Tuttoscienze 13 febbraio 2008, Gabriele Beccaria, 13 febbraio 2008
Le scienze perdute sono tra le sabbie. Tuttoscienze 13 febbraio 2008. La storia di una fetta di mondo è sul punto di essere buttata via e riscritta dacapo, ma prima bisogna sporcarsi le mani con i dollari del presidente sudafricanoThabo Mbeki: dare la caccia alle termiti e ai topi, togliere tonnellate di polvere, rimuovere la sabbia che sfigura le parole come una grattugia
Le scienze perdute sono tra le sabbie. Tuttoscienze 13 febbraio 2008. La storia di una fetta di mondo è sul punto di essere buttata via e riscritta dacapo, ma prima bisogna sporcarsi le mani con i dollari del presidente sudafricanoThabo Mbeki: dare la caccia alle termiti e ai topi, togliere tonnellate di polvere, rimuovere la sabbia che sfigura le parole come una grattugia. Si devono rimettere assieme migliaia di pagine sul punto di sfarinarsi, incollare serie interminabili di testi su strati di carta giapponese, rilegare quantità indefinite di libri sottosopra come cubi di Rubik. E poi siscannerizzerà riga dopo riga e, mentre milioni di frasi e di versi verranno depositati, ancora convalescenti, prima nelle memorie elettroniche e poi in scatole sigillate, si comincerà a leggere, tradurre e interpretare, cercando di non farsi soffocare dall’attesa rivelazione. Ecco che cosa succede quando si affondano le mani nella Alessandria d’Egitto dell’Africa Nera e si tenta di rianimare i messaggi di una labirintica biblioteca che si disfa un po’ ogni giorno e vanta tesori antichi anche un migliaio di anni. A Timbuktu, in Mali, tutti conoscono luci e ombre della sceneggiatura: ai turisti si fanno vedere malinconici depositi in disordine, dalle fondazioni europee e americane si pretendono finanziamenti, ai ricercatori volenterosi si affidano mucchi instabili, come le carte che entro fine anno saranno ordinate nel nuovo centro voluto dal governo di Pretoria vicino alla moschea Sankoré e all’ancora più fotografato minareto piramidale. E si ripete sempre lo stesso mantra: prima o poi la verità verrà fuori, come un forziere dalle dune, e la storia sarà da rivedere, quella africana, quella del Medio Oriente, quella dell’Islam e quella europea. Risentiremo finalmente le mille voci di un’Africa inaspettata, che tra il Medio evo e il Rinascimento dei bianchi è stata uno dei forzieri del sapere universale. Questo -è evidente- non è il cuore di tenebra di Conrad o il fumettone di Tarzan. E’ il continente dei grandi imperi -Ghana, Mali e Songhai, fioriti tral’ VIII e il XVI secolo e poi inabissatisi - e delle fantastiche ricchezze d’oro, d’avorio e di schiavi, delle autostrade commerciali lungo il deserto del Sahara e il fiume Niger, delle università e degli intellettuali e soprattutto dei 100 mila manoscritti (probabilmente di più), che giacciono, sopravvivendo a stento o già in decomposizione, in una delle città -simbolo del passato, la Timbuktu trasfigurata dalle leggende e riscoperta nel 1828 da un esausto francese, René Caillé. Lui si dichiarò sconvolto dalla miseria e soprattutto dalla spaventosa sporcizia. Oggi a stupire è semmai la persistenza di una tradizione di tolleranza, che cerca ossigeno nei soldi dei turisti e nelle donazioni di associazioni e governi, come gli otto milioni garantiti da Mbeki. Il presidente li ha messi insieme dopo un’illuminazione: la commossa visita all’«Ahmed Baba Institute», una delle 20 biblioteche private che per generazioni hanno raccolto spasmodicamente libri e che da oltre quattro secoli, dopo il declino seguito all’invasione marocchina del 1591, tentano di tramandarne i resti. Lì ce ne sono 30 mila. «E’ trai tesori più importanti di tutta l’Africa», ha detto Mbeki e il team rapidamente mobilitato ha cominciato a trasferire su computer i testi. «Vogliamo creare una libreria virtuale, a disposizione degli studiosi del mondo», spiega con entusiasmo uno dei ricercatori, Muhammad Diagayete, lui stesso preso alla gola da tanta abbondanza. Vergati in arabo e in diverse lingue africane (gli esperti parlano di Hijazi, Maghribi, Sudani, Suqi, Naskh e altre ancora), i manoscritti coprono ogni disciplina immaginabile, dalla storia alla medicina, dalla legge penale ai diritti di proprietà, dall’astronomia alla filosofia, dalla matematica alla letteratura, dalla botanica alla religione (non solo islamica), a cui si aggiungono le liste di registrazioni che fanno felici gli storici: nascite e morti, transazioni e contratti, processi e condanne, confessioni private e disposizioni ufficiali. Tramandata su diversi tipi di carta, su pelli di gazzella e su cortecce d’albero, questa babelica enciclopedia distrugge lo stereotipo ottocentesco di un’Africa primitiva, senza parola e senza scrittura, popolata di «selvaggi» anziché di dinastie reali e di scienziati. Mentre svela un Islam curioso di sé e del mondo, modernamente multiculturale, spalanca anche le porte a un orgoglio continentale fondato sugli stessi primati culturali dell’Europa. Se uno dei primi a rivendicarlo è stato Henry Louis Gates, lo storico afroamericano della Harvard University diventato una celebrità negli Anni 90, ora comincia a sentirsi un benefico effetto -valanga: ci si impegna, per esempio, nel salvataggio del «Fondo Kati Bibliothèque», fenomenale per le avventure che l’hanno creato. Molti testi furono impacchettati a fine XII e XIII secolo dagli antenati del proprietario, Ismael Haidara, quando lasciarono l’Andalusia e dopo un epico viaggio nel deserto si fermarono aTimbuktu. E intanto continua l’opera di restauro alla «Mama Haidara Library», dove grazie ai dollari spediti dagli Usa si sta digitalizzando la collezione di 9 mila opere e costruendo spazi per studiosi e turisti, accanto all’indispensabile Internet café. Molte biblioteche infatti si autopromuovono in Rete (lo si vede all’indirizzo http:// www.sum.uio.no/research/mali/timbuktu/privates/ mamma/index.html) e tentano di farsi concorrenza, come accadeva mezzo millennio fa. Al volante di auto scassate, in groppa ai cammelli e incastrati su piccole canoe, gli inviati dell’«Ahmed Baba Institute» battono i villaggi alla ricerca di libri preziosi, in cambio di soldi o capre. E altri «cacciatori», quando si riesce a persuaderli, tracciano mappe di innumerevoli tesori. A Ber, a due ore da Timbuktu, ce ne sarebbero tantissimi, sepolti sotto la sabbia. I proprietari, anche se spesso analfabeti, tengono le bocche cucite. Non vogliono profanatori nella loro città sotterranea di parole e numeri. Gabriele Beccaria