Il Messaggero 10 febbraio 2008, ROBERTO GERVASO, 10 febbraio 2008
La tv è trash. Il Messaggero 10 febbraio 2008. Infaticabile e indomabile habitué di casinò, autore di classici sul gioco d’azzardo, è il più irregolare dei sentimentali
La tv è trash. Il Messaggero 10 febbraio 2008. Infaticabile e indomabile habitué di casinò, autore di classici sul gioco d’azzardo, è il più irregolare dei sentimentali. O il più sentimentale degli irregolari. Nella vita ha fatto di tutto, anche quello che avrebbe fatto meglio a non fare. Non si è mai risparmiato e mai ha risparmiato. Ha tante passioni perché ha tanto talento. Molto l’ha messo a frutto; altrettanto l’ha dissipato. stato con Giovanni Spadolini, cui – mole a parte - così poco somiglia, il più precoce direttore di giornali (il Secolo XIX, il Corriere d’informazione, La notte). Autore televisivo di lungo corso (ieri, Domenica in; oggi, Buona Domenica) ha fondato e dirige una rivista colta e raffinata, ”L’attimo fuggente”, e ha appena finito un impegnativo film, ”La perfezionista”. Se in lui ci sia più Casanova o l’Aretino, Orazio o Epicuro, ancora non l’ho capito. E, forse, non l’ha capito nemmeno Cesare Lanza, eclettico poligrafo, fantasioso libertino, spensierato giocatore d’azzardo. A che età varcasti per la prima volta la soglia di un casinò? Quando compii ventun anni, l’8 luglio 1963. Dove? A Sanremo. Anche perché abitavo a Genova. Pronubo chi? Due miei zii che m’insegnarono il poker a cinque anni. Prima della prima elementare. Con che animo entri in un casinò? Con quello di chi insegue sogni acquistati in contanti. Con che animo giochi? Con quello dello sfidante. E la curiosità di vedere come va a finire. Con che animo vinci? Una volta mi sentivo onnipotente. Oggi, non più. E metto da parte per i giorni sfortunati. Con che animo perdi? Per me, i soldi persi al gioco sono un prestito dato a un amico affidabile. Prima o poi, il casinò me li restituirà. Con che animo esci? Un buon giocatore – abbia vinto o perduto – sa controllare l’allegria e la malinconia. Il momento più eccitante del gioco? Alla roulette, l’attimo prima che la pallina cada sul numero vincente. A poker? Al momento del rilancio e, ancora di più, del bluff. A chemin de fer? Il momento in cui il tuo avversario rovescia le carte e scopre il punto. Meglio un en plein o un orgasmo? L’orgasmo, purché condiviso. Ma quando si gioca si pensa ad altro. Il comandamento più eroico del gioco d’azzardo? Sapersi ritirare quando si perde, anziché tentare di rifarsi. I leggendari giocatori della storia? Cesare, prima del Rubicone, giocò la sua grande partita. I bari famosi? Un personaggio che adoro, come scrittore e protagonista della sua epoca: Casanova. Non ammise mai di aver barato. Ma barava. Nelle ”Memorie” scrive che gli piaceva ”correggere” la fortuna avversa. Espressione deliziosa, no? I suicidi celebri? Si favoleggia che, nel primo Novecento, a Montecarlo, i nobili russi, dopo essersi rovinati al tavolo verde, si togliessero la vita. E tu ci credi? Io, no. La rovina al gioco è la conseguenza, non la causa della disperazione. Dopo una tragica perdita al gioco, non hai mai pensato di farla finita? Mai. L’idea del suicidio è affascinante, ma le motivazioni devono essere ben più gravi. Ha mai detto ”basta” al gioco? E perché? divertente ed educativo. Concordi con Schiller: ”L’uomo è interamente uomo solo quando gioca”? No. Ci sono momenti più difficili per comportarsi da vero uomo. Quali? In guerra, in amore, sul lavoro, in tante situazioni che richiedono coraggio, solidarietà, altruismo. Diresti con Gogol: ”Con le carte in mano tutti gli uomini sono uguali”? Una vera parità sociale si raggiunge anche in amore. Quando? Al momento dell’accoppiamento una regina è uguale al suo stalliere. E al tavolo da gioco? Siamo tutti uguali. La fortuna e l’abilità non dipendono dal censo, dalla cultura, dalla ricchezza. Sei d’accordo con l’Aretino: ”Il denaro che si spende è sterile; quello che si giuoca è fruttifero”? Concetto pericoloso, ma vero. Il tuo più forte debole? Non so ritirarmi in tempo. La tua virtù più stentorea? Quando vinco, sono molto audace. La tua più inconfessabile trasgressione? Temerari sogni erotici. La più innocente? Ridicoli peccati di gola. Nascondo il cioccolato e i dolci, vietati da medici e parenti. La tua più irresistibile tentazione? Mandare a quel paese (meglio