Corriere della Sera 10 febbraio 2008, Claudio Arrigoni, 10 febbraio 2008
Prove di futuro. Corriere della Sera 10 febbraio 2008. Era il 1982. Aveva 17 anni. Amava la montagna
Prove di futuro. Corriere della Sera 10 febbraio 2008. Era il 1982. Aveva 17 anni. Amava la montagna. Era un famoso alpinista, ma il Mount Washington lo tradì: tre giorni disperso nel New Hampshire e al ritorno l’amputazione delle gambe sotto il ginocchio a causa del congelamento. Fu allora che Hugh Herr, professore del Dipartimento di Tecnologia e Salute del Mit di Boston, decise di impegnarsi perché fossero migliorate le protesi convenzionali. Ha iniziato a progettare da solo le sue protesi, non ha mai smesso di scalare, si è laureato in biofisica ad Harvard. Herr, uno dei nomi di spicco della rassegna InnovAction, fa parte di quegli scienziati che stanno costruendo il futuro. Questo è il momento più entusiasmante e rivoluzionario della storia delle protesi. Uomini e donne bionici, cyborg, persone e robot: i nomi si possono trovare e sprecare. Quello che il futuro prossimo ci riserva sono arti artificiali connessi al corpo umano, allo scheletro, ai nervi. Comandati dal cervello attraverso dei microprocessori. L’immagine di Oscar Pistorius, il ventunenne amputato a entrambe le gambe con tempi strepitosi, che corre con atleti normodotati i 400 metri ha solo anticipato il futuro. Se le sue sono protesi «passive», quelle di prossima generazione saranno «attive», con una resa energetica che permetterà risultati straordinari. Non solo nello sport. «Tra cento anni i tempi alla Paralimpiade degli atleti amputati saranno migliori di quelli dell’Olimpiade e dovranno esserci competizioni separate perché le protesi saranno molto efficienti », dice Kerr, che non vede problemi oggi per una partecipazione dell’atleta sudafricano alle prossime Olimpiadi di Pechino, se raggiungesse i tempi di qualificazione. La Iaaf, dopo alcune analisi effettuate dal prof. Bruggemann, biomeccanico di Colonia, aveva stabilito che le protesi gli davano un «ingiusto vantaggio» e reso impossibile la sua partecipazione a gare con normodotati. «Non penso vi sia un reale vantaggio e che le analisi fatte dal laboratorio tedesco meritino ulteriori approfondimenti – dice invece Herr ”. Si guarda al corpo umano solo in termini di bellezza e non di funzionalità. Occorre cambiare mentalità. Comunque, sono convinto sia possibile avere protesi molto più efficienti di quelle di Pistorius». Il passo successivo sarà il collegamento delle protesi al corpo. Non manca molto, secondo Herr. «Fra un decennio saranno pronte nuove protesi e sarà un passaggio rivoluzionario nella storia della disabilità. un momento eccezionale della ricerca scientifica: le protesi esterne hanno risultati grandiosi e la ricerca che si sta conducendo in tutto il mondo per impiantare nei tessuti muscolari dei sensori, che potremmo chiamare protesi interne e che trasportano l’impulso dal cervello alle protesi», spiega. Il futuro immaginato da Herr sembra un sogno per molti. Per lui sarà realtà fra qualche decennio. «Molti pensano che io sia pazzo, ma credo che nel prossimo secolo, avremo largamente diminuito e quasi fatto scomparire la disabilità per persone amputate – aggiunge ”. E questo accadrà non per l’uso di droghe o medicine, ma grazie allo studio e alla tecnologia. Forse la gente ha paura di questo perché grazie ala tecnologia la diversità non esiste. Nelle corse, per esempio, si vede un amputato di gambe battere i normodotati e magari questo mette un po’ di apprensione. Ma la strada è questa e migliorerà la vita di tante persone». Proprio grazie al suo incidente, Herr ha cominciato a studiare la tecnologia applicata al corpo umano e testa su di lui tutte le protesi che nascono nella sua mente. Come la caviglia «bionica», che permette un movimento come quello di un piede reale. «Prima di avere l’incidente in montagna, ero un pessimo studente – conclude – Sono tornato a scuola, volevo studiare, per me, ma anche per i tanti amputati nel mondo. Sperimento tutte le protesi su di me perché se lo facessi su qualcun altro non avrei dei riferimenti precisi e gli stessi risultati ». L’era del cyborg non è ancora arrivata e forse non arriverà mai. Le protesi saranno parte del corpo, per migliorare la vita, non per cambiare l’uomo. Claudio Arrigoni