Il Sole 24 ore 13 febbraio 2008, Marco Valsania, 13 febbraio 2008
Commercio illegale all’attacco dei colossi. Il Sole 24 ore 13 febbraio 2008. I re del tabacco non hanno avuto la vita facile in questi anni
Commercio illegale all’attacco dei colossi. Il Sole 24 ore 13 febbraio 2008. I re del tabacco non hanno avuto la vita facile in questi anni. Hanno fatto i conti con costose cause legali per danni alla salute, influenti crociate politiche contro il fumo e dolorose ristrutturazioni aziendali a colpi di fusioni o scorpori. Ma finora avevano potuto far leva su un’inesauribile miniera d’oro: i mercati emergenti, dove le sigarette continuano a dilagare, spesso come simbolo di ascesa sociale e professionale. Adesso, però, Big Tobacco si trova davanti a un altro nemico, il traffico illegale. L’insidia ha formato, sulla carta, strane alleanze: il danno alla salute, oltre che economico, causato dal traffico è al centro di un trattato internazionale, che in questi giorni ha visto incontrarsi a Ginevra i rappresentanti di 150 Paesi. Il trattato dovrebbe rafforzare la Framework Convention on Tobacco Control in vigore dal 2005. I colossi, dalle americane Altria e Reynolds American alla britannica British American Tobacco (Bat), pur escluse dalle trattative assicurano di essere favorevoli all’offensiva. Perché la sfida la sentono, almeno quando si tratta di bilanci: ogni anno 400, forse 600 miliardi di sigarette, l’11% del totale, entrano sul mercato illegalmente. La Bat ha calcolato che contrabbando e produzione illegale costano al settore oltre 4 miliardi di dollari l’anno, e ai governi tra i 20 e i 50 miliardi in mancate entrate. Il traffico e la produzione illecita hanno messo radici profonde in mercati emergenti. Più di metà dei fumatori mondiali vive in soli 15 Paesi, a cominciare da Cina, India, Indonesia, Russia e Bangladesh. L’obiettivo di agire più liberamente e con maggior successo su queste frontiere sta spingendo Altria a un nuovo scorporo, quello della Philip Morris International: porrebbe il neonato gruppo, forte di una quota di mercato globale del 15%, al riparo dalle severe regole e pressioni dell’opinione pubblica negli Usa. Per aumentare la sua presenza in Cina, Philip Morris ha in programma la produzione di sigarette Marlboro negli impianti locali di proprietà di Pechino. Marco Valsania