ancora, dribblarli con astuzia) gli arroganti che credono di poterti manovrare come pedine sullo scacchiere. In virtù di che cosa? Del loro momentaneo potere. All’Inferno, dove probabilmente finirai (e io con te: c’è più società), quale girone ti aspetta? Mi consulterò con Roberto Benigni. Ha competenza e humour. Mi consiglierà il posto migliore. Confido in una nicchia ospitale per i sognatori incorreggibili. Ti piacciono ancora le donne? Sono una ragione di vita. E poi c’è in me una vena di masochismo. E tu piaci ancora alle donne? Non essere crudele. una domanda che da tempo evito di farmi. Perché, oggi, una donna dovrebbe dirti di sì? Sono altruista: ascolto, parlo, mi coinvolgo. Quante donne, ad occhio e croce, hai sedotto? Più di una, meno di mille. Traguardo invidiabile e ambiguo. Sì. Se pensi che Casanova ne ha conquistate poche decine. E quante donne ti hanno sedotto? Tre, a loro modo straordinarie. Per me, hanno sconvolto la loro vita. E hanno voluto vivere con me. Una quarta, segreta, ha avuto paura. Perché? Per la differenza di età. Brutto colpo. Per la prima volta mi sono sentito vecchio. Di una donna ti turbano e conturbano più le caviglie, le cosce, il fondoschiena, le mani, il décolleté, gli occhi o il sorriso? Lo sguardo è il vero laccio: basta un’occhiata. Purché complice, allusiva, ambigua. Il tradimento: un dovere, una debolezza, una distrazione? Il tradimento, parola che detesto, non è tradimento. E’ libertà. Quindi, un diritto-dovere. C’è amore senza fedeltà? Può esserci. E passione senza sesso? Impossibile. La tua fede politica? Sono un liberale assoluto. O, piuttosto, un anarcoide obbligato, o disponibile, a scendere, talvolta, a compromessi. Per chi voti? Dal 1992 non voto. Nei primi quarant’anni hai diretto tanti giornali, scoperto e lanciato tanti giornalisti. Al Corriere d’Informazione: Ferruccio de Bortoli, Massimo Donelli, Gian Antonio Stella, Gigi Moncalvo, Edoardo Raspelli. Hai fondato una rivista di ”alti contenuti”? ’L’attimo fuggente”. Il suo spirito, la sua filosofia? La vita non ha alcun senso. Non veniamo al mondo per nostra volontà, ma, dovendo vivere, cerchiamo di capire e fermare i pochi attimi fuggenti che il destino ci ha concesso. Autore televisivo, ti accusano di aver sublimato il super-trash. Il Radical-trash. In tivù contano gli ascolti, che condizionano la pubblicità, i profitti, la sopravvivenza. Se non accetti questo teorema, meglio lasciar perdere. Un’auto-assoluzione? Come autore, sì. I tuoi riferimenti? Come autore, quattro. L’editore cui mi lega un contratto. Il pubblico, che può bocciarmi con il telecomando. La mia coscienza. Le leggi. C’è più ”monnezza” a Napoli o in tivù? una bella gara. Ma la realtà è ben più cruda, sporca, grottesca di come la descrive la tivù. Spesso sguaiata ma, al fondo, timida, superficiale, censurata. I talk show migliorano il pubblico o lo peggiorano? Non mi pongo il problema. Non sono un educatore. Di certo, stufano. Sto pensando a una formula che eviti zuffe, chiasso, strepiti insulsi. Il tigì più soporifero? Purtroppo, nella struttura, sono tutti uguali. Il migliore professionista? Clemente J. Mimun. Il migliore e il più astuto. Il più peperino? Emilio Fede non delude mai. Chi ha fatto grande la nostra tivù? Bernabei ha fatto grande la Rai. Berlusconi ha inventato l’alternativa, il mercato. Chi ha ridotto la tivù in queste condizioni? Quelli che hanno permesso alla politica di annettersela su tutti i fronti. Con le sciocchezze e i bla bla, i telegiornali megafono, le belle stupidine e i babbei presuntuosi, imposti dai politici su ogni rete e su quasi tutti i programmi. Hai scritto e diretto un film disperato, ”La perfezionista”. Volevo raccontare un’amara storia d’amore nella cornice volgare e miserabile della società d’oggi. La tua più cocente amarezza? Mia madre non m’impedì di fuggire da casa per aspre divergenze con mio padre. Avevo sedici anni. Il rimpianto più acuto? Mia madre mi raccomandava: non sposarti, non fare figli, non pensare al denaro. Studia e scrivi, vivi da eremita o, anche, sotto i ponti. Ho fatto l’esatto contrario: mi sono sposato per la prima volta a vent’anni e ho cinque figli. Un consiglio ai giovani? Leggete, leggete, leggete. Ve lo dice un autodidatta pentito di non aver studiato abbastanza. E, se avete le palle, fate ciò che mi raccomandava mia madre. ROBERTO GERVASO