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 2008  febbraio 14 Giovedì calendario

Una giornata in corsia a Napoli. Liberazione 14 febbraio 2008. Fingo di dover abortire al Policlinico Federico II di Napoli

Una giornata in corsia a Napoli. Liberazione 14 febbraio 2008. Fingo di dover abortire al Policlinico Federico II di Napoli. Chiedo informazioni ad una infermiera che fuma una sigaretta sugli scalini, accanto alla scritta sul muro: "E’ nata la nostra speranza, si chiama Sofia". Mi dirige verso una caposala che mi guarda con comprensione: «Le liste sono bloccate da alcuni giorni». Bloccate? «Sì, troppe richieste. Si rivolga ad un altro ospedale». Poi mi scrive il numero dell’assistente sociale. Provo a cercarla su e giù per i cinque piani della palazzina di Ginecologia e Ostetricia, le scale sporche e qualche cartaccia per terra. Mi guardano storto: «L’assistente sociale non c’è, è malata o in ferie». Prendo l’ascensore, vicino al pulsante un’ altra scritta: "Maria ti amo anche se abbiamo perso il nostro bambino". Nel reparto dove lunedì sera hanno fatto irruzione sette poliziotti per sospetto feticidio, reato inesistente, i ginecologi non obiettori sono 6 su 60. E lavorano nel caos. «In Campania non c’è un sistema di prenotazioni centralizzato» spiega il dottor Francesco Leone, responsabile del servizio di interruzione volontaria di gravidanza: «E dunque le donne prenotano sia qui che in altri ospedali per vedere dove trovano prima un posto libero. Su dieci prenotazioni se ne presentano tre, e questo intasa le liste di attesa». La soluzione? «Pretendere che i nuovi assunti non siano obiettori. Forse l’ispezione regionale dopo il blitz anti-abortista ci servirà per migliorare le cose». Entrare nel reparto di Ginecologia e Ostetricia del Secondo Policlinico, tra i più avanzati della Campania e sicuramente polo di eccellenza nel Sud, significa entrare a contatto con la realtà nuda e cruda delle questioni etiche riaperte dal fronte cattolico: donne in vestaglia col pancione in attesa di partorire (2000 parti nel 2007), donne in attesa di fare un aborto terapeutico (274) o un aborto entro i 90 giorni (1370), coppie che attendono il proprio turno per una visita nel piano dedicato alla fecondazione assistita (200 cicli), o che sono venute a ritirare il test sulla sterilità (500), donne mature alla presa con la menopausa (1500), coppie in ansia per un bimbo nato troppo presto e sottoposto a terapia intensiva neonatale. Il direttore del reparto Carmine Nappi ondeggia tra l’orgoglio di una équipe di primo livello e la rabbia per l’assalto degli agenti: «Non so se sia un fatto eclatante, so che non è successo niente» esordisce sedendosi nel suo ampio studio, con la foto di Karol Wojtyla alle spalle. L’inchiesta interna, una semplice relazione sui fatti, verrà depositata in serata nelle mani del direttore generale. L’inchiesta giudiziaria, invece, langue su di un binario morto. «Premerò per querelare chi ha chiamato la Procura per denunciarci, ha causato il disdoro della struttura». Obiettore di coscienza ed elettore di Forza Italia, sostenitore della rianimazione del feto a tutti i costi ma favorevole alla diagnosi pre-impianto attualmente vietata dalla legge 40, Nappi ragiona principalmente da medico: «A noi esperti serve un confronto vero, quello che il mio amico ginecologo Carlo Flamigni chiama "un’isola di stranieri felici" dove dialogare delle nostre cose senza l’interferenza della politica e le strumentalizzazioni. Perché questo clima da caccia alle streghe danneggia in primo luogo le donne. La 194 va bene così com’è, semplicemente vorrei che il legislatore imponesse un limite temporale oltre il quale non è possibile fare un aborto terapeutico. Un limite uguale per tutti». Fin dal 1998 il Policlinico, che accoglie le richieste di aborto terapeutico di Napoli e provincia, ha stabilito il limite di 22+7. Tre giorni in più, cioè della pur laica e avanguardista clinica Mangiagalli di Milano che si ferma a 22+3. «Nel 2001 scrivevo che la legge 194 va applicata e non cambiata, oggi invece penso che c’è bisogno di chiarezza sui limiti» continua Nappi. Anche lui d’accordo, con il dottor Leone, che il dibattito degli ultimi mesi sull’aborto è costruito in verità «sul nulla». Perché già la 194 vieta l’aborto quando c’è possibilità di vita autonoma del feto, e dunque quando si pratica un’interruzione di gravidanza oltre il 90mo giorno il medico deve presupporre che il feto nasca morto. «Ma non c’è alcun strumento che mi faccia capire con certezza se un feto è vivo oppure no alla 22ma o 23ma settimana» dunque a volte può succedere che il feto sia vivo. E allora, secondo Nappi, «va rianimato». Di parere diverso il dottor Leone: «Rianimare alla 22ma settimana spesso dà ulteriori problemi ai genitori, al feto stesso che sviluppa patologie gravissime e alla società». Della legge sull’aborto il ginecologo Leone pensa che non sia perfetta ma bisognerebbe dare la possibilità di