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 2008  febbraio 12 Martedì calendario

Il miracolo di Treviso Nel feudo della Lega gli immigrati più integrati. La Repubblica 12 febbraio 2008

Il miracolo di Treviso Nel feudo della Lega gli immigrati più integrati. La Repubblica 12 febbraio 2008. Sconcerta e un po´ affascina il mistero della Marca Trevigiana. Com´è possibile che nella provincia tra le più intimamente leghiste d´Italia, dove il verbo becero del prosindaco Giancarlo Gentilini, lo «Sceriffo» del Nord Est, imperversa da tre lustri con l´invito a sparare sui «leprotti» neri e islamici, con i blitz vagamente «futuristi», con l´espianto delle panchine dei giardini su cui sedevano, ci sia la migliore integrazione degli immigrati in Italia, certificata dal Cnel? Lavorano, guadagnano, pagano le tasse, hanno casa, famiglia, conto in banca, mutuo, vanno all´Asl, fanno figli e vogliono farli crescere bene, nella sicurezza. E sono tanti: 77.989 di 142 diversi paesi del mondo, secondo i dati ufficiali, oltre il 9 per cento di tutta la popolazione residente. Ben più di 100 mila, se si sommano i 31.536 clandestini quasi tutti titolari di un lavoro, che chiedono ora la regolarizzazione con il decreto-flussi. Un trend in crescita con tassi municipali anche del 100% - 126 Oderzo, 125 Mogliano Veneto - che fa immaginare di qui a dieci anni più che una Marca multirazziale, l´autentico cocktail mondiale della globalità sotto l´ala del soft-razzismo leghista. «La Marca è terra accogliente per chiunque la rispetti», dichiara stentoreo il presidente leghista della Provincia Leonardo Muraro. Sul Ponte San Martino, l´ingresso al centro di Treviso, alla sera, finito l´orario di lavoro, incroci in duecento metri, mischiati con le signorotte trevigiane in visone e stivale, tra la farmacia, il cinema e la libreria, mamme straniere con bimbi in maschera e lancio di coriandoli, padri neri e gialli con carrozzine, parlanti quindici idiomi diversi, secondo la provenienza: dal Marocco alla Romania, dall´Albania alla Macedonia, dalla Cina alla Serbia, dal Senegal all´Ucraina, dal Ghana al Bangladesh, i paesi di provenienza con le comunità più numerose. Il grattacielo di via Pisa, l´unico in città, è ormai quasi tutto abitato da immigrati, generalmente puntuali nel pagare l´affitto. Chi ha comprato col mutuo indicizzato, come Byjon, marocchino, con figli e nipoti ricongiunti, ha adesso gli stessi problemi per pagare le rate crescenti che hanno i suoi colleghi italiani della Castelgarden, della Zanussi o delle tante imprese di costruzioni della provincia. Se batti l´hinterland, trascurando la Castellana popolata da lucciole di ogni nazionalità e ogni colore, trovi il mondo intero oltre le porte del capoluogo. Possagno, patria del cotto: 2.205 residenti, 379 stranieri ufficiali, pari al 17,19 per cento, forse poco meno del doppio applicando le richieste d´assunzione del decreto-flussi. Fonte: 5.885 residenti, di cui 1.000 stranieri ufficiali, con 302 figli minorenni. E poi Crespano del Grappa, San Polo di Piave, Cimadolmo, Pieve di Soligo, San Zenone degli Ezzellini, Castelcucco, Susegana, Mansuè. Molte scuole hanno metà scolari italiani e metà stranieri. Ne soffre qualcuno? Dicono di no al bar a San Zenone degli Ezzellini, dice di no il vescovo di Vittorio Veneto Corrado Pizziolo, che registra un vento religioso diverso dal suo, ma da non rifiutare, dopo «secoli di omogeneità religiosa». E allora le panchine sradicate dell´ex sindaco, ora pro-sindaco e di nuovo prossimo sindaco Giancarlo Gentilini, le sue battute razziste, il successo che riscuote in quella borghesia che pure dell´immigrazione ha bisogno per le proprie piccole aziende? Solo folklore leghista? «Dura lex, sed lex», dice il presidente Andrea Tomat di Unindustria Treviso, la prima associazione industriale in Italia per numero d´iscritti, che giudica non la violenza verbale spesso direttamente proporzionale all´inefficacia amministrativa, ma il rigore autentico essenziale per garantire una buona integrazione. «Gli immigrati - spiega Tomat - sono ormai una componente strutturale della nostra società, nessuno può negarlo. Gli imprenditori, attraverso Unindustria, hanno fornito loro alloggi e corsi di alfabetizzazione. Molti colleghi hanno anche acquistato case