Ulderico Munzi, La Stampa 13/2, 15 febbraio 2008
Lei è ateo, signor Cyrulnik? «Sì, sono ateo». Carte in tavola. Nel sorriso del professore si avverte qualcosa di autoritario
Lei è ateo, signor Cyrulnik? «Sì, sono ateo». Carte in tavola. Nel sorriso del professore si avverte qualcosa di autoritario. Forse è fiero dei suoi dogmi intimi. Boris Cyrulnik è un personaggio dell’Olimpo scientifico internazionale: nato nel 1937, sangue russo nelle vene, padre e madre scomparsi ad Auschwitz, etologo, cioè studioso del comportamento degli animali, neurologo, psichiatra, psicanalista, professore all’università di Tolone, scrittore, maestro di nuoto e ballerino di tango. Una persona integra. Per semplificare si può dire di lui che è uno dei custodi europei della «resilienza», un concetto preso in prestito alla fisica e applicato all’uomo. Si tratta della capacità del «materiale umano» di riprendere la propria forma, in un certo senso di rinascere dopo una situazione traumatica come la morte di un essere caro. Uno degli ultimi bestseller di Cyrulnic intitolato Di carne e d’anima e pubblicato in Italia da Frassinelli esalta appunto questa «araba fenice» che ci portiamo dentro tra molecole, geni, serotonina, cablaggi e tante altre cose. E come ateo, riprendiamo, lei ha visto di buon occhio quella porta dell’università sbattuta sulla faccia del papa? Non le sembra che i suoi interventi sul nostro agire umano siano ormai una valanga? «No, è stato un gesto totalitario…». Degno di camicie brune dell’ateismo, come dice un giornale. «Un gesto degno, direi, di camicie rosse. Le camicie brune naziste furono legate ai cattolici da una sorta di complicità. Il papa doveva parlare all’università, Benedetto aveva il diritto d’imporre la sua parola perché questa è la funzione del pontefice. E si aveva il diritto di contestarlo. La brutalità laica di Roma, però, risponde a tanta brutalità religiosa, a tanto totalitarismo religioso». In realtà molti affermano che nei nostri giorni dilaga il totalitarismo scientifico. E c’è chi fa l’oltranzista dicendo che l’insignificanza dell’uomo nell’universo dà fatalmente la misura della scienza. «La scienza non può dare certezze. Più la scienza avanza e più l’incertezza aumenta. Se lei vuole certezze, le chieda a papa Benedetto. Tutte le leggi scientifiche sono cadute una dopo l’altra a causa dell’evoluzione del pensiero. Si può dire la stessa cosa per le religioni, anche per quelle più dogmatiche. La differenza sta nel fatto che gli scienziati discutono, anche con forza, mentre i preti si scannano o scannano com’è accaduto nel passato. L’uomo rispetto all’universo è meno di ”niente”? Io ho una religione dell’uomo. E’ il centro del mio universo perché io sono un uomo. Se fossi un verme, direi che spetta al verme d’essere al centro dell’universo». Il fatto d’essere ateo non le pone dei problemi di solitudine? «Se io fossi religioso o settariamente laico non avrei problemi di solitudine perché sarei obbligato ad appartenere a un gruppo che venera il sacro o venera il contrario del sacro. Ma la religione è un processo arcaico di socializzazione. Un cattolico come René Girard, membro dell’Académie française, ha parlato della violenza del sacro. Se si venera la stessa idea, si entra in un clan. Sono ateo, ma la mia socializzazione è fatta di liberi rapporti con esseri umani. Dio non figura tra gli optional. E nemmeno certe imposizioni laiche. Lavoriamo sulle stesse cose e sulle stesse idee, non abbiamo una strategia del dominio…». Un cattolico direbbe che ciò non basta per colmare la solitudine di un senza Dio. «Sto lavorando sulla ”solitudine biologica”, una brutta faccenda che provoca gravi problemi. E sono andato a parlare con gli eremiti che vivono sulle montagne della Provenza. Mi hanno detto: non siamo mai soli perché siamo pieni di Dio. Ai miei occhi di psicologo è una pienezza puramente narcisistica. Può capitare di provarla quando si è innamorati di un’attrice che non si è mai vista. Per esempio, si è innamorati dell’idea che ci si è fatti di Marilyn Monroe. Accade lo stesso quando si è innamorati di Dio…». Come reagisce da ateo davanti alla prospettiva della morte? «La morte è qualcosa di assoluto. Non mi fa paura. Io credo in una spiritualità laica. Non ho bisogno della divinità per essere trascendente. Sopravvivrò attraverso i miei discendenti, attraverso gli altri uomini… La mia solitudine di ateo è popolata. Ci sono persone anziane che abbracciano la fede perché in questo modo si sentono rassicurate nell’imminenza della voragine estrema. La riempiono di Dio o, meglio, del sentimento di Dio». E le moltitudini di giovani che hanno la fede? Non invidia loro quello che lei chiama il sentimento di Dio? «Quando ero bambino inventai un dio e non sapevo quale forma dargli. Inventai anche le preghiere… Se fossi cresciuto in una famiglia strutturata religiosamente, sarei stato felice d’imparare la religione dei miei genitori. Mi avrebbe dato tranquillità psicologica e affettiva. Con gli anni tutto è scomparso. Chissà, tra qualche tempo, le mie immagini infantili potrebbero riapparire…». Lo spera? «Oggi non sono né contento, né scontento d’essere ateo. Non ho il gusto dell’aldilà. Dico a me stesso: Boris, dopo la morte sarai come prima di nascere».