abortire anche oltre la 23ma, data ultima adottata convenzionalmente dai ginecologi italiani, nel caso di enormi patologie fetali come l’anencefalia scoperte tardivamente. Il dibattito è vivace. Oltre alle pubblicazioni mediche e i manuali di Ostetricia, Leone conserva sul tavolo il numero dell’Espresso con l’intervista a Emma Bonino e una serie di quotidiani sul blitz della polizia. «Ma non mi sento criminalizzato. Non credo» scherza «che mi troverò gli antiabortisti fuori dell’ospedale come succede in America». Questione medica, non questione etica.Nonostante l’altissimo numero di ginecologi obiettori, il dottor Leone assicura che «non c’è mai stato scontro ideologico tra le differenti posizioni né c’è mai stato un tentativo di proselitismo da parte dei militanti per il Movimento per la vita». C’è insomma, un rispetto reciproco che non spiega l’intervento brutale della polizia, con il sequestro della cartella clinica e del feto di 500 grammi, e l’interrogatorio spiccio di S.S., la trentanovenne di Arzano (Na) appena uscita dalla sala parto dopo un laborioso aborto terapeutico. In serata il pm di Napoli Giovandomenico Lepore, coordinatore dell’inchiesta, dichiara che la telefonata anonima al 113 denunciava un infanticidio che si stava consumando in un bagno del Policlinico. Lepore poi difende gli agenti che sarebbero intervenuti con «assoluta professionalità» e nel pieno rispetto della privacy. Ma la chiarificazione non attenua il diluvio di critiche nei confronti della Procura napoletana e il ministro della Giustizia Luigi Scotti chiede al procuratore generale di Napoli Vincenzo Galgano una attenta verifica sull’intervento dei magistrati nel reparto di Ostetricia di Nappi. Le sei donne appartenenti al Consiglio superiore della magistratura, orripilate, chiedono insieme ai colleghi uomini un intervento dell’organo di autogoverno dei magistrati, mentre il presidente degli ordini dei medici Amedeo Bianco esprime forte preoccupazione circa l’azione dei poliziotti «sia nel merito che nel metodo». Forte condanna anche dalla Cgil; l’associazione nazionale giuristi democratici di cui fa parte Barbara Spinelli dirama un comunicato in solidarietà con le donne coinvolte definendo «censurabile» l’intervento delle forze dell’ordine. Naturalmente interviene la politica: il Pd proclama con Anna Finocchiaro che la 194 e l’autodeterminazione delle donne vanno difese, Giuliano Ferrara ricorda che lunedì al Policlinico «è morto un bambino» cioè il feto della signora S.S. ma nessuno se lo ricorda. Maria Luisa Boccia (Prc): «Quanto al blitz,dovranno rendere conto la polizia che l’ha effettuato e il magistrato che l’ha autorizzato». Il movimento femminista e lesbico si concentrerà oggi alle 17 davanti al ministero della Salute per protestare contro «una vera e propria dichiarazione di guerra» alle donne e al loro corpo. Nelle stesse ore la manifestazione convocata dalle donne dell’Udi a Napoli in piazza Vanvitelli alla quale parteciperà la Sinistra l’Arcobaleno, a Milano davanti alla clinica Mangiagalli e a Bologna di fronte all’ospedale Sant’Orsola. Venerdì alle 10 un sit-in del comitato in difesa della 194 davanti al Policlinico napoletano. Telefono Rosa fornirà assistenza legale gratuita a S.S. Il tutto con la benedizione di Barbara Pollastrini. «Ho ricevuto telefonate di stima e solidarietà da molti politici» dice il primario Nappi. «Capisce qual è il problema? Che poi i politici discutono di queste questioni senza interpellarci, i tecnici devono intervenire di più. Io voglio discutere di problematiche mediche». E il problema degli obiettori di coscienza, non sono troppi rispetto ai non obiettori? «Bisognerebbe concentrarli in una unica struttura così una donna saprebbe esattamente dove andare se vuole effettuare un aborto». «Ma il vero problema è che manca una politica della contraccezione, siamo ultimi in Europa, i consultori funzionano male, mancano di personale, le donne spesso non sanno che esistono: loro dovrebbero farsi carico per esempio della prescrizione della pillola del giorno dopo restando aperti il sabato e la domenica». Dettagli clinici, proposte: di questo parlano i medici e non di ideologia. La realtà sta sempre altrove: ed è quella delle donne campane che fanno fatica a trovare un medico disposto a farle abortire, oppure lo trovano ma le infermiere obiettrici consegnano le candelette di prostaglandina (l’ormone che induce il parto, ndr) rifiutandosi di iniettarle, costringendo le donne a fare da sole. E allora alcune ricorrono alle cliniche private, a pagamento e fuorilegge. Come accadeva a Ischia, dove tutti i medici erano obiettori nell’ospedale pubblico e invitavano le pazienti ad abortire nei loro uffici privati. Poi c’è chi ricorre allo stratagemma: il medico compiacente che inietta la prostaglandina dietro un cospicuo compenso, poi spedisce la poveretta ad abortire nelle strutture pubbliche dove i medici catalogheranno il tutto come aborto spontaneo. Laura Eduati