per ospitare i propri operai stranieri. La fabbrica e la scuola sono state le prime agenzie di socializzazione. Ma ora ci vuole reciprocità di diritti e di doveri per raggiungere un livello ancora più alto di integrazione». Il «cattivismo» verbale di Gentilini, può avere un´utile funzione di deterrenza? Non ti aspetteresti sentir dire da don Bruno Baratto, operatore della Caritas ed eroe locale degli immigrati, autore del rapporto sugli stranieri residenti a Treviso e inventore della festa di grande successo «Ritmi e danze dal mondo», che l´»eccessivo buonismo può far danni». Non più, peraltro, delle provocazioni leghiste. Prendiamo il caso della Moschea: Bepi Zambon, titolare del tennis-club di Treviso, voleva affittare un tendone della sua struttura agli immigrati musulmani per le loro funzioni religiose. Ma il sindaco Gian Paolo Gobbo, che fa tandem con Gentilini, si oppone: «Tornino a pregare a casa loro», ringhia. E così nasce la pantomima della Moschea Itinerante, perché anche molti sindaci leghisti dell´hinterland, invitati dal prefetto Vittorio Capocelli, concedono invece spazi di mese in mese senza particolari problemi. Ma le polemiche tra sindaci sono ben meno accese di quelle all´interno della comunità islamica: da una parte Youssef Tadil, Imam del Grande Consiglio islamico di Treviso, dall´altra Abderrahmane Kounti, il quale, più moderato, sostiene che la Moschea Itinerante può creare inutili tensioni. «Altro che la diccì dell´Italia di qualche anno fa, tre marocchini tra loro fanno già una corrente», ride Abdallah Kezraji, trentacinquenne marocchino, animatore di un attivo circolo culturale. Non sarà quindi affatto facile realizzare il progetto di chi, soprattutto tra i romeni, già vagheggia la costituzione del partito degli immigrati invocando ordine per sé e per i figli esattamente come, con lessico pedestre, fa Gentilini con la piccola borghesia locale. La borghesia più grande è considerata nemica. Gentilini li ha attaccati sulle abitudini sociali manifestate in una festa di carnevale. Maschere, donne vestite da uomo, qualche drag-queen e il commento del pro - sindaco: «Se la Treviso-Bene si associa ai gay e alle lesbiche vuol dire che non fa parte della vera trevigianità, che darà un colpo secco alla Treviso Bene e, tac, tornerà a mettere Gentilini sulla poltrona di sindaco». Figurarsi se tra i 109 mila e passa stranieri della Marca felice mancano i delinquenti, gli spacciatori e le prostitute. Sono quelli che fanno la felicità del pro-sindaco, che ha appena estirpato altre quattro panchine di Ca´ Sugana, pur se occupate la sera non da neri spacciatori, ma da ragazzi di pura razza trevisana. Rimane così intatto l´interrogativo: perché mai la Treviso leghista nel cuore e un po´ razzista nel lessico fornisce il miglior esempio d´integrazione forse europeo? Cerca una risposta il sociologo Paolo Feltrin: «Qui il linguaggio è indubbiamente truculento verso l´immigrazione. Ma chi abbaia non morde. Forse già il solo abbaiare induce però a comportamenti più rispettosi. Gentilini, leghista, toglie le panchine, Flavio Zanonato, sindaco di sinistra a Padova, fa il muro di via Anelli. Che differenza c´è? Forse l´ordine si raggiunge semplicemente dichiarandolo, evitando l´eccesso di buonismo, che quasi sempre crea danni. E poi alle parole truculente, come la storia dimostra, seguono i fatti solo quando le pance sono vuote. Qui le pance, con un reddito pro capite tra i più alti d´Europa, sono ben piene. Gentilini perciò dica quel che vuole, ma sbaglia se non dà spazio alla richiesta di luoghi di culto delle comunità religiose, che sono un fattore di controllo sociale». E comunque cambia poco, perché la politica è quasi un di più nelle società benestanti, che alla fine si autoregolano. Alzi la mano a Treviso chi ha bisogno di Gentilini o, peggio, del reading degli scrittori, quelle anime belle, da Covacich a Bettin, da Ferrucci a Franzoso, mobilitatisi in piazza dei Signori per una missione che don Bruno non esita, a definire «un po´ autopromozionale». Lui non cerca di vendere qualche libro e non pensa di sciogliere il mistero della Marca: presunto inferno in terra di chi è in cerca del futuro, o regno intangibile, al tempo stesso, dei Gentilini e dei suoi carissimi nemici immigrati? ALBERTO STATERA