Il Sole 24 ore 10 febraio 2008, Riccardo Sorrentino, 14 febbraio 2008
L’Africa Sub-sahariana entra in gioco. Il Sole 24 ore 10 febraio 2008. Nigeria, Angola, Congo (Kinshasa), Gabon, Ghana, Kenya, Tanzania
L’Africa Sub-sahariana entra in gioco. Il Sole 24 ore 10 febraio 2008. Nigeria, Angola, Congo (Kinshasa), Gabon, Ghana, Kenya, Tanzania... Sabbia, savane e jungle, povertà e sfruttamento, rivolte, dittature o democrazie traballanti... Cos’altro? Verrà un giorno, però, in cui si parlerà d’altro. Non di scintillanti metropoli, di centri pulsanti di attività, tecnologie e benessere diffuso: è uno scenario troppo lontano nel tempo, per l’Africa Sub-sahariana. Più semplicemente qualcuno racconterà di una crescita economica forte, stabile, duratura; di un miglioramento degli standard di vita per molti, anche se non per tutti; di investimenti in crescita, spesso da oltre frontiera; di conti con l’estero più stabili; di Governi più sani; di debiti sotto controllo; di un’inflazione in calo; di un crescente interesse degli investitori internazionali. Quando si potrà raccontare tutto questo? Oggi: la settimana scorsa con un po’ di provocatorio coraggio ma una serie di argomenti forti, Graham Stock di JPMorgan - responsabile delle ricerche sull’area per la banca americana - ha sollevato il velo su quelle economie. Raccontando esattamente questo: la storia di successi alterni e costantemente minacciati da questa o quella instabilità, ma duraturi. Il punto di partenza è solido: gli investitori sono sempre più interessati ai Paesi della regione. Nel 2006, l’ultimo anno per il quale ci sono dati significativi, i fondi di private equity hanno raccolto, per l’Africa Sub-Sahariana, 2,4 miliardi di dollari, contro i 2,7 miliardi dell’America Latina, i 2,9 miliardi del Medio oriente e dell’Africa del Nord e i 3,3 miliardi di Russia ed Europa dell’Est. Come si vede chiaramente non è poco, e un sondaggio mostra che oggi il 20% dei gestori di questi fondi investe nella regione mentre il 48% immagina di farlo (o continuare a farlo) nel 2012. Le cronache e le immagini, anche di questi giorni, non permettono di illudersi su quei Paesi. I numeri, un po’ astratti, consentono però di correggere un po’ il tiro. La crescita economica è stata effettivamente forte, fino a raggiungere, dal 2004 a oggi, una media del 6% circa annuo; l’inflazione è calata dal 16% del 2000 fino al 7,5% e il varo da parte dei Governi di politiche macroeconomiche prudenti hanno permesso di contenere l’impatto degli alti costi del petrolio. I deficit fiscali sono sempre meno finanzati dalle banche mentre i debiti con l’estero dovrebbero essere calati all’11% del Pil nel 2007: «Questo rappresenta il minimo degli ultimi trenta anni - spiega Stock - ed è il risultato di una rapida crescita, della cancellazione dei debiti e dei rimborsi di Nigeria, Angola, Malawi e altri Paesi». Anche le riserve valutarie sono elevate: 137 miliardi di dollari, 5,7 mesi di importazioni: «Non è un alto livello di copertura - continua Stock - ma bisogna considerare che si partiva da livelli molto bassi». Gli investimenti dall’estero stanno quindi aumentando: l’appetito cinese per le materie prime è un fatto noto, che sta stimolando l’impegno di Pechino nell’area. Naturalmente i Paesi petroliferi raccolgono la quota più importante dei 22 miliardi diretti in tutta l’area, «ma gli investimenti diretti verso il resto della regione sono cresciuti stabilmente: per il 2006 sono stimati in 4,1 miliardi di dollari, dei quali 1,2 miliardi verso le economie prive di sbocchi sul mare», le più deboli. I flussi di capitale «restano relativamente piccoli - continua invece Stock - perché i costi legati all’attività economica sono molto elevati. Nel mese di settembre, però, il Ghana ha sorpreso tutti gliinvestitori emettendo un bond da 750 milioni di dollari che ha incrociato una domanda da 3,2 miliardi; solo per essere superata dal Gabon, a dicembre, con un’analoga operazione da un miliardo. «Uno sviluppo recente e interessante - ha spiegato il Fondo monetario internazionale - è l’aumento, sia pure da un livello molto basso, dei flussi di portavoglio verso un piccolo gruppo di Paesi come il Camerun, il Ghana, l’Uganda e lo Zambia attratti da migliori rating e rendimenti più elevati. Inoltre ci sono anche segnali di investimenti in bond e azioni di Botswana, Kenya, Malawi, and Nigeria. Naturalmente sono flussi ancora piccoli, in valore assoluto e in rapporto al Prodotto interno lordo, ma sono diventati importanti in alcuni Paesi: nel 2006 erano il 3% del Pil in Camerun e il 2% in Malawi». Tutto bene, dunque? No, naturalmente. Molto c’è ancora da fare e solo alcuni riusciranno a dimezzare i livelli di povertà entro il 2015. Gli altri dovranno aspettare; e sperare che il piccolo miracolo continuerà. Riccardo Sorrentino