fiction, però a contrasto. Se è qualcosa di troppo simile, temo il contagio. Sto anche leggendo Manovras nocturnas dell’argentino Edgardo Cozarinsky, su come gli individui vengono corrotti ad opera di un sistema politico». A questo libro come è arrivato? «Me l’ha spedito un amico. E poi sono in rapporti con librai di tanti paesi diversi... D’altronde, non spendo denaro per nient’altro che per i libri. Vorrei aggiungere che leggo anche molta poesia, per esempio la canadese Lorna Crozier». Quali, invece, gli italiani che l’hanno segnata? «Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese, su segnalazione di Hector Bianciotti. Pavese. La vita agra di Luciano Bianciardi. Il pilota cieco di Giovanni Papini, scovato su una bancarella a Torino. L’amante senza fissa dimora di Fruttero e Lucentini». E più di recente? «Ho letto in traduzione francese Mal di pietre di Milena Agus e l’ho amato moltissimo. Alla fine mi sembrava di avere letto cinquecento pagine, per quanto condensa, invece è brevissimo. Lei ha un grande occhio per i dettagli. Ho già in tasca il suo nuovo libro, pronto per il mio volo di ritorno». Giovanna Zucconi