Il Sole 24 ore 10 febbraio 2008, Damiano Beltrami, 10 febbraio 2008
L’armata dei nepilson, i non-cittadini. Il Sole 24 ore 10 febbraio 2008. Un enorme colbacco e la voce che sbuffa nel gelo
L’armata dei nepilson, i non-cittadini. Il Sole 24 ore 10 febbraio 2008. Un enorme colbacco e la voce che sbuffa nel gelo. Ogni mattina verso le sette, un 83enne grosso come un orso sistema il suo banchetto al mercato centrale di Riga: aglio, conserve, radici nere e bietole. A vederlo non si direbbe, ma Vassilij Ivanov è un cittadino fantasma, un non-cittadino. Arrivato in Lettonia con l’Armata rossa, il 14 ottobre 1944, è stato operaio nei cantieri navali di Riga per 40 anni, vivendo per oltre 63 con la sua Ludmila, russa pure lei, in una stamberga di 20 metri quadri in via Leipziger, nell’ex ghetto ebraico. Eppure, dopo tutto questo tempo, non ha ancora ottenuto il passaporto lettone. Non può votare né alle politiche né alle amministrative. Mai potuto entrare in polizia o nell’esercito, né provare a farsi assumere in uffici pubblici. E per visitare Roma o Parigi gli serve il visto, nonostante Riga sia nella Ue dal 2004. Vassilij butta giù un cicchetto di liquore d’erbe: «In questo Paese noi russi, quasi il 30% della popolazione, non siamo cittadini, siamo visti ancora come occupanti sovietici. Invece di baciare i piedi al soldato Ivan (l’Armata rossa, ndr) per averli liberati dai nazisti, i lettoni, il 58%, ci hanno messo alla porta in casa nostra». Vassilij è uno dei nepilson, per la Costituzione lettone un «non cittadino stabilmente residente nel Paese». Sono 434mila, quasi un quarto della popolazione, pari a due milioni e 284mila persone. Per guadagnare la cittadinanza, chi è arrivato in Lettonia dopo il 17 giugno 1940 - prima invasione sovietica - deve superare un esame di lingua, cultura e Costituzione. Dal febbraio 1995 al settembre 2007 lo hanno passato 124.186 persone. Principalmente russe (68%), ma pure bielorusse (10%), e ucraine (9%). La prova è abbordabile, ma per molti un’umiliazione: « un insulto il principio», scuote la testa Jana Cirule, ex insegnante di storia trasferitasi in Lettonia negli anni ’70 da San Pietroburgo che arrotonda la pensione (151 euro) vendendo balsamo di erba stella. Altri non vedono vantaggi a ottenere il passaporto lettone e sognano una nuova Unione sovietica: «Perché diavolo dovrei imparare il lettone?», mugugna la 46enne Inessa Rastriga incartando un pollo arrosto, «per votare? Qui conta poco, dal 2004 decidono tutto Europa e Nato». La figlia Tania, nepilson 25enne, batte il pugno sul bancone: «Il nostro presidente è Vladimir Putin, punto e basta». Poi ride: «Vaira Vike-Freiberga, l’ex presidente della Repubblica, andava sempre blaterando che la Lettonia deve temere il grande abbraccio di Mosca ai lettoni di etnia russa. Altro che temere, ben venga l’abbraccio di Putin». Ci sono nepilson però che vedono nel passaporto lettone un’opportunità. La 38enne salumiera Tamara Basova inarca un sopracciglio: «Sogno la mia Lettonia parte di una grande Russia, forte, con Putin alla guida. Ma sono realista: non accadrà. Così mi sono iscritta a un corso di lettone. Noi russi siamo discriminati per la lingua». La scuola di Tamara offre corsi di lettone di tre mesi e mezzo. La quota d’iscrizione varia a seconda delle fasce di reddito. Tamara, guadagnando 160 lat (214 euro), ne deve sborsare 6,80 (10 euro). A voler imparare il lettone sono soprattutto i disoccupati. «Nella nostra scuola - racconta la direttrice Gunta Videre - su 152 allievi il 50% non ha lavoro. Sono soprattutto persone tra i 25 e i 40 anni convinte che un lettone migliore servirà a rimediare un posto». Igor Vatolin, reporter di Chas, uno dei giornali filo-russi più popolari, riassume le richieste dei non-cittadini: «Primo, il russo lingua ufficiale. Secondo, considerare tutti i russi minoranza nazionale, con diritti garantiti dalla Ue. Terzo, insegnare di più il lettone nelle scuole. Ultimo punto, poter votare alle amministrative: un italiano che si trasferisce a Riga può scegliere il sindaco, ma un lettone che parla russo residente da 50 anni non ha voce in capitolo». Per Peteris Vinkelis, esperto diplomatico, queste pretese sono la scaltra ricetta putiniana per trasformare la Lettonia in un nuovo Belgio: «Ufficialmente Mosca chiede di istituzionalizzare la distinzione tra le due comunità, ma sotto sotto mira a quote per i lettoni russi in Parlamento e negli uffici pubblici, come accade in Belgio tra fiamminghi e valloni, oggi sull’orlo della scissione. La strategia è collaudata: divide et impera». Damiano Beltrami